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Attenuare i danni delle commozioni cerebrali su cognizione e memoria

Theo Roth, studente di biologia della Stanford, ha trascorso le ultime estati allo sviluppo di un esperimento per osservare la risposta cellulare del cervello dopo una commozione cerebrale.


L'azione, mai vista prima, potrebbe un giorno portare a terapie che attenuano il danno cerebrale dopo lesioni cerebrali traumatiche lievi.


Sono ben documentate la conseguenze per l'intera vita di una lesione cerebrale commotiva. Un colpo alla testa - che provenga da un contrasto sportivo, dall'esplosione in una battaglia o da una caduta da una scala - può causare danni al cervello, responsabili di perdita di memoria, sbalzi d'umore, convulsioni e altro ancora, a vari gradi di debilitazione. E, anche se il corpo contundente che infligge tali danni è generalmente noto, i meccanismi cellulari che provocano tali problemi sono rimasti finora misteriosi.


Ora, uno studente di biologia della Stanford e dei ricercatori del National Institutes of Health hanno delineato un metodo per osservare gli effetti immediati di una lieve lesione cerebrale traumatica (TBI), in tempo reale, nei topi. Il lavoro ha rivelato come rispondono alla lesione le singole cellule e ha indotto i ricercatori a suggerire un possibile approccio terapeutico per limitare i danni cerebrali negli esseri umani. I risultati sono stati pubblicati online su Nature l'8 dicembre scorso.


La maggior parte delle ricerche dirette, sugli effetti fisiologici della TBI, sono condotte post mortem. Gli scienziati sezionano il tessuto di un paziente deceduto per capire la portata complessiva del danno e quali tipi di cellule cerebrali sono state danneggiate o uccise. Ma si sa molto poco di quello che succede a livello cellulare nelle prime ore dopo un infortunio, fatto che ha ostacolato lo sviluppo di terapie che potrebbero impedire che tale danno si verifichi fin dall'inizio.


Negli ultimi anni, Theo Roth, specializzando anziano in biologia a Stanford, ha trascorso le sue estati e altre interruzioni accademiche lavorando nel laboratorio di Dorian McGavern all'Istituto Nazionale dei Disordini Neurologici e Ictus (NINDS), che fa parte del National Institutes of Health. In questo tempo, Roth e altri membri del gruppo di ricerca di McGavern, hanno progettato un modello per provocare una lesione specifica nel cervello di un topo e utilizzare un microscopio intracranico per visualizzare le singole cellule, a partire da cinque minuti dopo la lesione.


"Possiamo vedere come tutte le popolazioni cellulari reagiscano dinamicamente", ha detto Roth, il primo autore del documento di ricerca. "Quindi, sapendo ciò che fanno le cellule (come cambiano funzione e morfologia), abbiamo potuto mettere insieme il loro ruolo e come interagiscono, e quindi quali tipi di interventi potrebbero essere rilevanti".

 

Prove negli esseri umani

La prima linea di difesa del cervello è formata dalle cosidette meningi, un sottile strato di tessuto che avvolge il cervello e crea una barriera quasi impermeabile alle molecole nocive. Sul sito diretto della lesione, tuttavia, Roth ha scoperto che le meningi possono danneggiarsi, lacerare i vasi sanguigni e causare delle emorragie. Quando muoiono le cellule nelle meningi e negli altri tessuti vicini, il loro contenuto tossico - in particolare, le molecole chiamate specie reattive dell'ossigeno (ROS) - può fuoriuscire  e passare, attraverso le meningi, alle cellule cerebrali sane.


Il cervello cerca di tappare i buchi nelle meningi, dice Roth, mobilitando rapidamente delle speciali cellule chiamate microglia verso il sito della lesione, una reazione che non era mai stata vista nel cervello vivente prima di questo studio. La toppa però non è perfetta, e alcuni ROS e altre molecole potenzialmente tossiche continuano a penetrare nelle cellule cerebrali. Da 9 a 12 ore dopo il trauma iniziale, le cellule cerebrali cominciano a morire.


Queste osservazioni sono molto simili alle analisi delle scansioni MRI umane condotte da uno studio del co-autore Lawrence Latour, uno scienziato del NINDS e del Centro di Neuroscienze e Medicina Rigenerativa. Latour ha esaminato 142 pazienti che avevano subito recentemente un trauma cranico, ma le loro scansioni iniziali di risonanza magnetica non avevano rivelato alcun danno fisico al tessuto cerebrale. Molti di questi pazienti sono stati mandati a casa dall'ospedale con le scansioni negative, ma avevano da quel momento lamentato mal di testa, perdita di memoria o altri sintomi caratteristici di una lieve lesione cerebrale.


Latour ha iniettato nei pazienti un colorante e ha eseguito dopo una scansione MRI; nel 49 per cento di questi pazienti, Latour ed i suoi colleghi hanno visto il colorante penetrare attraverso le meningi. Secondo gli autori dello studio, questo indica che un processo simile che coinvolge le meningi, le microglia e gli agenti ossidanti può avere un ruolo nel causare i danni neurologici negli esseri umani. Questa constatazione potrebbe portare all'ideazione di terapie di emergenza.

 

Una tabella di marcia per il trattamento

I ricercatori hanno cominciato a cercare il modo di prevenire i danni causati quando i ROS passano attraverso le meningi. Si sono concentrati su una molecola antiossidante naturale che si trova nelle cellule umane chiamata glutatione che può neutralizzare chimicamente le molecole ROS.


Applicando il glutatione direttamente sui cranio del topo, pochi momenti dopo l'infortunio, gli scienziati sono riusciti a ridurre la morte cellulare del 67 per cento. Anche l'applicazione di glutatione tre ore dopo la lesione ha avuto l'effetto positivo di ridurre la morte cellulare del 51 per cento. "Questa idea che abbiamo una finestra di tempo entro la quale agire, potenzialmente fino a tre ore, è interessante e può essere clinicamente importante", ha dichiarato McGavern, l'autore senior dello studio.


Inoltre, poiché l'applicazione del glutatione direttamente sul cranio minimizza il danno, potrebbe funzionare la somministrazione di farmaci attraverso un cerotto/patta sottocutanea, così come delle procedure più invasive. Ci sono diversi passaggi prima che la tecnica possa essere tentata nell'uomo: devono essere misurati gli effetti a lungo termine nei topi e deve essere determinato se quantità efficaci di glutatione o di altri farmaci terapeutici possano passare attraverso il cranio umano.


"La fase acuta di una lesione traumatica cerebrale è ritenuta non trattabile", ha detto Roth. "Ma questo è un inizio promettente".

 

 

 

 


Fonte: Stanford University.

Riferimenti: Theodore L. Roth, Debasis Nayak, Tatjana Atanasijevic, Alan P. Koretsky, Lawrence L. Latour, Dorian B. McGavern. Transcranial amelioration of inflammation and cell death after brain injury. Nature, 2013; DOI: 10.1038/nature12808

Pubblicato da Bjorn Carey in news.stanford.edu (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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