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L'esercizio fisico dà benefici cognitivi ai pazienti di Alzheimer

Nel primo studio di questo tipo mai effettuato, dei ricercatori danesi hanno dimostrato che l'esercizio aerobico ad alta intensità ha un effetto cognitivo positivo sui pazienti con Alzheimer (AD).


Lo studio in singolo-cieco, randomizzato e controllato ha dimostrato che l'intervento di allenamento si è reso possibile perchè solo pochi pazienti ne sono usciti, e ha avuto un effetto proporzionale alla dose, in quanto più i pazienti aderivano (raggiungendo un'alta frequenza cardiaca massima), meglio andavano, ha detto Gunhild Waldemar MD, direttrice del Danish Dementia Research Center, e professoressa di neurologia al Copenhagen University Hospital in Danimarca.


La Dott.ssa Waldemar ha presentato i nuovi dati al primo Congresso dell'Accademia Europea di Neurologia (EAN). Gli autori notano che fino ad ora alcuni studi epidemiologici avevano rilevato che l'attività fisica in mezza età per le persone sane riduce il rischio di demenza più avanti nella vita.


Gli studi sui topi hanno dimostrato che l'esercizio fisico riduce la patologia di Alzheimer, e altre ricerche hanno dimostrato che l'attività fisica moderata migliora la cognizione negli anziani con un alto rischio di demenza. Ma non ci sono prove dell'effetto dell'esercizio fisico nelle persone che hanno già la demenza, ha detto la dott.ssa Waldemar: "Questo è il primo studio rigoroso condotto con l'esercizio aerobico di intensità da moderata a elevata nelle persone con AD da lieve a moderato".


Lo studio ha incluso 200 pazienti in otto cliniche della memoria in Danimarca, che hanno collaborato con sette unità di ricerca in tutto il paese. Nessuno dei partecipanti aveva gravi malattie mediche o psichiatriche. La maggior parte stava ricevendo un trattamento anti-demenza ed era stabile su questa terapia da almeno 3 mesi.


I ricercatori hanno assegnato casualmente questi pazienti ad uno tra due gruppi: il gruppo di intervento (107 soggetti) ha effettuato esercizio fisico per 4 mesi e il gruppo di controllo (n = 93) ha ricevuto il solito trattamento, ma ha potuto allenarsi per 1 mese dopo la fine del periodo di studio di 4 mesi.


I gruppi erano simili in termini di età (media 72 anni per il gruppo di controllo e 70 anni per il gruppo di intervento) e di stato cognitivo (punteggio Mini-Mental State Examination del 24,1 nel gruppo di controllo e 23,8 nel gruppo di intervento; punteggio Symbol Digit Modalità Test [SDMT] di 25,4 e 27,1 rispettivamente). La maggior parte (circa il 72% in ciascun gruppo) viveva con un caregiver. E' importante notare, secondo la Dott.ssa Waldemar, che molti dei pazienti hanno riferito che erano già attivi fisicamente.


I ricercatori hanno assegnato in modo casuale nuovi gruppi di partecipanti nei centri ogni 6 mesi per un periodo di 2,5 anni, dal gennaio 2012 al luglio 2014. I pazienti nel gruppo di intervento si sono allenati sotto la supervisione di un terapista per 1 ora, tre volte alla settimana per 16 settimane. Durante le prime 4 settimane, hanno fatto esercizi di adattamento (esercizi di resistenza, più aerobici), dopo di che si sono concentrati sugli esercizi aerobici.


I partecipanti indossavano un cardiofrequenzimetro e puntavano a una intensità di allenamento di almeno il 70/80% della frequenza cardiaca massima. I terapeuti hanno convalidato la frequenza degli esercizi e hanno registrato la intensità dell'esercizio.


Il risultato primario era il SDMT, un test cognitivo che valuta la velocità mentale e l'attenzione. Il Dr Waldemar ha spiegato che i ricercatori hanno scelto questo test a causa dei risultati positivi in un piccolo studio controllato randomizzato su pazienti con lieve decadimento cognitivo (MCI).

 

Alta Frequenza

Solo cinque pazienti sono usciti da ogni gruppo nel corso dello studio. "Siamo rimasti molto soddisfatti con l'altissimo tasso di partecipazione", ha commentato la dott.ssa Waldemar.


Anche se nel gruppo trattabile la differenza di punteggio SDMT tra i gruppi di intervento e di controllo non è stata significativa dopo 16 settimane, i sintomi neuropsichiatrici differivano significativamente a favore del gruppo di intervento, ha detto la Waldemar.


Inoltre, c'è stato un risultato significativo nell'analisi per protocollo del punteggio SDMT di 66 pazienti che avevano un tasso di partecipazione di almeno l'80% (38 o più sessioni di formazione su 48) e si erano allenati ad almeno il 70% della loro frequenza cardiaca massima. La differenza è stata del -4,2% (da -7,9% a -0,45%; P = 0.03) attraverso l'uso di modelli di regressione lineare che rappresentano dati raggruppati, mancanti, e differenze nei valori basali.


"Quando confrontiamo questo gruppo a quello di controllo, nel SDMT c'è stato effettivamente un effetto significativo a favore dell'intervento", ha detto la dott.ssa Waldemar. "Questa è un'analisi per protocollo e non è l'analisi primaria, ma comunque può indicare un possibile effetto proporzionale alla dose dell'attività fisica".


La Dott.ssa Waldemar ha detto che è "sorprendente" che un tale ampio gruppo di pazienti abbia soddisfatto i criteri dell'analisi per protocollo. Il tasso di eventi avversi è stato molto basso. Si è verificato un solo evento avverso grave, un caso di fibrillazione atriale che era forse legato all'intervento, "ma naturalmente, è difficile saperlo".


I ricercatori non hanno ancora completato l'analisi degli esiti secondari, che comprendono altre misure cognitive, depressione, sintomi psichiatrici, livelli funzionali, qualità della vita legata alla salute e rapporto costo-efficacia.


In un sottogruppo di pazienti, i ricercatori hanno raccolto campioni di plasma prima e dopo l'allenamento ed hanno eseguito studi di scansione, che permetteranno loro di indagare su diversi biomarcatori, secondo il dottor Waldemar. Questo, ha detto, potrebbe aiutare a determinare la fisiologia che sta dietro l'effetto dell'esercizio sulla cognizione.


"Restate in contatto", ha detto al suo pubblico. "Forse in attesa di una cura per l'Alzheimer, gli operatori sanitari potrebbero considerare di implementare sessioni di esercizio fisico supervisionato per i pazienti".


Alla domanda di un delegato sul motivo per cui la durata dello studio è stata limitata a tre mesi, la dott.ssa Waldemar ha riconosciuto che se lo studio fosse continuato per un tempo più lungo (sei mesi, per esempio) ci sarebbe stato "un segnale più chiaro" di risultati migliori. "Ma posso assicurare che lo svolgimento di questo studio anche per quattro mesi in questi pazienti molto complessi non è stato un compito facile, quindi questo era un compromesso", ha detto.


Un altro delegato ha chiesto perché i ricercatori non hanno eseguito più spesso il SDMT, un test semplice da somministrare, diciamo una volta al mese. La Dott.ssa Waldemar ha spiegato che la preoccupazione era l'«effetto test / retest». "Con l'allenamento, migliorano sempre più pazienti, anche se non subiscono alcun intervento, ma forse avremmo potuto farlo una volta in più".


Rispondendo ad una domanda della co-presidente della sessione Ana Verdello MD, del Dipartimento di Neuroscienze dell'Ospedale Santa Maria dell'Università di Lisbona in Portogallo, sul potere statistico dello studio, il dottor Waldemar ha detto che non ci sono stati altri studi analoghi da usare "come riferimento", e quindi lei e i suoi colleghi hanno basato la loro analisi di potere su quel piccolo studio controllato randomizzato in pazienti con MCI. "Il SDMT è forse più adatto per i pazienti con MCI rispetto ai pazienti che hanno già demenza di AD", ha osservato.


Un altro delegato dell'incontro ha chiesto se l'effetto osservato nei pazienti con la frequenza maggiore potrebbe essere spiegato dal fatto che coloro che avevano la più alta presenza avevano anche un AD più mite. La Dott.ssa Waldemar ha detto di non aver esaminato questo punto: "Questa è una domanda molto buona".

 

********
Lo studio è stato finanziato dall'Innovation Fund Denmark e presentato il 22 giugno 2015 al Congresso dell'Accademia Europea di Neurologia (Abstract O3105). La Dott.ssa Waldemar non ha rivelato alcuna relazione finanziaria importante.

 

 

 


Fonte: Pauline Anderson in Medscape (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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