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Accumulo cerebrale di ferro collegato al declino cognitivo dell'Alzheimer

Schmidt feature imageSchema della risonanza magnetica. Sinistra: segmentazioni corticali e sottocorticali sovrapposte registrate in spazio R2*. Destra: Mappa R2* corretta per disomogeneità del campo macroscopico, dove sono stati calcolati i valori mediani R2* per ogni regione e poi usati per ulteriori analisi statistiche.

Con la risonanza magnetica, dei ricercatori hanno scoperto che l'accumulo di ferro nello strato esterno del cervello è associato ad un deterioramento cognitivo delle persone con morbo di Alzheimer (MA), e il loro studio è pubblicato sulla rivista Radiology.


Ricerche precedenti avevano collegato il MA a livelli anormalmente elevati di ferro nel cervello. Il deposito di ferro è correlato con l'amiloide-beta (Aβ), una proteina che si raggruma nel cervello delle persone con MA per formare placche tra i neuroni e disturbano la funzione delle cellule.


Sono state trovate anche associazioni tra ferro e grovigli neurofibrillari, gli accumuli anomali di proteina tau che si formano all'interno dei neuroni. Questi grovigli bloccano il sistema di trasporto del neurone, danneggiando la comunicazione tra i neuroni.


Sappiamo che strutture profonde della materia grigia dei pazienti con MA contengono una concentrazione superiore di ferro cerebrale. Ma sappiamo meno della neocorteccia, lo strato esterno profondamente scanalato del cervello che è coinvolto nel linguaggio, nel pensiero cosciente e in altre importanti funzioni. La neocorteccia è impegnativa da valutare per la risonanza magnetica, perché l'anatomia della zona provoca distorsioni, decadimenti di segnale e artefatti.


“La soluzione migliore per ridurre al minimo questi artefatti sarebbe l'uso di scansioni ad altissima risoluzione”, ha detto il coautore Reinhold Schmidt MD, professore di neurologia e preside del Dipartimento di Neurologia all'Università Medica di Graz in Austria. “Tuttavia, in ambito clinico, il tempo di scansione è un fattore limitante, e si deve trovare un compromesso”.

 

Usare i chelanti per ridurre l'eccesso di ferro dal corpo

Per il nuovo studio, il dott. Schmidt e i colleghi hanno sviluppato un approccio attraverso uno scanner 3T MRI, che costituisce il miglior compromesso tra risoluzione e tempo di scansione, insieme con la post-elaborazione per correggere l'influenza delle distorsioni.


Hanno usato la risonanza magnetica per indagare i livelli basali di ferro nel cervello in 100 individui con MA e 100 controlli sani. Dei 100 partecipanti con MA, 56 hanno avuto successivamente dei test neuropsicologici e la risonanza magnetica cerebrale in un seguito medio di 17 mesi.


La tecnica ha permesso ai ricercatori di creare una mappa del ferro nel cervello, determinando i livelli di ferro in alcune parti del cervello, come i lobi temporali (le aree del cervello che si trovano sotto le tempie) e quelli occipitali (parte posteriore della testa).


“Abbiamo trovato indicazioni di depositi più alti di ferro nella materia grigia profonda e nella neocorteccia totale, e regionalmente nei lobi temporale e occipitale, nei pazienti con MA, rispetto ai coetanei sani”, ha detto il dott. Schmidt.


L'accumulo cerebrale di ferro è stato associato ad un deterioramento cognitivo indipendente dalla perdita di volume cerebrale. I cambiamenti nei livelli di ferro nel tempo nei lobi temporali si sono correlati con il declino cognitivo negli individui con MA.


“Questi risultati sono tutti in linea con l'idea che alte concentrazioni di ferro promuovono la deposizione significativa di Aβ e la neurotossicità nel MA”, ha detto il dott. Schmidt.


I risultati indicano un potenziale ruolo nel trattamento di MA per farmaci che riducono il carico di ferro nel cervello. Questi farmaci, chiamati chelanti (chelators), sono in grado di rimuovere l'eccesso di ferro dal corpo.


“Il nostro studio fornisce il supporto all'ipotesi dell'omeostasi del ferro alterata nel MA e indica che l'uso di chelanti del ferro negli studi clinici potrebbe essere un obiettivo promettente di trattamento”, ha detto il dott. Schmidt. “La mappatura del ferro via MRI potrebbe essere usata come biomarcatore per predire il MA e come strumento per monitorare la risposta negli studi terapeutici”.

 

 

 


Fonte: Radiological Society of North America (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Anna Damulina, Lukas Pirpamer, Martin Soellradl, Maximilian Sackl, Christian Tinauer, Edith Hofer, Christian Enzinger, Benno Gesierich, Marco Duering, Stefan Ropele, Reinhold Schmidt, and Christian Langkammer. Cross-sectional and Longitudinal Assessment of Brain Iron Level in Alzheimer Disease Using 3-T MRI. Radiology, 30 Jun 2020, DOI

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Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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