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Imparare a fare domande migliori agli anziani sulla loro memoria

I fornitori di servizi sanitari e i ricercatori si affidano a domande per individuare i pazienti che potrebbero essere a rischio di Alzheimer e altri problemi correlati all'invecchiamento, ma il modo in cui sono verbalizzate queste domande può confondere o attivare risposte emotive.


Secondo i ricercatori della Penn State, la conseguenza potrebbe essere che i pazienti rispondono alle stesse domande in modo diverso e per motivi diversi. In uno studio su anziani della Pennsylvania, i ricercatori hanno fatto ai partecipanti una serie di domande comuni e poi li hanno seguiti per capire come si sentivano i partecipanti su quelle domande.


Ad esempio, alla domanda "Hai avuto problemi con la memoria di recente?" un paziente può interpretare "di recente" come entro la stessa settimana, mentre un altro può interpretarlo come entro il mese. Oppure, un terzo potrebbe essere spaventato dai problemi con la memoria e evitare di rispondere del tutto.


Nikki Hill, assistente professore di infermieristica alla Penn State, ha detto che i risultati aiuteranno medici e ricercatori a porre domande migliori e interpretare meglio le risposte dei pazienti:

"Se qualcuno si preoccupa della sua memoria, ciò potrebbe essere importante per molte ragioni diverse. Magari ha un problema che potrebbe continuare a peggiorare, o forse ha un impatto emotivo su di lui, o forse ha solo bisogno di più informazioni. Quindi stiamo cercando di imparare le migliori domande da porre per ottenere veramente quello che i nostri pazienti stanno sperimentando e il modo migliore per rispondere".


Secondo ricerche precedenti, gli anziani che riferiscono problemi di memoria ma ottengono punteggi normali nei test cognitivi hanno il doppio delle probabilità di sviluppare l'Alzheimer in un secondo momento.


Jacqueline Mogle, assistente professore alla Penn State, ha affermato che progettare buone domande è importante non solo per l'individuazione precoce dei pazienti con la malattia, ma anche perché i ricercatori possano porre buone domande quando studiano queste popolazioni:

"Quando facciamo domande alle persone, supponiamo che le vedano nello stesso modo in cui le vediamo noi. Tuttavia, questo chiaramente non è il caso; quella che noi potremmo considerare una domanda semplice, come 'Hai problemi con la tua memoria?', può significare qualcosa di molto diverso per gli anziani, ma al momento non è chiaro in che modo decidono di rispondere alla domanda".


I ricercatori hanno reclutato 49 anziani nella Pennsylvania centrale che non avevano la demenza. Ad ogni partecipante è stata fatta una serie di domande comuni per lo screening dell'Alzheimer. Dopo le risposte dei partecipanti, i ricercatori hanno fatto domande successive su come e perché hanno risposto in quel modo, per aiutare a identificare possibili problemi con le domande iniziali.


Dopo aver analizzato i dati, i ricercatori hanno trovato 13 diversi tipi di problemi nelle domande di screening. I due problemi più comuni erano la vaghezza - "Ci sono molti modi di interpretare la domanda" - e un'ipotesi che il loro comportamento o esperienza siano sempre gli stessi. Ad esempio, a volte possono avere problemi a ricordare il giorno della settimana, ma non sempre.


I ricercatori hanno anche scoperto che alcune domande tendevano a provocare una risposta emotiva. Ad esempio, una domanda chiedeva al partecipante di "valutare" se stesso o la propria memoria rispetto ad altri, cosa che alcuni partecipanti hanno associato a un calo di fiducia e si sono sentiti a disagio.


La Hill ha affermato che imparare a porre domande migliori sulla memoria di una persona potrebbe aiutare a migliorare la comprensione da parte dei medici delle esperienze uniche dei loro pazienti:

"Per gli anziani, i problemi con la memoria e il pensiero sono qualcosa che viene vissuto in modo molto diverso da persona a persona. Tuttavia, nella ricerca fatta fino ad oggi, non tendiamo a riflettere quanto sia complicata un'esperienza. Se vogliamo veramente capire come le persone stanno vivendo i primi sintomi e cosa sta influenzando la loro segnalazione dei sintomi, dobbiamo carpire di più di quell'esperienza individuale e le nostre domande che attualmente utilizziamo non lo catturano".


La Hill ha aggiunto che sarebbe utile per studi futuri esaminare i modi migliori per riformulare e standardizzare le domande di screening per aiutare a ridurre le devianze cognitive.

"Ora che abbiamo identificato i tipi di problemi che segnalano le persone, possiamo prendere quelle domande, perfezionarle e testarle nuovamente in un gruppo più ampio e rappresentativo di anziani. Allora richiediamo le domande nuove e affinate e vediamo se si comportano meglio".

 

 

 


Fonte: Penn State via EurekAlert! (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Nikki L Hill, Jaqueline Mogle, Emily B Whitaker, Andrea Gilmore-Bykovskyi, Sakshi Bhargava, In Young Bhang, Logan Sweeder, Pooja Anushka Tiwari, Kimberly Van Haitsma. Sources of Response Bias in Cognitive Self-Report Items: “Which Memory Are You Talking About?” The Gerontologist, Published: 31 July 2018 DOI: 10.1093/geront/gny087

Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi citati nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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