Una nuova ricerca suggerisce che gli adulti che soffrono di perdita dell'udito hanno un rischio maggiore di demenza e, forse di Alzheimer, rispetto a coloro che non soffrono di perdita dell'udito.
E maggiore è la perdita, più alto il rischio, dice lo studio.
"Questo lavoro suggerisce che vi è una forte associazione tra perdita di udito intuitivo da adulti e la probabilità di sviluppare il declino cognitivo durante l'invecchiamento", ha detto l'autore dello studio, Dott. Luigi Ferrucci, capo del Longitudinal Studies Section del National Institute on Aging, nonché direttore del Baltimore Longitudinal Study of Aging.
Ferrucci e i suoi colleghi segnalano i loro risultati nel numero di febbraio della rivista Archives of Neurology. Gli autori hanno osservato che dalla metà di questo secolo, circa 100 milioni di uomini e donne in tutto il mondo (circa uno su 85) saranno affetti da demenza.
Il lavoro dei ricercatori sulla potenziale associazione tra perdita uditiva e demenza si è focalizzato su 639 uomini e donne di età compresa tra 36 e 90 anni, nessuno dei quali aveva demenza all'inizio dello studio nel 1990. Test cognitivi e uditivi sono stati condotti per un periodo di quattro anni per tutti i pazienti fino al 2008 (per una media di circa 12 anni) per monitorare i segni di demenza e/o Alzheimer.
I ricercatori hanno osservato che 125 partecipanti allo studio hanno avuto una diagnosi di perdita "lieve" dell'udito, mentre altri 53 hanno avuto perdita "moderata", e sei una perdita "grave". Alla fine 58 pazienti hanno avuto la diagnosi di demenza, di cui 37 Alzheimer.
Incrociando i dati, i ricercatori hanno scoperto che la perdita dell'udito lieve era legata ad un leggero aumento del rischio di demenza, ma il rischio aumenta notevolmente tra coloro con perdita uditiva moderata e grave. Per i partecipanti ultrasessantenni, in più del 36 per cento dei casi il rischio di demenza era legato alla perdita di udito, dice lo studio. Peggiore era la perdita di udito, più alto il rischio di Alzheimer. Per ogni ulteriore perdita di 10 decibel di capacità uditiva, il rischio di Alzheimer sembra salire del 20 per cento, hanno detto i ricercatori.
Gli autori hanno suggerito che, se ulteriori studi confermeranno i risultati, questo potrebbe portare allo sviluppo di nuove strategie per cercare di ridurre il rischio di demenza. Ad esempio, la scoperta in teoria suggerirebbe che gli sforzi per correggere la perdita di udito per mezzo di apparecchi acustici e della chirurgia potrebbe potenzialmente ridurre il rischio di demenza.
"Ma come scienziato non posso ancora dire che curare la perdita di udito previene la demenza," ha detto Ferrucci. "Abbiamo aperto una finestra su questa associazione. Ma c'è ancora molto lavoro da fare prima che possiamo essere sicuri che ci sia effettivamente un nesso di causalità".
Il dottor Richard B. Lipton, vicepresidente della neurologia dell'Albert Einstein College of Medicine di New York City, ha definito il nuovo studio una esplorazione "interessante" che si basa sull' "idea largamente diffusa che l'età cronologica potrebbe non essere la migliore misura dell'età biologica". "Alcune persone hanno suggerito che il fattore di rischio più potente che conosciamo per l'Alzheimer è l'età stessa", ha osservato. "Più si è anziani e più probabilità abbiamo di sviluppare la malattia. E sappiamo che il rischio raddoppia ogni cinque anni dopo i 65 anni. Ma alcuni anziani di 90 anni sono in casa di cura, mentre altri sono sul campo da golf. Ecco quindi l'idea che la perdita dell'udito può essere una specie di misura biologica del tempo, piuttosto che cronologica. In altre parole, una indicazione del fatto che qualcuno non sta in realtà invecchiando bene".
"Un'altra idea è che la perdita di udito potrebbe derivare da danni alle cellule nervose," ha aggiunto Lipton. "Ciò significa danno all'organo dell'udito e alla struttura dell'orecchio interno chiamata coclea, e alle cellule ciliate che riprendono lo schema di vibrazioni che il suono produce nell'orecchio. E se c'è un danno ai neuroni che mediano l'udito, questo può essere un tipo di marcatore per danni simili alle cellule nervose coinvolte nella memoria e nella cognizione superiore", ha spiegato. "E poi una terza possibilità è che ci sono molte prove che la perdita dell'udito induce un grande isolamento sociale, così come ci sono prove che l'impegno cognitivo protegge da demenza. E questo significherebbe che la perdita di stimolazione cognitiva potrebbe contribuire al rischio di Alzheimer".
FONTI: Luigi Ferrucci, MD, Ph.D., responsabile del Longitudinal Studies Section e direttore del Baltimore Longitudinal Study of Aging del US National Institute on Aging, Richard B. Lipton, MD, professore e vice presidente di neurologia del Albert Einstein College of Medicine, New York City; febbraio 2011, Archives of Neurology.
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Pubblicato su BusinessWeek.com, 14 febbraio 2011
Traduzione di Traduzione di Franco Pellizzari.
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