La loro missione era quella di risolvere un piccolo, ma fastidioso mistero dell'Alzheimer: come può essere colpita la capacità del cervello di memorizzare le informazioni se si "spegne" l'oscura proteina LRP1?
Ma Guojun Bue i suoi colleghi ricercatori hanno avuto una sorpresa. Come si aspettavano, i topi nel cui cervello era stato rimosso il gene LRP1, hanno mostrato problemi di memoria simili all'Alzheimer. Ma hanno anche iniziato a mettere su peso, velocemente.
I topi erano letargici, sulla strada per diventare diabetici, e non sembravano sapere quando smettere di mangiare. In altre parole, erano un po' come i più di 72 milioni di americani che sono obesi.
Il dr Bu (foto a destra), neuroscienziato alla Mayo Clinic di Jacksonville e autore principale dello studio, ha detto che i risultati potrebbero portare a una cura per attaccare le cause genetiche dell'obesità. "La gente si lamenta che per le persone che sono obese, è solo una mancanza di autocontrollo", ha detto. "Ma questo conferma che c'è un forte elemento genetico che controlla l'appetito". O meglio, lo riconferma perchè da molto tempo gli scienziati sospettano che il DNA delle persone ha un profondo impatto sul loro giro-vita, e una serie di studi hanno dimostrato che sono nel giusto.
La ricerca di Bu si è concentrata sulla leptina, un ormone che regola il deposito di grasso. Normalmente, la leptina è prodotta quando le cellule del corpo assorbono grasso dal cibo, inviando un segnale al cervello che sopprime l'appetito. Bu, che ha fatto la maggior parte della ricerca mentre era alla School of Medicine della Washington University a St. Louis, ha scoperto che sia la leptina che i recettori LRP1 devono lavorare insieme per trasmettere quei segnali.
I ricercatori hanno iniettato un virus nei topi giovani per spegnere il gene LRP1 nell'ipotalamo, il centro di controllo del cervello. Dopo sei mesi, non c'era praticamente nessuna differenza tra i topi "messi al tappeto" e quelli normali. Ma poi, i topi modificati improvvisamente hanno messo su peso, con l'affievolimento dei segnali della leptina. Un anno dopo l'esperimento, i topi pesavano in media circa 43g, mentre i loro omologhi meno di 30.
Nuove sfide potenziali
I risultati sono stati sorprendenti, perché erano l'opposto di quello che un diverso gruppo di ricercatori aveva trovato pochi anni prima, studiando gli effetti dell'LRP1. In questo studio, tuttavia, il gene era stato spento non nel cervello, ma nelle cellule adipose del corpo, e il topo ha finito per perdere peso.
"Questo potrebbe rendere più complicato sviluppare una terapia che punta all'LRP1", ha detto David Hui, un ricercatore dell'Università di Cincinnati che è stato coinvolto nel precedente studio. "Nessuna medicina è ancora stata sviluppata che possa inviare un messaggio a una sola parte del corpo, dicendo il contrario a un'altra. Detto questo, l'importanza di questo studio è che hanno anche individuato il percorso a valle del segnale coinvolto. Questo dovrebbe essere immensamente prezioso per progettare obiettivi più specifici."
Lo studio è stato pubblicato sul numero dell'11 gennaio della rivista PLoS Biology. E' stato il secondo studio che è venuto fuori da questo esperimento. Il primo, pubblicato in dicembre sul Journal of Neuroscience, ha discusso quello che Bu inizialmente avrebbe dovuto dimostrare: rimuovere l'LRP1 non solo ha fatto ingrassare i topi, ma ha anche interrotto la loro memoria.
Il colesterolo, di solito raffigurato come la parte cattiva del corpo, è fondamentale per il mantenimento dei neuroni. E l'LRP1 è uno dei due recettori chiave per il sistema di trasporto del colesterolo del cervello. Quindi, se fosse tolto, ha teorizzato Bu, i neuroni perdono il contatto sinaptico con gli altri, in modo da ledere la memoria.
Il collegamento tra obesità e Alzheimer non è necessariamente sorprendente, ha osservato Bu. C'è una forte evidenza che il diabete di tipo II, una malattia spesso legata all'obesità, è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di Alzheimer.
Pubblicato su Jacksonville.com il 9 febbraio 2011
Traduzione di Traduzione di Franco Pellizzari.
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