Iscriviti alla newsletter



Registrati alla newsletter (giornaliera o settimanale):
Ricevi aggiornamenti sulla malattia, gli eventi e le proposte dell'associazione. Il tuo indirizzo email è usato solo per gestire il servizio, non sarà mai ceduto ad altri.


Farmaci antipertensivi possono ridurre il rischio di demenza negli anziani

Lo studio condotto da Federico Rea, Giovanni Corrao e Giuseppe Mancia pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology, ha sollevato un'importante questione riguardante il legame tra l'uso di farmaci antipertensivi negli anziani e il rischio di demenza. Tra i ricercatori coinvolti, Federico Rea del Dipartimento di Statistica e Metodi Quantitativi DISMEQ è uno dei principali autori dello studio. Gli abbiamo chiesto le implicazioni di questo lavoro.


Dottor Rea, quali sono le conclusioni principali che emergono dallo studio riguardo al collegamento tra l'uso di antipertensivi negli anziani e il rischio di demenza?

Il nostro studio suggerisce che l’uso regolare dei farmaci antipertensivi sia in grado di ridurre il rischio di demenza, inclusa la malattia di Alzheimer, e che tutte le persone anziane possano beneficiare di questo effetto protettivo del trattamento farmacologico, indipendentemente dall’età, dal sesso e dalla fragilità del paziente.


Qual è il meccanismo ipotizzato attraverso il quale gli antipertensivi potrebbero ridurre il rischio di demenza negli anziani? Esistono evidenze che suggeriscono un collegamento diretto tra il trattamento dell'ipertensione e la protezione della funzione cognitiva?

Da diversi anni, l’ipertensione è ritenuta essere uno dei fattori di rischio più importanti nello sviluppo del declino cognitivo, della demenza vascolare e della malattia di Alzheimer. Infatti, l’ipertensione compromette il microcircolo cerebrale, che comporta un ridotto afflusso di sangue al cervello e questo determina lesioni della sostanza bianca e microemorragie. Recenti studi hanno dimostrato che l’abbassamento dei valori pressori con l’uso della terapia farmacologica determina una riduzione delle microlesioni e, di conseguenza, l’insorgenza di disturbi cognitivi e demenza tra i pazienti ipertesi.


Nello studio sono stati inclusi anche pazienti con un’età molto avanzata e pazienti fragili. Ci sono differenze significative nei risultati riscontrate in base all'età degli anziani e al loro stato di fragilità?

Gli studi fino ad ora condotti si basavano su pazienti caratterizzati da un basso livello di fragilità e da un’età non troppo avanzata. Noi abbiamo cercato di aggiungere nuove evidenze estendendo la valutazione a pazienti che spesso vengono esclusi dalle ricerche cliniche ovvero gli individui molto anziani e i fragili, caratterizzati da numerose patologie e con un elevato rischio di morte. Come anticipato, il trattamento farmacologico ha mostrato un effetto protettivo in tutte le fasce d’età e nei livelli di fragilità. Tuttavia, il beneficio sembra minore tra i pazienti con un’età molto avanzata (sopra gli 85 anni).


Quali sono le implicazioni pratiche di questi risultati per i medici e i pazienti anziani ipertesi? Cosa consiglierebbe ai medici che trattano pazienti anziani alla luce di questo studio?

In precedenti studi, abbiamo scoperto che molti pazienti non seguono regolarmente i loro trattamenti farmacologici. In questo studio, solo uno su tre ha seguito il trattamento prescritto. Inoltre, nonostante le linee guida raccomandino l'uso combinato di almeno due farmaci antipertensivi, molti pazienti ne assumono solo uno. Questa pratica porta a un controllo insufficiente della pressione sanguigna, aumentando il rischio di eventi cardiovascolari come ictus, infarto e scompenso cardiaco, oltre alla demenza. È quindi fondamentale che i medici monitorino attentamente i loro pazienti per garantire un migliore controllo della pressione e per sensibilizzarli sull'importanza di seguire correttamente la terapia prescritta.


Quali sono le prospettive future per la ricerca su questo argomento? Quali sono le principali domande che rimangono aperte e che potrebbero guidare ricerche future nell'ambito del trattamento dell'ipertensione e della prevenzione della demenza negli anziani?

Secondo altri studi, alcuni farmaci antipertensivi sono più efficaci di altri nel prevenire la demenza. Bisognerebbe quindi approfondire questo risultato per capire quali farmaci determinino un beneficio maggiore e su quali pazienti, al fine di personalizzare la cura sulla base delle caratteristiche individuali. Inoltre, possibili studi futuri dovrebbero investigare quale sia il valore della pressione sanguigna necessario per ridurre il rischio di demenza.

 

 

 


Fonte: Rossella Guido in Università Milano-Bicocca

Riferimenti: F Rea, G Corrao, G Mancia. Risk of Dementia During Antihypertensive Drug Therapy in the Elderly. J Am Coll Cardiol., 2024, DOI 

Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

Notizie da non perdere

L'impatto del sonno su cognizione, memoria e demenza

2.03.2023 | Ricerche

Riduci i disturbi del sonno per aiutare a prevenire il deterioramento del pensiero.

"Ci...

Scoperta nuova causa di Alzheimer e di demenza vascolare

21.09.2023 | Ricerche

Uno studio evidenzia la degenerazione delle microglia nel cervello causata dalla tossicità del ferro...

Gas xeno potrebbe proteggere dall'Alzheimer, almeno nei topi; previsti te…

30.01.2025 | Ricerche

Molti dei trattamenti perseguiti oggi per proteggere dal morbo di Alzheimer (MA) sono co...

I dieci fattori legati a un aumento del rischio di Alzheimer

27.07.2020 | Esperienze & Opinioni

Anche se non c'è ancora alcuna cura, i ricercatori stanno continuando a migliorare la co...

Infezione cerebrale da funghi produce cambiamenti simili all'Alzheimer

26.10.2023 | Ricerche

Ricerche precedenti hanno implicato i funghi in condizioni neurodegenerative croniche co...

Stimolazione dell'onda cerebrale può migliorare i sintomi di Alzheimer

15.03.2019 | Ricerche

Esponendo i topi a una combinazione unica di luce e suono, i neuroscienziati del Massach...

Scoperto nuovo colpevole del declino cognitivo nell'Alzheimer

7.02.2019 | Ricerche

È noto da tempo che i pazienti con morbo di Alzheimer (MA) hanno anomalie nella vasta re...

Ritmi cerebrali non sincronizzati nel sonno fanno dimenticare gli anziani

18.12.2017 | Ricerche

Come l'oscillazione della racchetta da tennis durante il lancio della palla per servire un ace, l...

'Scioccante': dopo un danno, i neuroni si auto-riparano ripartendo d…

17.04.2020 | Ricerche

Quando le cellule cerebrali adulte sono ferite, ritornano ad uno stato embrionale, secon...

Sciogliere il Nodo Gordiano: nuove speranze nella lotta alle neurodegenerazion…

28.03.2019 | Ricerche

Con un grande passo avanti verso la ricerca di un trattamento efficace per le malattie n...

Interleuchina3: la molecola di segnalazione che può prevenire l'Alzheimer…

20.07.2021 | Ricerche

Una nuova ricerca su esseri umani e topi ha identificato una particolare molecola di seg...

Molecola 'anticongelante' può impedire all'amiloide di formare …

27.06.2018 | Ricerche

La chiave per migliorare i trattamenti per le lesioni e le malattie cerebrali può essere nelle mo...

Perché la tua visione può prevedere la demenza 12 anni prima della diagnosi

24.04.2024 | Ricerche

 

Gli occhi possono rivelare molto sulla salute del nostro cervello: in effetti, i p...

Identificazione dei primi segnali dell'Alzheimer

7.03.2022 | Ricerche

Un team multidisciplinare di ricerca, composto da ricercatori del progetto ARAMIS, dell...

Zen e mitocondri: il macchinario della morte rende più sana la vita

20.11.2023 | Ricerche

Sebbene tutti noi aspiriamo a una vita lunga, ciò che è più ambito è un lungo periodo di...

Marito riferisce un miglioramento 'miracoloso' della moglie con Alzh…

28.09.2018 | Annunci & info

Una donna di Waikato (Nuova Zelanda) potrebbe essere la prima persona al mondo a miglior...

Scoperta ulteriore 'barriera' anatomica che difende e monitora il ce…

11.01.2023 | Ricerche

Dalla complessità delle reti neurali, alle funzioni e strutture biologiche di base, il c...

Perché il diabete tipo 2 è un rischio importante per lo sviluppo dell'Alz…

24.03.2022 | Ricerche

Uno studio dell'Università di Osaka suggerisce un possibile meccanismo che collega il diabete all'Al...

Nuovo metodo di selezione farmaci spiega perché quelli di Alzheimer falliscono…

31.01.2022 | Ricerche

Analizzando i meccanismi di malattia nei neuroni umani, dei ricercatori dell'Università del...

L'Alzheimer inizia all'interno delle cellule nervose?

25.08.2021 | Ricerche

Uno studio sperimentale eseguito alla Lund University in Svezia ha rivelato che la prote...

Logo AARAssociazione Alzheimer OdV
Via Schiavonesca 13
31039 Riese Pio X° (TV)

Seguici su

 
enfrdeites

We use cookies

We use cookies on our website. Some of them are essential for the operation of the site, while others help us to improve this site and the user experience (tracking cookies). You can decide for yourself whether you want to allow cookies or not. Please note that if you reject them, you may not be able to use all the functionalities of the site.