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Il fumo provoca la demenza? Forse no, dice uno studio

È un fatto inconfutabile che fumare ti fa male. Uno studio dopo l'altro hanno dimostrato che il fumo aumenta il rischio di cancro, malattie cardiache, diabete, persino cecità.


Ma la demenza? Non così in fretta. Uno studio recente ha dimostrato che il fumo non è associato a un rischio più alto di demenza.


Molti studi precedenti hanno trovato una correlazione tra fumo e demenza. Tuttavia, Erin Abner dell'Università del Kentucky e i suoi colleghi desideravano esplorare i risultati con un metodo diverso di analisi dei dati. La Abner ha detto:

"I dati sottostanti (in quegli studi) erano solidi, ma l'analisi non teneva conto dell'idea di un rischio concorrente di mortalità, che ritenevamo fosse un fattore importante da considerare in questo caso, poiché il fumo è associato con così tanta forza alla morte precoce".


Il rischio concorrente è un concetto complicato che può cambiare il modo in cui i dati vengono 'contati' in uno studio e in ultima analisi può modificare le conclusioni dello studio. La Abner chiarisce:

"Se, ad esempio, stessimo studiando le morti per cancro e il fumo, e una delle persone nello studio è morta per una malattia cardiaca, cosa facciamo con i dati di quella persona? Quella persona non ha la possibilità di morire di cancro perché è sopravvenuto un evento in competizione (morte per malattie cardiache). Se ignoriamo questa informazione, i dati non racconteranno la storia giusta".

"Nel caso del nostro studio, se il fumo uccide qualcuno prima che mostri segni di demenza, come si può contare con precisione quella persona? Pensiamo che tali morti dovrebbero essere prese in considerazione quando si prevede il rischio di demenza".


Per rispondere a questa domanda, la Abner e i colleghi hanno esaminato i dati longitudinali di 531 persone inizialmente normali cognitivamente che facevano parte dello studio BRAiNS, che ha seguito centinaia di volontari per più di 11 anni in media, per esplorare gli effetti dell'invecchiamento sulla cognizione. Hanno usato un metodo statistico chiamato Competing Risk Analysis per determinare se vi fosse una connessione tra fumo e demenza una volta incluso il rischio di morte concorrente.


I dati hanno dimostrato che il fumo era associato a un rischio di morte precoce, ma non alla demenza. È interessante notare, ha detto Abner, che queste conclusioni supportano diversi precedenti studi neuropatologici, che non hanno trovato che la patologia di Alzheimer fosse più prevalente nei fumatori.


"Per essere chiari, non stiamo assolutamente promuovendo il fumo in alcun modo", ha detto la Abner. "Stiamo dicendo che il fumo non sembra causare demenza in questa popolazione".


La Abner ha anche notato che, mentre la Competing Risk Analysis è ben nota ed è stata adattata con successo in altre aree di ricerca, non è l'approccio standard nel campo della ricerca sulla demenza, in cui il rischio di morte concorrente è onnipresente:

"Mentre i risultati dei nostri studi potrebbero influenzare la politica e la pratica dell'abbandono del fumo, riteniamo che la conseguenza più importante del nostro lavoro sia dimostrare come questo metodo potrebbe cambiare il modo in cui affrontiamo la ricerca sulla demenza e sostenere la sua adozione nelle aree di studio appropriate".


La Abner osserva che questo non è uno studio basato sulla popolazione, il che significa che i risultati non si applicano necessariamente a tutti i gruppi di persone allo stesso modo:

"Tuttavia, la mancanza di dati neuropatologici, che è la diagnosi standard per confermare le correlazioni in un ampio studio basato sulla popolazione, è una barriera significativa e sempre presente per i ricercatori di demenza".

 

 

 


Fonte: University of Kentucky via EurekAlert! (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Erin L. Abner, Peter T. Nelson, Gregory A. Jicha, Gregory E. Cooper, David W. Fardo, Frederick A. Schmitt, Richard J. Kryscio. Tobacco Smoking and Dementia in a Kentucky Cohort: A Competing Risk Analysis. Journal of Alzheimer's Disease, 2 Mar 2019, DOI: 10.3233/JAD-181119

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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