Con uno studio innovativo, i ricercatori del Centre for Addiction and Mental Health (CAMH) hanno scoperto dei cambiamenti cerebrali legati alla perdita di memoria nelle persone con Morbo di Alzheimer (MA).
La scoperta fornisce un nuovo punto focale per esplorare i modi per trattare o prevenire la demenza, che attualmente colpisce più di 45 milioni di persone al mondo.
Pubblicato ieri su JAMA Psychiatry, lo studio mostra che la capacità del cervello di adattarsi o di cambiare - chiamata plasticità cerebrale - è significativamente più bassa nelle persone con MA che nei coetanei sani. La ricerca si concentra sulla plasticità dei lobi frontali, la regione del cervello coinvolta nelle attività più elevate di pensiero, come la pianificazione e la memoria di lavoro.
La memoria di lavoro è usata per memorizzare e manipolare le informazioni per completare le attività per un breve periodo di tempo, ad esempio fare calcoli mentali. I risultati inoltre rivelano che le persone con plasticità ridotta nei lobi frontali hanno anche meno memoria di lavoro.
"Di interessante c'è che abbiamo dimostrato chiaramente il deterioramento della plasticità cerebrale nei lobi frontali delle persone con MA e abbiamo mostrato che la plasticità cerebrale compromessa è legata alla funzione compromessa dei lobi frontali, in particolare della memoria di lavoro", dice il dottor Tarek Rajji, autore senior dello studio e responsabile della Adult Neurodevelopment and Geriatric Psychiatry Division del CAMH. "Questo può indicare che le carenze nella plasticità del cervello sono alla base dei problemi di memoria".
I risultati sono promettenti perché "la plasticità cerebrale compromessa può essere un obiettivo futuro per il trattamento o la prevenzione della demenza, per la quali non esiste granché attualmente", spiega il dottor Sanjeev Kumar, primo autore dello studio e direttore medico dei servizi geriatrici di salute mentale del CAMH. Il dottor Kumar e il dottor Rajji sono entrambi scienziati clinici dell'Istituto Ricerca Mentale del CAMH.
Una plasticità sana nei lobi frontali è importante perché i ricercatori ritengono che questa regione del cervello supporti la 'riserva cognitiva' (la protezione) del cervello, che compensa il funzionamento più carente in altre aree cerebrali che può contribuire allo sviluppo della demenza. "Si è dimostrato che gli individui con una riserva più alta sviluppano la demenza più tardi nella vita rispetto a chi ha una riserva inferiore", dice il dottor Kumar.
Il team di ricerca ha usato un approccio innovativo, sviluppato dal Dr. Rajji e dai suoi colleghi in precedenti ricerche, per studiare la plasticità cerebrale nei lobi frontali. In questo metodo, i ricercatori usano l'elettroencefalografia del cuoio capelluto (EEG), che misura l'uscita elettrica generata direttamente dai lobi frontali in risposta alla stimolazione cerebrale a due punte, chiamata «stimolazione associativa accoppiata» (paired associative stimulation - PAS).
Il partecipante indossa una cuffia a 64 nodi che trasmette il segnale EEG e i ricercatori misurano il segnale EEG della persona prima e dopo la stimolazione. I cambiamenti in questo segnale sono un indicatore della plasticità cerebrale nei lobi frontali. Lo studio includeva 32 persone con MA e 16 individui sani, tutti dai 65 anni in su. "Sia negli individui sani che in quelli con MA, abbiamo rilevato una risposta di plasticità dai lobi frontali, un fatto positivo in quanto dimostra che i circuiti del cervello stanno ancora funzionando nelle persone con MA", afferma il dottor. Kumar. "Ma la plasticità era significativamente più bassa nelle persone con MA".
Prima della fase PAS dello studio, ogni partecipante si era sottoposto a un test di memoria per valutare la capacità di richiamare sequenze di lettere. Gli individui con la plasticità compromessa hanno avuto anche una scarsa capacità di richiamo.
Come passi successivi, i ricercatori stanno studiando gli approcci per migliorare la plasticità nei lobi frontali. Ciò include la ricerca sulla stimolazione cerebrale da sola o combinata con esercizi di allenamento al cervello.
Dice il Dr. Rajji: "Tra i nostri obiettivi c'è capire se nelle persone con MA possiamo recuperare la plasticità nei lobi frontali e se questo porta ad un miglioramento della memoria. E il miglioramento della plasticità tentato prima, nelle persone a rischio, può impedire la progressione verso la malattia?"
Fonte: Centre for Addiction and Mental Health (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Sanjeev Kumar, Reza Zomorrodi, Zaid Ghazala, Michelle S. Goodman, Daniel M. Blumberger, Amay Cheam, Corinne Fischer, Zafiris J. Daskalakis, Benoit H. Mulsant, Bruce G. Pollock, Tarek K. Rajji. Extent of Dorsolateral Prefrontal Cortex Plasticity and Its Association With Working Memory in Patients With Alzheimer Disease. JAMA Psychiatry. Published online October 25, 2017. doi: 10.1001/jamapsychiatry.2017.3292
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