La ricerca medica deve ancora scoprire un trattamento per l'Alzheimer che rallenti in modo efficace la progressione della malattia, ma neuroscienziati della University of California di Santa Barbara (UCSB) potrebbero aver scoperto un meccanismo mediante il quale l'insorgenza può essere ritardata fino a 10 anni.
Tale meccanismo è una variante genetica - un allele - presente in una parte del genoma che controlla l'infiammazione. La variante sembra impedire l'aumento dei livelli della proteina eotaxina con l'età, che di solito va di pari passo con l'infiammazione. I risultati sono apparsi sulla rivista Molecular Psychiatry.
Il primo autore Matthew Lalli, che ha acquisito il dottorato di ricerca lavorando nel gruppo di ricerca di Kosik alla University of California, ha sequenziato il genoma di oltre 100 membri di una famiglia colombiana colpita da Alzheimer ad esordio precoce.
Questi individui hanno una rara mutazione genetica che porta alla malattia conclamata attorno ai 49 anni di età. Tuttavia, in alcuni casi isolati, la malattia si manifesta fino a un decennio più tardi.
"Volevamo studiare quelli che hanno contratto la malattia più tardi, per vedere se avevano un gene modificatore protettivo", ha detto il co-autore Kenneth S. Kosik (nella foto di Sonia Fernandez), condirettore del Neuroscience Research Institute della University of California e professore del Dipartimento di Biologia Molecolare, Cellulare e dello Sviluppo. "Sappiamo che hanno la mutazione. Perché in loro insorge così tardi, quando la mutazione così potente determina l'età precoce di esordio nella maggior parte dei membri della famiglia? Abbiamo ipotizzato l'esistenza di una variante del gene che in realtà spinge l'insorgenza della malattia fino a 10 anni dopo".
Lalli ha usato un approccio statistico di genetica per determinare se questi casi isolati possiedono una qualsiasi variante protettiva del gene, e ha trovato un gruppo di loro. "Sappiamo che l'età è il fattore di rischio più grande per l'Alzheimer, oltre alla genetica", ha detto Lalli, che ora è ricercatore postdottorato alla Washington University di St. Louis. "La variante che abbiamo trovato è collegata all'età, quindi potrebbe spiegare il meccanismo reale di come un aumento dell'età aumenta il rischio di Alzheimer: attraverso un aumento dell'eotassina".
Per replicare i risultati, i ricercatori della UCSB hanno collaborato con la UC di San Francisco per studiare 150 persone affette da Alzheimer o demenza. I ricercatori della UCSF hanno misurato i livelli di eotassina nel sangue dei partecipanti e hanno raccolto campioni di DNA per capire chi era portatore della variante genetica identificata nella popolazione colombiana.
I risultati hanno mostrato che le persone dello studio della UCSF con la stessa variante avevano livelli di eotassina che non aumentano con l'età. Hanno anche sperimentato un ritardo modesto ma definito nell'insorgenza dell'Alzheimer.
"Se uno ha quella variante, un modo per ritardare o ridurre il rischio di Alzheimer è forse tenere geneticamente a bada il normale aumento di eotassina che avviene nella maggior parte della popolazione", ha spiegato Kosik. "Anche se la mutazione genetica nella popolazione colombiana è estremamente rara, questa variante non lo è. Essa è presente in circa il 30 per cento della popolazione, il che significa che ha il potenziale di proteggere molte persone dall'Alzheimer".
Del lavoro precedente effettuato in modo autonomo alla Stanford University aveva dimostrato che l'aggiunta di eotassina a topi giovani li rende funzionalmente più vecchi. Alla Stanford attualmente stanno anche testando se la trasfusione di sangue da individui giovani a quelli più anziani conferisce benefici. "I risultati di questo lavoro possono fornire ulteriori elementi di prova che l'eotassina ha un ruolo negli effetti deleteri dell'invecchiamento", ha detto Lalli.
"Abbiamo un importante risultato preliminare", ha detto Kosik. "Se questo è un vero e proprio meccanismo di progressione dell'Alzheimer, allora possiamo modificare il livello di eotassina negli individui per curare la malattia, ma i nostri risultati devono essere replicati e dimostrati da altri laboratori, e in popolazioni più grandi".
Fonte: University of California - Santa Barbara via EurekAlert! (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: M A Lalli, B M Bettcher, M L Arcila, G Garcia, C Guzman, L Madrigal, L Ramirez, J Acosta-Uribe, A Baena, K J Wojta, G Coppola, R Fitch, M D de Both, M J Huentelman, E M Reiman, M E Brunkow, G Glusman, J C Roach, A W Kao, F Lopera, K S Kosik. Whole-genome sequencing suggests a chemokine gene cluster that modifies age at onset in familial Alzheimer's disease. Molecular Psychiatry, 2015; DOI: 10.1038/mp.2015.131
Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi citati nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.
Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non dipende da, nè impegna l'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X. I siti terzi raggiungibili da eventuali links contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.
Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.