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*** Siamo in settembre, uno dei 12 mesi dell'anno del tutto uguali per i malati di Alzheimer, i familiari e i caregiver.

Le nuove conferme e scoperte sul diabete

1° studio: Ulteriori prove confermano che il diabete tipo 2 è una malattia infiammatoria

Con l'allargamento del girovita della gente, aumenta anche l'incidenza del diabete di tipo 2. Ora gli scienziati capiscono meglio ciò che avviene nel corpo per condurre al diabete di tipo 2, e cosa presumibilmente provoca alcune delle complicanze correlate alla malattia.


In particolare, scienziati Danesi hanno scoperto nei topi che i macrofagi (un tipo specifico di cellule immunitarie) invadono il tessuto pancreatico diabetico durante le prime fasi della malattia. Quindi, queste cellule infiammatorie producono una grande quantità di proteine pro-infiammatorie, chiamate citochine, che contribuiscono direttamente alla eliminazione delle cellule beta che producono insulina nel pancreas, con conseguente diabete. Questa scoperta è stata pubblicata nel numero di Gennaio 2014 del Journal of Leukocyte Biology.


"Lo studio può fornire nuovi spunti per lo sviluppo di terapie anti-infiammatorie su misura, basate sulla riduzione del fardello dei pazienti di tipo 2", ha detto Alexander Rosendahl, Ph.D., ricercatore coinvolto nel lavoro del Department of Diabetes Complication Biology alla Novo Nordisk A/S di Malov in Danimarca. "Questi nuovi trattamenti possono rivelarsi in grado di integrare le terapie esistenti come l'insulina e gli analoghi GLP-1".


Per arrivare alla loro scoperta, gli scienziati hanno confrontato topi obesi, che avevano sviluppato spontaneamente il diabete, a topi sani. I topi sono stati seguiti dalla giovane età, quando i topi obesi dimostravano solo un diabete precoce, fino ad un'età in cui mostravano complicazione sistemiche in più organi. E' stata valutata la presenza di macrofagi intorno alle cellule beta nel pancreas e nella milza mediante la nuova tecnologia citofluorimetrica che consente la valutazione a livello di singola cellula. In entrambe le fasi, precoce e tardiva, i topi diabetici hanno mostrato delle modulazioni significative rispetto ai topi sani.


"Più i ricercatori conoscono l'obesità e il diabete di tipo 2, più diventa evidente che l'infiammazione ha un ruolo cruciale nella progressione e nella gravità di queste condizioni", ha detto John Wherry, Ph.D., caporedattore del Journal of Leukocyte Biology. "Questo studio fa luce sul modo in cui una cellula infiammatoria chiave è connessa alla malattia e che cosa potrebbe andare storto quando qualcuno ha il diabete di tipo 2. La conoscenza acquisita da tali studi ci offre la speranza che possaano essere sviluppate nuove terapie a base immunitaria per attenuare la gravità di tale malattia".

 

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2° Studio: Perdita di funzione di un singolo gene è legata al diabete nei topi

I ricercatori del College of Medicine alla University of Illinois di Chicago hanno scoperto che la disfunzione di un singolo gene nei topi provoca iperglicemia a digiuno, uno dei principali sintomi del diabete di tipo 2. I loro risultati sono stati riportati online sulla rivista Diabetes.


Se un gene chiamato MADD non funziona correttamente, l'insulina non viene rilasciata nel flusso sanguigno per regolare i livelli di zucchero nel sangue, dice Bellur S. Prabhakar, professore responsabile di microbiologia e immunologia all'UIC e autore principale del documento.


Il diabete di tipo 2 colpisce circa l'8 per cento degli americani e più di 366 milioni di persone nel mondo. Può causare gravi complicazioni, tra cui malattie cardiovascolari, insufficienza renale, perdita di arti e cecità.


In una persona sana, le cellule beta del pancreas secernono l'ormone insulina in risposta all'aumento della glicemia dopo aver mangiato. L'insulina permette al glucosio di entrare nelle cellule in cui può essere utilizzato come energia, mantenendo il livello di glucosio nel sangue in un intervallo ristretto. Le persone con diabete di tipo 2 non producono abbastanza insulina o sono resistenti ai suoi effetti. Esse devono monitorare attentamente la glicemia durante il giorno e, quando i farmaci non ci riescono, iniettarsi l'insulina.


In un precedente lavoro, Prabhakar aveva isolato diversi geni dalle cellule beta umane, tra cui il MADD, che è coinvolto anche in alcuni tumori. Piccole variazioni genetiche riscontrate tra le migliaia di soggetti umani hanno rivelato che una mutazione nel MADD è fortemente associata con il diabete di tipo 2 negli Europei e nei Cinesi Han. Le persone con questa mutazione hanno alti livelli di glucosio nel sangue e problemi di secrezione dell'insulina, le "caratteristiche del diabete di tipo 2", ha detto Prabhakar. Ma non era chiaro come la mutazione causa i sintomi, o se li causa da sola o in concerto con altri geni associati al diabete di tipo 2.


Per studiare il ruolo del MADD nel diabete, Prabhakar ed i suoi colleghi hanno sviluppato un modello di topo in cui il gene MADD è eliminato dalle cellule beta produttrici di insulina. Tutti questi topi avevano elevati livelli di glucosio nel sangue, che secondo i risultati dei ricercatori, dipendono dal rilascio insufficiente di insulina. "Non abbiamo visto alcuna resistenza all'insulina nelle loro cellule, ma è chiaro che le cellule beta non funzionano correttamente", ha dichiarato Prabhakar.


L'esame delle cellule beta ha rivelato che erano piene di insulina. "Le cellule stavano producendo molta insulina, solo che non la stavano secernendo", ha detto. La scoperta dimostra che il diabete di tipo 2 può essere causato direttamente dalla perdita del corretto funzionamento del gene MADD da solo, secondo Prabhakar. "Senza il gene, l'insulina non può lasciare le cellule beta, ed i livelli di glucosio nel sangue diventano cronicamente elevati".


Prabhakar ora spera di studiare l'effetto di un farmaco che permette la secrezione di insulina nelle cellule beta carenti di MADD. "Se questo farmaco funziona invertendo i deficit associati a un gene MADD difettoso nelle cellule beta dei nostri topi modello, potrebbe avere il potenziale di trattare le persone con questa mutazione che hanno un difetto nella secrezione insulinica e/o il diabete di tipo 2", ha detto.


Co-autori dello studio sono Jose Oberholzer, capo della chirurgia di trapianto, e Ajay V. Maker, assistente professore di chirurgia all'Hospital & Health Sciences System della University of Illinois; Yong Wang, Ryan Carr, Samir Haddad, Ze Li, Lixia Qian, e Qian Wang del College of Medicine dell'UIC, e-Liang Cheng Li della Xiamen University. La ricerca è stata finanziata dal National Institutes of Health.

 

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3° studio: Scienziati spiegano l'obesità legata all'età - il grasso bruno fallisce

Visto che molte persone si propongono di perdere peso all'inizio del nuovo anno, ecco il motivo per cui sembra progressivamente più facile mettere su chili indesiderati: una nuova ricerca pubblicata nel numero di gennaio 2014 di The FASEB Journal, dimostra che quando invecchiamo si riduce l'attività termogenica del tessuto adiposo bruno.


Il grasso bruno è il grasso "buono", che si trova nella parte posteriore del collo, che aiuta a bruciare il grasso bianco "cattivo" intorno alla nostra pancia. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto anche un possibile interruttore on/off metabolico che potrebbe riattivare il grasso bruno.


"Gli studi futuri sul modo in cui la segnalazione PAF/PAFR controlla i livelli di UCP1, attraverso la produzione di beta3-AR nel tessuto adiposo bruno (BAT) di animali ed esseri umani, potranno rivelare nuovi bersagli terapeutici per il trattamento dei disturbi metabolici associati all'obesità", ha detto Junko Sugatani, Ph.D., ricercatore coinvolto nel lavoro, del Dipartimento di Farmaco-Biochimica della Scuola di Scienze Farmaceutiche all'Università di Shizuoka a Shizuoka in Giappone.


Per fare questa scoperta, gli scienziati hanno analizzato due gruppi di topi. A quelli del primo gruppo è stato eliminato il gene recettore del fattore che attiva le piastrine (PAFR). Il secondo gruppo era normale. I topi carenti di PAFR hanno sviluppato uno stato obeso più grave, caratterizzato da maggiore massa grassa corporea ed epididimica con l'età, rispetto a quello dei coetanei normali.


Le evidenze sul modello genetico senza PAFR rivelano che la carenza di PAFR provoca una disfunzione del tessuto adiposo bruno (BAT), che converge per indurre lo sviluppo di obesità, a causa della ridotta attività termogenica del BAT. Questo studio potrebbe chiarire il meccanismo molecolare alla base dell'anti-obesità mediata dal recettore PAF/PAF, portando allo sviluppo di nuovi bersagli per il trattamento dell'obesità e dei disturbi correlati, come diabete, ipertensione, malattie cardiache, cancro, infertilità e ulcere.


"Una lamentela comune è che gli anziani devono lavorare il doppio con la loro dieta e con l'esercizio fisico per ottenere la metà dei risultati di giovani", ha detto Gerald Weissmann, MD, caporedattore di The FASEB Journal."Ora abbiamo un'idea molto più chiara del perché succede questo: il nostro grasso bruno smette di funzionare quando invecchiamo. Purtroppo, fino a quando non verrà sviluppato un modo per riattivarlo, dovremo essere pronti a mangiare più insalate e proteine magre e fare più chilometri sul tapis roulant, rispetto ai nostri colleghi più giovani".

 

 

 

 

 


1° studio
Fonte
Federation of American Societies for Experimental Biology, via EurekAlert!
Riferimenti: H. Cucak, L. G. Grunnet, A. Rosendahl. Accumulation of M1-like macrophages in type 2 diabetic islets is followed by a systemic shift in macrophage polarization. Journal of Leukocyte Biology, 2013; DOI: 10.1189/jlb.0213075
Pubblicato in eurekalert.org (> English version)

2° studio
FonteUniversity of Illinois at Chicago.
Riferimenti: L.-c. Li, Y. Wang, R. Carr, C. S. Haddad, Z. Li, L. Qian, J. Oberholzer, A. V. Maker, Q. Wang, B. S. Prabhakar. IG20/MADD Plays a Critical Role in Glucose-Induced Insulin Secretion. Diabetes, 2013; DOI: 10.2337/db13-0707
Pubblicato in news.uic.edu (>English version)

3° studio
FonteFederation of American Societies for Experimental Biology, via EurekAlert!
Reference: J. Sugatani, S. Sadamitsu, M. Yamaguchi, Y. Yamazaki, R. Higa, Y. Hattori, T. Uchida, A. Ikari, W. Sugiyama, T. Watanabe, S. Ishii, M. Miwa, T. Shimizu. Antiobese function of platelet-activating factor: increased adiposity in platelet-activating factor receptor-deficient mice with age. The FASEB Journal, 2013; DOI: 10.1096/fj.13-233262
Pubblicato in eurekalert.org (>English version)


Traduzioni
di Franco Pellizzari

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