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Memorizziamo ricordi falsi e veri nello stesso luogo

Il fenomeno dei ricordi falsi è ben documentato: in molti casi giudiziari, gli imputati sono stati riconosciuti colpevoli sulla base di dichiarazioni di testimoni e vittime certi dei loro ricordi, ma una prova del DNA ha successivamente annullato la condanna.


Neuroscienziati del MIT hanno fatto un passo verso la comprensione del modo in cui sorgono questi ricordi erronei, dimostrando di poter piantare falsi ricordi nel cervello dei topi. Hanno anche scoperto che molte delle tracce neurologiche di questi ricordi sono identiche in natura a quelle dei ricordi autentici.


"Che si tratti di memoria falsa o vera, il meccanismo neurale del cervello alla base del richiamo del ricordo è lo stesso", dice Susumu Tonegawa, professore di Biologia e Neuroscienze e autore di un documento che descrive i risultati [dello studio] nel numero del 25 Luglio di Science. Lo studio fornisce inoltre un'ulteriore prova che i ricordi sono immagazzinati in reti di neuroni che formano tracce di memoria per ogni esperienza che abbiamo, un fenomeno dimostrato dal laboratorio di Tonegawa per primo l'anno scorso.


I neuroscienziati hanno cercato a lungo la posizione di queste tracce di memoria, chiamate anche engrammi. Nella coppia di studi, Tonegawa e colleghi del Picower Institute for Learning and Memory del MIT hanno dimostrato di poter identificare le cellule che costituiscono parte di un engramma per una memoria specifica, e di riattivarlo utilizzando una tecnologia chiamata optogenetica.


Gli autori principali del documento sono lo studente laureato Steve Ramirez e il ricercatore Xu Liu. Altri autori sono l'assistente tecnico Pei-Ann Lin, il ricercatore Junghyup Suh, e i dottori di ricerca Michele Pignatelli, Roger Redondo e Tomas Ryan.

 

Cercare l'engramma

I ricordi episodici (ricordi di esperienze) sono fatti di associazioni tra diversi elementi, compresi oggetti, spazio e tempo. Queste associazioni sono codificate da cambiamenti fisici e chimici nei neuroni, nonché da modifiche delle connessioni tra i neuroni. Il luogo dove risiedono questi engrammi nel cervello è stato un mistero per lungo tempo nel campo delle neuroscienze. "Le informazioni sono sparse in diverse parti del cervello, o c'è una particolare area del cervello in cui questo tipo di memoria viene memorizzato? Questa è una domanda fondamentale", spiega Tonegawa.


Nel 1940, il neurochirurgo canadese Wilder Penfield ha suggerito che i ricordi episodici si trovano nel lobo temporale del cervello. Quando Penfield stimolava elettricamente le cellule nei lobi temporali dei pazienti che erano in procinto di sottoporsi ad un intervento chirurgico per il trattamento di crisi epilettiche, i pazienti riferivano di avere dei ricordi specifici. Studi successivi sul paziente affetto da amnesia conosciuto come "HM", hanno confermato che il lobo temporale, compresa la zona conosciuta come ippocampo, è fondamentale per la formazione dei ricordi episodici.


Tuttavia, questi studi non hanno dimostrato che gli engrammi siano in realtà memorizzati nell'ippocampo, secondo Tonegawa. Per farlo, gli scienziati dovevano dimostrare che l'attivazione di specifici gruppi di cellule dell'ippocampo è sufficiente a produrre e a recuperare i ricordi. A tal fine, il laboratorio di Tonegawa si è rivolto all'optogenetica, una nuova tecnologia che permette alle cellule di essere attivate o disattivate selettivamente con la luce. ​​


Per questa coppia di studi, i ricercatori hanno manipolato le cellule dell'ippocampo del topo perché esprimessero il gene della channelrhodopsin, una proteina che attiva i neuroni quando è stimolata dalla luce. Essi hanno inoltre modificato il gene in modo che fosse prodotta la channelrhodopsin ogni volta che si accendeva il gene c-fos, necessario per la formazione dei ricordi.


Nello studio dello scorso anno, i ricercatori hanno condizionato questi topi a temere una particolare stanza attraverso una lieve scossa elettrica. Dopo che il topo aveva avuto questa esperienza, hanno acceso il gene c-fos, insieme con il gene della channelrhodopsin manipolato. In questo modo, le cellule che codificano la traccia del ricordo sono state "etichettate" con le proteine ​​sensibili alla luce.


Il giorno dopo, quando i topi sono stati messi in una camera diversa che non avevano mai visto prima, si comportavano normalmente. Tuttavia, quando i ricercatori hanno inviato un impulso di luce all'ippocampo, stimolando le cellule di memoria etichettate con la channelrhodopsin, i topi sono rimasti pietrificati dalla paura, perchè è stato riattivato il ricordo del giorno precedente.


"Rispetto alla maggior parte degli studi che trattano il cervello come una scatola nera cercando di accedervi dall'esterno, qui cerchiamo di studiare il cervello dal di dentro"
, dice Liu. "La tecnologia che abbiamo sviluppato per questo studio ci permette di sezionare, e anche potenzialmente di armeggiare con, il processo della memoria, controllando direttamente le cellule cerebrali".

[...]

Il team del MIT ha ora in programma ulteriori studi sul modo di distorcere i ricordi nel cervello.


"Ora che siamo in grado di riattivare e modificare il contenuto della memoria nel cervello, possiamo cominciare a farci domande che una volta erano nel regno della filosofia", dice Ramirez."Ci sono varie condizioni che portano alla formazione di falsi ricordi? Possono essere creati artificialmente falsi ricordi per eventi sia piacevoli che avversi? Che dire dei falsi ricordi per più che semplici contesti? ... per gli oggetti, il cibo o per altri topi? Queste sono le domande, una volta apparentemente fantascientifiche, che possono ora essere affrontate sperimentalmente in laboratorio".

 

 

 

 

 


Fonte: Massachusetts Institute of Technology. Articolo originale scritto da Anne Trafton.

Riferimento: Steve Ramirez, Xu Liu, Pei-Ann Lin, Junghyup Suh, Michele Pignatelli, Roger L. Redondo, Tomás J. Ryan, and Susumu Tonegawa. Creating a False Memory in the Hippocampus. Science, 26 July 2013: 387-391 DOI: 10.1126/science.1239073

Pubblicato in Science Daily (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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