Molti pazienti affetti da demenza sono stati trattati con antipsicotici, ma un nuovo studio mostra che un semplice antidolorifico può essere un'alternativa migliore.
Quasi uno di cinque pazienti dello studio è diventato molto meno agitato e aggressivo dopo il trattamento con antidolorifici. Il progetto è frutto della collaborazione tra ricercatori in Norvegia e in Inghilterra.
Gestione del dolore per aggressione e agitazione
Lo studio ha coinvolto 352 pazienti con demenza da moderata a grave che presentavano notevoli problemi comportamentali come aggressività e agitazione. Durante le otto settimane di studio, tutti i pazienti hanno ricevuto il loro solito trattamento, ma la metà di loro hanno ricevuto in più il trattamento del dolore. L'agitazione è un sintomo comune della demenza, i pazienti possono diventare angosciati, turbati e irascibili. Molti ricevono farmaci antipsicotici destinati a ridurre i disturbi comportamentali, ma gli antipsicotici hanno un potente effetto sedativo e possono anche esacerbare i sintomi della demenza e aumentare il rischio di ictus.
Il dolore porta all'aggressività
"Il miglioramento sperimentato dai pazienti era maggiore di quanto ci si sarebbe aspettato dal trattamento con antipsicotici", dice Bettina Husebø, ricercatrice post-dottorato dell'Università di Bergen, Dipartimento di sanità pubblica e di sanità di base. Lo studio, che dirige, riceve finanziamenti dal programma di ricerca sui servizi sanitari e dell'assistenza (HELSEOMSORG) del Consiglio norvegese per la ricerca. "Abbiamo ipotizzato che i disturbi comportamentali nei pazienti affetti da demenza sono a volte causati dal dolore", spiega. "Questi pazienti non possono sempre comunicare ai loro assistenti che soffrono, e così l'aggressività e l'agitazione diventano il loro modo di esprimerlo".
Recidive dopo la riduzione
Nel gruppo di intervento, ai pazienti che non stavano già assumendo farmaci anti-dolore è stato dato paracetamolo (acetaminofene). I pazienti che stavano già assumendo una qualche forma di antidolorifico analgesico hanno ricevuto basse dosi di morfina o buprenorfina, mentre chi sembrava aver un dolore neuropatico ha ricevuto un farmaco antiepilettico. Dopo le otto settimane, il trattamento del dolore è stato gradualmente ridotto e il gruppo di pazienti di intervento hanno mostrato un miglioramento marcato. Ma quattro settimane dopo i disordini comportamentali hanno iniziato a ripetersi. "Alcune persone possono spiegare questi risultati positivi, sostenendo che abbiamo ulteriormente sedato il paziente. Ma nel corso dello studio abbiamo preso le misure di controllo che hanno mostrato che il livello di attività (nella vita quotidiana e della cognizione) di entrambi i gruppi è rimasta invariata durante le otto settimane di terapia del dolore", sottolinea il dottor Husebø.
"E' necessario formare alla valutazione del dolore"
Lei ritiene che i risultati indicano che la gestione del dolore dovrebbe essere integrata nel trattamento clinico delle persone con demenza nelle case di riposo. "La valutazione del dolore è un fattore critico nella gestione corretta del dolore. In futuro dobbiamo fare in modo che tutti i database delle case di cura dispongano di strumenti standardizzati per la valutazione del dolore basati sull'osservazione dei pazienti. Il personale avrà bisogno di essere formato per utilizzare questi strumenti, edevono essere sviluppate le routine per accertarsi che gli strumenti sono effettivamente impiegati". La Dssa Husebø sottolinea, tuttavia, che la gestione del dolore non è una soluzione completa, ma piuttosto parte di un piano globale in cui l'attività e la comunicazione sono elementi essenziali.
Innescato l'effetto Hawthorne
I ricercatori di questo studio hanno registrato un certo miglioramento del comportamento pure nei pazienti del gruppo di controllo, cioè quelli che non avevano ricevuto farmaci antidolorifici. Questo può essere spiegato con l'effetto Hawthorne: prendere parte a uno studio può di per sé produrre cambiamenti positivi e temporanei. "Il personale della casa di cura nello studio ha ricevuto una buona formazione e sono stati seguiti bene. Questa maggiore conoscenza e consapevolezza del problema in generale", spiega il dottor Husebø, "ha avuto a sua volta un impatto su tutti i pazienti, non solo quelli il cui trattamento è stato modificato".
I risultati sono stati pubblicati sul British Medical Journal.
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Fonte: Materiale del Consiglio norvegese per la ricerca. L'articolo originale è stato scritto da Elin Fugelsnes / Else Lie. Riferimenti: BS Husebo, C. Ballard, R. Sandvik, OB Nilsen, D. Aarsland. Efficacy of treating pain to reduce behavioural disturbances in residents of nursing homes with dementia: cluster randomised clinical trial. BMJ, 2011; 343 (jul15 1): d4065 DOI: 10.1136/bmj.d4065. PB Rosenberg, CG Lyketsos. Treating agitation in dementia. BMJ, 2011; 343 (jul15 1): d3913 DOI: 10.1136/bmj.d3913. Pubblicato in ScienceDaily il 6 settembre 2011 - Traduzione di Franco Pellizzari. Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi, eventualmente citati nell'articolo, sono riservati ai rispettivi proprietari. Liberatoria: Questo articolo non si propone come terapia o dieta; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non dipende da, nè impegna l'Associazione Alzheimer Riese. I siti terzi raggiungibili dagli annunci pubblicitari proposti da Google sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente; in particolare si segnala la presenza frequente di una istituzione medica con base in Germania (xcell-Center) che propone la cura dell'Alzheimer con cellule staminali; la Società Tedesca di Neuroscienze ha più volte messo in guardia da questa proposta il cui effetto non è dimostrato. Liberatoria completa qui.
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