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Uso di terapie antidiabetiche per trattare l'Alzheimer

Un nuovo studio (rif.1), pubblicato su JAMA Neurology, si somma ai dati esistenti che suggeriscono una relazione tra insulino-resistenza e rischio di sviluppare l'Alzheimer (AD), e anche che l'insulina potrebbe potenzialmente essere usata per trattare o rallentare il declino cognitivo.


Medscape ha recentemente parlato con Roger S. McIntyre MD, professore di psichiatria e farmacologia dell'Università di Toronto, sul modo in cui l'insulina influenza la cognizione e la salute del cervello.

 


Medscape: Molta ricerca recente ha esaminato la relazione tra insulina, insulino-resistenza, e il declino cognitivo. Sulla base delle attuali evidenze puoi riassumere ciò che sappiamo di questa associazione?

Dr McIntyre: Questo problema assomiglia all'interfaccia tra infiammazione e cervello, in quanto si tratta di una zona che è esplosa di recente nell'attività. Ci sono alcune ragioni per cui i ricercatori passano ora più tempo a pensare al ruolo del metabolismo dell'insulina nel contribuire o nel causare psicopatologie come il deficit cognitivo, o addirittura i disturbi psichiatrici reali, come l'AD, la depressione e il disturbo bipolare.

Potresti aver visto alcune delle evidenze recenti (rif.2) che mostrano un'associazione tra diabete di tipo 2 e le varie malattie mentali, tra cui il disturbo post traumatico da stress (PTSD). La gente oggi vive più a lungo con diabete di tipo 2 rispetto a 20, 30 o 40 anni fa, quindi ora appaiono alcune delle conseguenze cerebrali del diabete.

In secondo luogo, il diabete aumenta significativamente il rischio di sviluppare non solo la demenza vascolare, ma anche l'AD. Ora si ritiene che una percentuale considerevole di casi di AD siano direttamente attribuibili al diabete di tipo 2, e una percentuale maggiore sono probabilmente da attribuire ad altri fattori che marciano nella stessa direzione, come il diabete, l'obesità, il fumo, l'inattività abituale, e la cattiva alimentazione. Qui ci sono persone che vivono più a lungo con il diabete, e vediamo le conseguenze per il cervello, compresi i problemi cognitivi come la demenza.

Abbiamo una epidemia di diabete in corso. Abbiamo una epidemia di obesità in corso. Penso che tutti questi fattori di sanità pubblica stiano creando una certa tempesta perfetta che influisce notevolmente sul cervello.

 


Medscape: Qual è il ruolo che l'insulina e la resistenza all'insulina sembrano avere nella cognizione compromessa?

Dr McIntyre: Nel 2015, non abbiamo ancora alcuna prova che l'insulina sia prodotta nel cervello umano, oltre al pancreas. La stessa insulina è prodotta in periferia; tuttavia, ci sono recettori nel cervello. Tutti sanno che l'insulina ha un ruolo critico nel facilitare l'utilizzo del glucosio nel corpo umano, e sembra ragionevole (ma in realtà non è vero) che l'insulina sia necessaria anche al cervello per usare lo zucchero.

L'insulina è responsabile dell'utilizzo dello zucchero per organi come il cuore. Ma Madre Natura ci ha fatto evolvere in modo tale che il cervello (ovviamente un organo estremamente cruciale) può usare lo zucchero direttamente e non ha bisogno di insulina. Quindi la domanda è: se l'insulina non è richiesta nel cervello per usare il glucosio (cosa che fa in tutto il resto del corpo), allora perché il cervello ha recettori per l'insulina?

Possiamo guardare dove sono questi recettori di insulina nel cervello e dove è attiva l'insulina, e alcune osservazioni sono state fatte. Una è che i recettori dell'insulina sono distribuiti in tutto il cervello; tuttavia, la loro distribuzione è sovra-rappresentata in quei circuiti cerebrali responsabili delle funzioni cognitive, e questo è molto interessante. Le aree del cervello alle quali ci affidiamo per pensare, per codificare i ricordi, per richiamare gli eventi del passato, sono tutte fortemente popolate da recettori dell'insulina.

A questo proposito, prendiamo la ricerca sugli animali. Se elimini del tutto (o anche solo in parte) l'insulina o il gene del recettore dell'insulina, il cervello di ratti e topi non si sviluppa più correttamente, con conseguenti anomalie strutturali. Quindi è abbastanza convincente la prova che l'insulina è responsabile dell'architettura strutturale del cervello, oltre ad essere situata su quei circuiti cognitivi.

 


Medscape: Qual è il rapporto tra insulina e amiloide-beta?

Dr McIntyre: Questa parte è davvero interessante dal punto di vista della conoscenza, in particolare il collegamento con l'AD. L'insulina, come ogni altra proteina nel corpo, deve essere degradata; fa parte del processo di riciclaggio del nostro corpo. L'enzima nel sistema nervoso centrale che degrada l'insulina va sotto il nome, opportunamente, di «enzima insulino-degradante» (IDE). L'IDE, oltre a degradare l'insulina, degrada anche altre proteine, una delle quali è l'amiloide. L'amiloide è considerata la proteina che contribuisce all'AD.

Nel decorso del diabete, il corpo inizia ad avere insulino-resistenza; per compensarlo, il corpo produce più insulina. Nelle primissime fasi del diabete di tipo 2, se si dovesse guardare a livello di insulina nel sangue, è un po' più alta del normale. Questa è una risposta compensatoria iperinsulinica.

Quello che succede è che una maggiore quantità di insulina attraversa la barriera emato-encefalica del cervello. Ora il cervello si trova di fronte un livello relativamente elevato di insulina, superiore a quello a cui sarebbe esposto in condizioni fisiologiche normali. L'IDE ha ora la responsabilità di degradare l'insulina supplementare, cosa che fa facilmente. Il sottoprodotto di questo non è più in grado di biodegradare l'amiloide nella stessa misura.

Nelle prime fasi del diabete degli esseri umani, si cominciano a vedere depositi di amiloide nel cervello. Una volta che si deposita l'amiloide nel cervello umano, è un po' come andare in un bosco molto secco o sulle colline aride della California in questo momento e far cadere un fiammifero. Si innesca un incendio, seguito da una cascata di eventi neurodegenerativi. Questa non è una teoria, è stato dimostrato nei roditori rendendoli diabetici. Le persone possono avere problemi cognitivi nell'ambito del diabete, che possono non essere AD, ma che potrebbero invece essere legati ai cambiamenti strutturali menzionati in precedenza.

E se dovessimo introdurre l'insulina come trattamento? Avere il diabete ti lascia con un rischio più alto di AD, ma se si prende l'insulina per il diabete, il rischio di AD è più basso.

Ma c'è anche qualcosa a proposito di un farmaco antidiabetico che, in generale, sta succedendo qui. Ci sono altri trattamenti, come la metformina e la nuova generazione di farmaci antidiabetici chiamati incretine, che hanno dimostrato nei modelli animali di avere un effetto pro-cognitivo (rif.3).

Circa 5 anni fa, abbiamo pubblicato un articolo (rif.4) su individui con disturbo bipolare che non erano diabetici. Abbiamo dato alla metà di loro un placebo, e l'altra metà ha ricevuto insulina intranasale. L'insulina intranasale, passando nel naso, va direttamente al cervello e non influenza i livelli di glucosio periferico. Abbiamo scoperto che ha aiutato molti pazienti nelle loro prestazioni di funzione cognitiva. In realtà è stato un intervento pro-cognitivo.

Negli ultimi 2 mesi abbiamo finito un secondo studio sulla depressione e stiamo analizzando i dati. Poi c'è un altro studio (rif.5) di un mio collega di Winston-Salem che mostra che nel decadimento cognitivo lieve (MCI) e nell'AD ci sono benefici con l'insulina intranasale rispetto al placebo sulle misure della funzione cognitiva.

L'altro aspetto che ritengo si riferisca a questo è l'influenza dell'obesità. Il trattamento più efficace, a quanto pare, per l'obesità è la chirurgia bariatrica. Ed è ora stato dimostrato che la chirurgia bariatrica non solo causa una significativa perdita di peso, ma ha anche un effetto molto favorevole sul diabete e sulle malattie cardiache. Può anche causare significativi miglioramenti nella funzione cognitiva (rif.6), che dimostrerebbe il ruolo critico dell'insulina, perché ovviamente, se si perde molto peso, c'è un effetto positivo sulla segnalazione dell'insulina.

Anche l'infiammazione sembra avere un ruolo qui e potrebbe essere ridotta con la perdita di peso. Il legame tra perdita di peso ed effetto positivo sull'infiammazione può essere concettualizzato con la produzione di molecole infiammatorie da parte delle cellule adipose (adipociti). Le molecole infiammatorie hanno un effetto negativo sul cervello e contribuiscono alla resistenza all'insulina. Alcuni dei trattamenti che sono attualmente in fase di sviluppo (o in molti casi con obiettivo modificato) per applicazioni anti-infiammatorie del sistema nervoso centrale (SNC) sono la minociclina, i farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), gli inibitori cicloossigenasi-2 (COX-2 ), i biologici (ad esempio infliximab) e la curcumina (curcuma).

Inoltre, le persone che hanno perso molto peso hanno maggiori probabilità di dormire bene. La privazione del sonno è fortemente anti-cognitiva. Una notte di privazione del sonno provoca pro-infiammazione e insulino resistenza.

 


Medscape: Quindi i farmaci per il diabete, oltre all'insulina, sono allo studio sugli esseri umani?

Dr McIntyre: Sì. Abbiamo appena iniziato uno studio nel nostro centro, esaminando pazienti con depressione o disturbo bipolare, che non sono diabetici. Stiamo per dare loro il farmaco antidiabetico Liraglutide (uno dei nuovi agenti) e usiamo la risonanza magnetica ad alta risoluzione per valutarne l'impatto sull'efficienza funzionale, sulle reti neurali cognitive.

Tutto questo è ancora sperimentale, ma c'è tanta consapevolezza là fuori, anche da parte della American Diabetes Association. La gente ora sa che c'è un legame tra il diabete e l'AD e cerca disperatamente di saperne di più sulla relazione con la cognizione in generale.

 


Medscape: Pensi che questi farmaci potrebbero aiutare le persone senza diabete a ridurre il rischio di AD? Potrebbero usarli preventivamente, per esempio, su qualcuno con rischio familiare di demenza?

Dr McIntyre: Assolutamente. Credo che nel caso dell'insulina intranasale, abbiamo visto quanto sia efficace nelle persone che non sono diabetiche. Nel caso di alcuni di questi farmaci antidiabetici di nuova generazione, le incretine, crediamo che queste potrebbero aiutare le persone che hanno problemi cognitivi o malattie mentali che non sono diabetici. Ma ancora una volta, queste dovrebbero essere date per via intranasale, in modo da non abbassare la glicemia in periferia.

Noi crediamo che non solo gli antidiabetici e i farmaci anti-infiammatori, ma qualsiasi intervento con effetti anti-infiammatori o antidiabetici, potrebbe aiutare nei problemi cognitivi o nei disturbi mentali. Oltre agli agenti menzionati in precedenza, altri possibili interventi includono le terapie con meditazione di consapevolezza, la normalizzazione del sonno, e forse anche gli interventi dietetici e il microbioma.

 

 

 


Fonte: Bret S. Stetka MD e Roger S. McIntyre MD in Medscape (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti:

  1. Willette AA, Bendlin BB, Starks EJ, et al. Association of insulin resistance with cerebral glucose uptake in late middle-aged adults at risk for Alzheimer disease. JAMA Neurol. 2015 Jul 27. [Epub ahead of print]

  2. Roberts AL, Agnew-Blais JC, Spiegelman D, et al. Posttraumatic stress disorder and incidence of type 2 diabetes mellitus in a sample of women: a 22-year longitudinal study. JAMA Psychiatry. 2015;72:203-210.

  3. McIntyre RS, Soczynska JK, Lewis GF, MacQueen GM, Konarski JZ, Kennedy SH. Managing psychiatric disorders with antidiabetic agents: translational research and treatment opportunities. Expert Opin Pharmacother. 2006;7:1305-1321. Abstract

  4. McIntyre RS, Soczynska JK, Woldeyohannes HO, et al. A randomized, double-blind, controlled trial evaluating the effect of intranasal insulin on neurocognitive function in euthymic patients with bipolar disorder. Bipolar Disord. 2012;14:697-706. Abstract

  5. Claxton A, Baker LD, Hanson A, et al. Long-acting intranasal insulin detemir improves cognition for adults with mild cognitive impairment or early-stage Alzheimer's disease dementia. J Alzheimers Dis. 2015;44:897-906. Abstract

  6. Soczynska JK, Kennedy SH, Woldeyohannes HO, et al. Mood disorders and obesity: understanding inflammation as a pathophysiological nexus. Neuromolecular Med. 2011;13:93-116. Abstract

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