Onde elettromagnetiche per curare l' Alzheimer: è targato Brescia l' ultimo importante traguardo della ricerca per l' intervento non farmacologico su questo tipo di pazienti colpiti da malattia neurovegetativa progressiva.
Già la stimolazione magnetica era utilizzata per la ricerca e la diagnostica. Ora si apre una nuova frontiera, quella della terapia, cominciando dal miglioramento del linguaggio grazie a una stimolazione magnetica mirata e indolore.
Si tratta di una sperimentazione condotta dai ricercatori dell' Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico «Centro San Giovanni di Dio» Fatebenefratelli di Brescia che dalle 16, alla presenza del ministro Livia Turco, festeggia i 10 anni di attività.
Nato come ospedale psichiatrico nell' 82, l' Istituto ricevette proprio il 19 dicembre del 1996 la delega ministeriale alla ricerca rivolta in modo specifico alla riabilitazione e cura dei malati di Alzheimer e psichiatrici, al fine di sperimentare nuovi modelli di intervento.
Diversi i punti di eccellenza del Fatebenefratelli, fino al recente e clamoroso studio condotto in collaborazione con altri prestigiosi centri (Università di Brescia, San Raffaele di Milano, Campus Biomedico di Roma) e promosso dalla prestigiosa rivista «Archives of Neurology» che ne ha pubblicato la sintesi.
La ricerca è tutt' ora in fase sperimentale, ma i risultati raggiunti sottolineano il potenziale ruolo terapeutico della stimolazione magnetica, capace di modificare l' attività funzionale del cervello in modo focalizzato e non invasivo.
La nuova frontiera della lotta all' Alzheimer - e a tante altre forme di malattie neurodegenerative - fa leva sugli apparecchi Tms (Stimolazione magnetica transuranica) costituiti da un generatore di corrente elettrica a elevata intensità che viene scaricata su una sonda di rame fatta a spire.
La corrente circolando in queste spire crea un campo magnetico molto forte, ma per meno di un millesimo di secondo. Se si appoggia questa sonda sulla testa, il campo magnetico oltrepassa la pelle e le ossa del cranio senza provocare alcun dolore, e induce un' attività a livello corticale stimolando le cellule nervose fino a migliorare sensibilmente i problemi di linguaggio dei pazienti.
Articolo di Nunzia Vallini, Corriere della Sera, 19 dicembre 2006, Archivio storico.