Anche se i sintomi più immediatamente minacciosi del Covid-19 sono respiratori, i neuroscienziati stanno studiando intensamente la pandemia dal punto di vista del sistema nervoso centrale. La ricerca clinica ed i rapporti sui casi ci danno molte prove del suo impatto sul cervello.
Per prevenire dei possibili problemi neurologici da infezione a lungo termine, vari laboratori del Picower Institute for Learning and Memory del MIT hanno iniziato a eseguire ricerche per determinare se e come colpisce il cervello, direttamente o tramite la risposta immunitaria accresciuta del corpo. Se lo fa veramente, sarebbe coerente con una storia di rapporti che le infezioni e l'attività del sistema immunitario in altre parti del corpo possono avere un impatto a lungo termine sulla salute mentale.
Mentre alcuni scienziati, per esempio, sospettano di un ruolo delle malattie infettive sulle malattie neurodegenerative (come il Parkinson o le demenze), Gloria Choi del MIT e Jun Huh, immunologo della Harvard University, hanno tracciato meticolosamente il percorso attraverso il quale l'infezione in una madre incinta può portare a sintomi di autismo nel figlio e come, controintuitamente, l'infezione nelle persone con alcuni disturbi dello spettro autistico può attenuare temporaneamente i sintomi comportamentali.
Con la sua profonda esperienza nelle interazioni neuro-immunitarie, così come nei sistemi neurali alla base del senso dell'olfatto, che è segnalato mancante in alcuni pazienti con Covid-19, la Choi ha in programma diversi studi collaborativi sul coronavirus.
“Con questi diversi sintomi neurologici sospetti, se potessimo determinare i meccanismi basilari con cui il sistema immunitario colpisce il sistema nervoso quando è infetto da SARS-CoV-2 o virus collegati, potremmo essere preparati ad intervenire per la prossima pandemia“, dice la Choi, assistente professore di Biologia Applicata nel Dipartimento di Scienze Cognitive e del Cervello.
Come la Choi, la prof.ssa Li-Huei Tsai del MIT sta programmando studi sull'impatto neurologico del Covid-19. Gli studi della Tsai nel morbo di Alzheimer comprendono studi sulla barriera emato-encefalica, che blocca strettamente ciò che entra ed esce dal cervello attraverso il sistema circolatorio. Le tecnologie che sta sviluppando il suo laboratorio con i collaboratori, tra cui il Professor Robert Langer del MIT, hanno messo la squadra in una posizione unica per valutare se e in che modo l'infezione da coronavirus potrebbe superare o eludere quella salvaguardia.
“È fondamentale sapere come il coronavirus potrebbe influenzare il cervello”, spiega la Tsai. “Siamo ansiosi di portare la nostra tecnologia per affrontare tale questione”.
Interazioni neuro-immuni
La Choi sta prendendo in considerazione tre linee di ricerca sul coronavirus. Insieme ai colleghi del Picower Institute del MIT, il professor Mriganka Sur e l'assistente professore Kwanghun Chung, sperano di affrontare la questione dell'anosmia, la perdita dell'olfatto. La Choi ha studiato il sistema olfattivo nei topi sin dai suoi giorni da laureanda e post-dottorato.
Inoltre, una scoperta chiave della sua ricerca sulla neuroimmunologia è che, poiché i neuroni esprimono recettori per alcune delle molecole di segnalazione, chiamate citochine, emesse dalle cellule del sistema immunitario, queste interazioni possono influenzare direttamente lo sviluppo e l'attività neurale. Lavorando con topi modello, il team pianifica di studiare se c'è questo impatto nel sistema olfattivo, in mezzo alla risposta accresciuta del sistema immunitario al Covid-19.
Sulla base degli suoi studi e su quelli della Huh, su come l'infezione materna porta a sintomi di simil-autismo sulla prole, sono preoccupate per altri due aspetti dell'infezione da coronavirus. Uno si sviluppa dalla scoperta che il rischio per la prole di sviluppare problemi neurologici dipende fortemente dalla composizione del microbioma intestinale della madre in stato di gravidanza, le popolazioni di batteri che tutti portano all'interno del proprio corpo.
Data l'ampia gamma di esiti osservati tra i pazienti del coronavirus, Choi e Huh si chiedono se la composizione del microbioma ha un ruolo, oltre a fattori come l'età o le condizioni di salute sottostanti. Se ciò fosse provato, allora una modifica anche leggera del microbioma, magari con la dieta o probiotici, potrebbe migliorare gli esiti. Lavorando con colleghi in Corea e Giappone, stanno iniziando studi che correlano la composizione del microbioma dei pazienti con i loro esiti da coronavirus.
Nel lungo periodo, Choi e Huh sperano anche di studiare se l'infezione da Covid-19 tra le madri in gravidanza presenta un elevato rischio per la loro prole di sviluppare disturbi del neurosviluppo, come l'autismo. Nella loro ricerca sui topi, hanno dimostrato che, data una particolare composizione del microbioma materno, le cellule immunitarie nei topi gravidi esprimono livelli elevati della citochina IL-17a. La molecola influenza direttamente lo sviluppo del cervello del feto, inducendo i circuiti neurali che regolano i sintomi comportamentali simil-autismo a svilupparsi in modo improprio. La coppia ha come obiettivo valutare se può succedere con il coronavirus.
L'accesso al cervello del Covid-19
Una questione importante è se e in che modo il virus SARS-CoV-2 può raggiungere il sistema nervoso centrale. Il laboratorio della Tsai può essere in grado di scoprirlo usando un modello avanzato di laboratorio della barriera emato-encefalica (BBB), il cui sviluppo è stato guidato dal post-dottorato Joel Blanchard. In uno studio in corso di stampa, ha dimostrato che il modello fatto di astrociti, cellule endoteliali cerebrali e periciti in coltura da cellule indotte pluripotenti staminali, rispecchia fedelmente le proprietà della BBB naturale, come la permeabilità.
In collaborazione con Langer, la squadra sta integrando il modello con colture di neuroni derivate da cellule staminali pluripotenti indotte e altre cellule di supporto del cervello cruciali, come microglia e oligodendrociti, su un chip (chiamato chip “miBrain”) per fornire un sofisticato e integrato banco di prova di cellule cerebrali e di interazione vascolare cerebrale.
Con la piattaforma chip miBrain il laboratorio della Tsai ha pianificato diversi esperimenti per capire meglio come il virus può mettere a rischio il cervello. In uno, essi possono mettere a coltura dei chip miBrain da vari individui per vedere se il virus è in grado di permeare la BBB ugualmente o diversamente in quei modelli personalizzati. Essi possono anche provare un altro mezzo di ingresso del virus nel cervello: se la risposta del sistema immunitario del corpo (una cosiddetta “tempesta di citochine”) aumenta la permeabilità della BBB, usando un siero del sangue da pazienti del Covid-19 nel modello miBrain chip.
Ancora un altro modo in cui il virus potrebbe diffondersi nel sistema nervoso è da neurone a neurone attraverso le loro connessioni chiamate sinapsi. Con colture di migliaia di neuroni, la piattaforma chip miBrain potrebbe aiutare a determinare se questo è il caso, e se specifici tipi di neuroni sono più suscettibili a diventare tali condotti.
Infine, ci possono essere differenze genetiche che aumentano la suscettibilità all'ingresso del virus nel cervello. Usando tecnologie come CRISPR / Cas9, il team può progettare tali geni di rischio candidati nella BBB per verificare se la permeabilità varia. Nella loro ricerca sull'Alzheimer, per esempio, studiano se le variazioni in un gene chiamato ApoE provocano diversi gradi di accumulo di placca di proteine amiloidi nel modello BBB.
Le potenziali interazioni tra il virus, il microbioma, il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale sono presumibilmente molto complesse, ma con l'esperienza, gli strumenti, e le forti collaborazioni, i ricercatori del Picower Institute vedono dei modi per aiutare ad capire i possibili effetti neurologici dell'infezione da coronavirus.
Fonte: David Orenstein in MIT-Massachusetts Institute of Technology (> English text) - Traduzione di Matteo Pellizzari.
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