Il mio primo giorno a Città del Messico è stato duro. Lo smog era così fitto che, mentre salivo le scale della camera d'albergo, facevo sforzi per respirare. Ero preparata per il mal di testa da alta quota e per l'aria rarefatta, ma non per quanto era sporca l'aria o per gli occhi iniettati di sangue e i polmoni che bruciavano.
Dichiarata la metropoli più inquinata al mondo dalle Nazioni Unite nel 1992, Città del Messico ha lavorato duramente per ripulire la sua scena. In una certa misura l'ha fatto: la città è giustamente orgogliosa dei suoi chilometri di piste ciclabili e dei parchi lussureggianti. Eppure, uno sguardo casuale all'orizzonte fumoso dimostra che questi sforzi non sono sufficienti.
La maggior parte dei giorni la zona ha livelli di particelle fuligginose presenti nell'aria che superano notevolmente gli standard fissati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, nonché quantità elevate di altri inquinanti. Intasata da più di 9,6 milioni di veicoli e circa 50.000 camini, Città del Messico soffoca in una miscela tossica che sappiamo corrodere polmoni e cuori umani. Ora molti scienziati concordano sul fatto che questo inquinamento danneggia anche il cervello.
Nel 2018 uno studio ha trovato le lesioni note per essere caratteristiche del morbo di Alzheimer (MA) nel cervello dei residenti di Città del Messico a partire dai 30 anni di età, decenni prima che i segni della malattia siano di solito evidenti e hanno collegato questo danno all'esposizione all'aria cattiva della città. I ricercatori che hanno fatto quel lavoro, che sono di istituzioni messicane e statunitensi, hanno anche trovato le prime forme di questo danno spaventoso nei neonati e nei bambini piccoli.
E Città del Messico non è l'unico posto dove l'aria cattiva è stata collegata al MA. Solo pochi anni fa, un team di scienziati di Harvard ha rilasciato i dati di un ampio studio su 10 milioni di utenti Medicare over-65 residenti in 50 diverse città nel nord-est degli Stati Uniti. I ricercatori hanno segnalato una forte correlazione tra l'esposizione a inquinanti atmosferici specifici e un certo numero di malattie neurodegenerative, compreso il MA.
Altri studi in Inghilterra, Taiwan e Svezia, tra gli altri paesi, hanno trovato risultati simili. “L'inquinamento atmosferico sta emergendo come una delle aree più calde nella ricerca del MA”, dice George Perry, neurobiologo dell'Università del Texas di San Antonio e redattore capo del Journal of Alzheimer's Disease. In un settore in cui gli scienziati hanno trascorso decenni concentrati sulla genetica e sull'accumulo di frammenti di proteine danneggiate chiamate amiloide-beta come cause della malattia, dice Perry, ora molti esperti concordano sul fatto che l'inquinamento atmosferico ha un ruolo importante.
A questa valutazione fa eco Masashi Kitazawa, tossicologo dell'Università della California di Irvine, ed esperto di tossine ambientali. “La genetica è grande nella ricerca di MA, e per anni quasi nessuno ha voluto guardare oltre i geni”, dice. “Ma negli ultimi tre o quattro anni, è esploso il numero di documenti che collegano inquinamento atmosferico e declino cognitivo”. Per la forma più comune di MA, quella ad esordio tardivo, i ricercatori stimano che almeno il 40/65% del rischio riguarda influenze non genetiche, come lo stile di vita e l'esposizione ambientale dannosa. L'inquinamento atmosferico è uno dei fattori più importanti.
Gran parte di questa preoccupazione ruota attorno a goccioline ricche di tossine nell'aria o pezzetti solidi delle dimensioni di circa un 30° del diametro di un capello umano. Chiamate particolato fine (PM 2,5 per la sua dimensione specifica), in genere provengono dalla combustione di petrolio e gas delle auto e dei camion e dalle centrali energetiche, così come dal carbone o dalla legna. Queste particelle vengono inalate in profondità nei polmoni e possono passare rapidamente nel sangue. Gli scienziati hanno dimostrato che quando il PM 2.5 entra nel corpo in questo modo, causa distruzione sui sistemi respiratorio e cardiovascolare umano, portando al cancro, ad attacchi di cuore, a ictus e a morte precoce.
Gli scienziati un tempo pensavano che il cervello fosse protetto da una simile carneficina dalla barriera emato-encefalica, una rete molto fitta di cellule che riveste i vasi sanguigni del cervello, impedendo alle sostanze tossiche di passare dal sangue al tessuto cerebrale. Purtroppo, c'è ora la prova convincente che il PM 2.5 può ed entra nel cervello attraverso due percorsi.
Con il primo, le particelle possono alterare la barriera emato-encefalica stessa rendendola più permeabile agli agenti inquinanti. Nel secondo, le particelle possono bypassare la barriera del tutto, scivolando dal naso nei nervi olfattivi e poi viaggiando verso una parte del cervello chiamata bulbo olfattivo. Il cervello, si scopre, non è protetto dall'assalto incessante dell'inquinamento atmosferico più di un qualsiasi altro organo.
Esposizione elevata
Gran parte del recente lavoro che collega l'aria di pessima qualità e il cervello ha le sue radici nei primi anni di ricerca di Lilian Caldern-Garcidueas, medico e neuropatologa dell'Università del Montana. Nata e cresciuta in una cittadina non lontano da Città del Messico, la Caldern-Garcidueas ha studiato per decenni l'impatto dell'aria viziata della regione sulla salute.
Nei primi anni 2000 ha esaminato 40 cani che girovagavano nelle parti più inquinate di Città del Messico e ha trovato una patologia di tipo MA nel loro cervello. Questa scoperta l'ha spinta a guardare il cervello di esseri umani che vivevano in quartieri simili. Quello che ha visto l'ha allarmata: proteine associate al MA nel cervello di bambini e neonati di 11 mesi. “L'esposizione all'inquinamento atmosferico”, ha scritto nel 2008, “dovrebbe essere considerato un fattore di rischio” per il MA, in particolare per coloro che sono geneticamente predisposti alla malattia.
Le conclusioni della Caldern-Garcidueas sono state dimostrate da altri scienziati. Jennifer Weuve, professoressa associata della Boston University, ha guidato uno dei primi studi degli Stati Uniti sul legame tra l'inquinamento atmosferico e le malattie del cervello e ha pubblicato i risultati nel 2012: “Abbiamo avuto due indizi sul rapporto tra invecchiamento del cervello e inquinamento atmosferico. Il primo è l'impatto dell'inquinamento atmosferico sul sistema cardiovascolare, attacchi di cuore e ictus. Il cervello si basa sulla circolazione del sangue, quindi questo ha sollevato naturalmente la preoccupazione che anche il cervello sia interessato. Il secondo suggerimento era più sottile. I tossicologi hanno fatto alcuni studi ben controllati su animali esposti all'aria con alti livelli di particelle sospese e hanno scoperto che queste particelle entrano nel cervello. Alcune di tali particelle contengono neurotossine note, come il manganese. E sapevamo che non poteva andare bene“.
Da allora si sono accumulate altre evidenze epidemiologiche di un problema di particelle trasportate dall'aria. Nel 2018 il BMJ ha pubblicato uno studio su 131.000 residenti di Londra da 50 a 79 anni, che ha concluso che quelli con la massima esposizione all'inquinamento atmosferico avevano più probabilità di ricevere la diagnosi di demenza nel corso degli 8 anni di osservazione. Il collegamento era particolarmente forte tra MA e particolato PM2,5.
Uno studio di quasi 100.000 abitanti di Taiwan ha trovato risultati simili. Ricercatori svedesi hanno concluso che l'inquinamento atmosferico aumenta l'incidenza di demenza anche tra persone senza marcatori genetici della malattia. E gli scienziati dell'Università di Toronto hanno esaminato 6,6 milioni di persone della provincia canadese dell'Ontario e hanno scoperto che coloro che vivevano nel raggio di 50 metri di una strada principale, dove i livelli di inquinanti sottili sono molto elevati, avevano il 12% in più di probabilità di demenza rispetto alle persone che vivevano a più di 200 m da quelle stesse strade.
Dall'aria al cervello
Naturalmente, gli studi epidemiologici hanno dei limiti. È immorale chiedere a degli esseri umani di esporsi deliberatamente all'aria inquinata per un periodo di mesi o anni. Questa restrizione rende difficile effettuare studi controllati che eliminano molti altri fattori, oltre all'inquinamento atmosferico, che potrebbero predisporre i residenti di alcune regioni al MA e altre forme di demenza.
“In un mondo perfetto, ognuno porterebbe un monitor dell'inquinamento atmosferico così da poter ottenere i dati in tempo reale sulla sua esposizione”, dice la Weuve. “Ma questo non è un mondo perfetto. Quindi lavoriamo con esperti per realizzare modelli di stima. Non è abbastanza. Nel caso del MA, è l'esposizione cronica, a lungo termine, che conta, e noi non abbiamo nemmeno un registro mondiale delle persone con MA, e tanto meno le risorse per seguire le persone per molti anni prima che contraggano la malattia. Quindi è abbastanza difficile fissare la causalità“.
Infatti, in alcune regioni del mondo, l'inquinamento atmosferico è così brutto che le persone muoiono di malattie cardiache molto tempo prima di poter mai mostrare sintomi di MA ad insorgenza tardiva. Per capire meglio causa ed effetto, gli scienziati si sono rivolti a modelli animali per la ricerca dei meccanismi biologici che possono essere alla base di un legame tra declino cognitivo e vari tipi ed entità di inquinamento atmosferico.
Nel 2015 il neurobiologo Colin Combs, preside del dipartimento di scienze biomediche dell'Università del North Dakota, ed esperto di malattie neurodegenerative, ha pompato aria contenente diversi livelli di inquinamento da polveri nelle gabbie di topi geneticamente identici, per diversi periodi. Ha imparato che più era l'esposizione, maggiori erano i danni prodotti. “Quello che abbiamo trovato supporta la teoria che l'esposizione a lungo termine al particolato atmosferico ha il potenziale di alterare il cervello e promuovere lo sviluppo iniziale della patologia di tipo MA”, dice.
Nel 2018 gli scienziati del Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles ed i loro colleghi hanno riferito che i metalli pesanti dell'aria inquinata non solo trovavano la strada verso il cervello dei topi dopo pochi mesi, ma sembravano anche attivare i geni che scatenano malattie neurodegenerative e cancro.
L'inquinamento atmosferico potrebbe anche interagire direttamente con le varianti di alcuni geni associati con il MA, inducendo l'accelerazione dell'invecchiamento cerebrale e della neurodegenerazione in persone che sono già geneticamente suscettibili. Non tutte le persone con MA ad insorgenza tardiva hanno questi marcatori genetici, ma molti ce l'hanno, e l'uno-due dell'interazione gene-ambiente sembra essere particolarmente potente.
La psicologa clinica Margaret Gatz della University of Southern California, spiega che i danni al sistema vascolare dell'inquinamento e di altri fattori sono associati ad un aumento del rischio di MA e di altre forme di demenza, in particolare nelle persone che hanno una tendenza genetica ad acquisire la malattia. “C'è un buon numero di prove che i fattori di rischio vascolare sono più pericolosi per i portatori della variante APOE4 del gene APOE”, dice. “E per questo e per altri motivi, molte ricerche si sono concentrate sul rischio genetico della malattia e tutti hanno trascurato lo stile di vita e la componente ambientale”.
L'azione delle sostanze tossiche presenti negli inquinanti atmosferici quando arrivano al cervello si conforma bene a diverse idee circa il modo in cui si sviluppano i danni correlati al MA. La neurotossicologa Deborah Cory-Slechta della University of Rochester, afferma che sia negli animali che negli esseri umani, questi inquinanti inducono il rilascio di citochine dalle cellule microglia, le sentinelle del sistema immunitario residenti nel cervello. Le citochine sono molecole di segnalazione che aiutano a regolare l'immunità e l'infiammazione.
In circostanze normali, questa risposta può aiutare a proteggere il cervello dagli invasori esterni. Ma l'esposizione cronica all'aria inquinata può provocare la sovrapproduzione di citochine proinfiammatorie e l'infiammazione cronica porta alla morte delle cellule nervose. “Le particelle ultrafini sembrano essere il fattore più importante in questo processo”, dice la Cory-Slechta.
Lei nota anche che è difficile arrivare ai componenti specifici di queste particelle. “Per prima cosa, abbiamo pochissimi dati storici su di loro, quindi è difficile giudicare i loro livelli relativi nell'ambiente. Per altro canto, esse contengono molte sostanze diverse che tendiamo a considerare insieme”, rendendo difficile sapere che cosa causa specificamente l'effetto negativo.
L'inquinamento di particolato dalla combustione di combustibili fossili e da altre fonti contiene centinaia di sostanze, che vanno dai gas nocivi come l'anidride solforosa e l'ossido di azoto al pulviscolo emesso da freni, pneumatici e frizioni di auto e camion. La Cory-Slechta dice che queste sostanze inquinanti tendono ad accumularsi nel cervello nel corso di molti anni, una possibile spiegazione del motivo per cui il MA è di solito una malattia della vecchiaia. Ma, aggiunge, ci sono ancora molte incognite su ciò che entra esattamente nel cervello dall'aria (non è chiaro se tutte queste sostanze entrano) e quando quello che entra causa i problemi.
“Quello che sappiamo è che il ferro, lo zinco, il rame e altri metalli sono richiesti dal cervello, ma a un livello specifico. Che cosa succede quando viene superato quel livello?” lei chiede. “Sappiamo che troppo ferro può portare a stress ossidativo e neurodegenerazione. Sappiamo anche che alcune sostanze inquinanti, come l'alluminio, non hanno alcun ruolo essenziale nel cervello, ma tendono ad accumularsi lì e a provocare una risposta infiammatoria. Francamente, penso che dovremmo dare uno sguardo più attento a questo. E non sono solo i metalli. Anche i contaminanti organici potrebbero essere coinvolti nelle malattie neurodegenerative“.
Un tipo di tali inquinanti organici sono i lipopolisaccaridi, grandi molecole rilasciate dai batteri vomitati da impianti di trattamento dei rifiuti e da altre fonti. Gli scienziati hanno scoperto che queste molecole possono attaccarsi al particolato e, quando sono inalate, provocano una risposta infiammatoria nei polmoni. In studi su animali, i lipopolisaccaridi e altre sostanze organiche hanno anche dimostrato di provocare infiammazione e degenerazione cognitiva del cervello.
Particolato e perdita di memoria
Jiu-Chiuan Chen, medico ed epidemiologo della University of Southern California, è specializzato nello studio delle sostanze inquinanti portate dall'aria nel cervello e dice che, anche se l'impatto delle singole sostanze è ancora in discussione, l'effetto complessivo del mix è chiaramente legato ai danni cerebrali e ai problemi cognitivi. Chen è stato co-autore di uno studio pubblicato lo scorso anno nella rivista Brain che ha trovato chiari legami tra l'inquinamento da particolato fine, i cambiamenti strutturali nel cervello e la perdita di memoria nelle donne anziane. Chen e i suoi collaboratori hanno usato neuroscansioni e test cognitivi per misurare i cambiamenti del cervello e della memoria, oltre a un modello matematico che incorpora due fonti di dati sulla qualità dell'aria nell'ambiente.
“Quello che abbiamo trovato era che le donne con la maggiore esposizione agli inquinanti hanno mostrato un declino precoce nella memoria episodica”, dice. Questo tipo di memoria a lungo termine contempla il richiamo di una esperienza precedente insieme al tempo e al luogo dell'evento e alle emozioni associate. Il declino che Chen ha rilevato in queste donne è apparso preclinicamente, prima dei sintomi reali di MA, ed era indipendente dallo stato cardiovascolare dei soggetti. La ricerca di MA ha stabilito che le persone con un calo della memoria episodica hanno un rischio molto elevato di sviluppare la malattia conclamata più tardi nella vita.
“Ci sono più di 10 studi che collegano l'esposizione all'inquinamento atmosferico in vecchiaia e la demenza”, dice Chen. “Le prove sono abbastanza convincenti. Non sappiamo se anche l'esposizione nei primi anni di vita è un fattore. Ma negli studi su animali, i tossicologi iniziano l'esposizione nella prima infanzia, e vedono cambiamenti patologici e problemi. Sembra che le piccole particelle siano in grado di accelerare il processo di deposito dell'amiloide, ma non siamo ancora sicuri se questo accade negli esseri umani. E potrebbe essere coinvolta una componente genetica, cioè, alcune persone potrebbero essere più sensibili di altre all'effetto dell'inquinamento. Ci potrebbe essere un sottogruppo di individui che sono particolarmente sensibili e potrebbero avere un rischio più alto. Non abbiamo ancora abbastanza potere nei nostri studi per affrontare questa domanda, ma credo che lo avremo“.
Riduzione del rischio
Mentre la malattia rimane un orrore di fronte a milioni di persone in tutto il mondo, ci sono alcune notizie incoraggianti in queste scoperte sull'inquinamento atmosferico; diversi scienziati dicono: le persone possono agire per diminuire i rischi. La maggior parte dei farmaci finora non ha aiutato i pazienti, dice Melinda Power, epidemiologa della George Washington University, che si concentra sull'identificazione dei fattori di rischio modificabili del declino cognitivo e della demenza. “Quindi al momento, la prevenzione attraverso la riduzione dei fattori ambientali e con lo stile di vita sembra che sia la nostra scommessa migliore”, dice. “E l'esposizione all'inquinamento atmosferico sembra molto importante”.
L'evidenza di danni al cervello è un argomento forte a favore di controlli più severi della qualità dell'aria, dice Kelly Bakulski, epidemiologa della University of Michigan: “Questa è una zona molto promettente. A differenza dei nostri geni, i fattori ambientali sono cose che possiamo controllare; la rimozione di questi inquinanti delle nostre comunità non produrrà malati, ma un impatto molto positivo".
In più, Margaret Gatz dice che cambiamenti semplici nel modo in cui viviamo possono aiutare. “L'esercizio fisico ha dimostrato di ridurre il rischio, sia perché aumenta il flusso di sangue al cervello, sia perché aumenta i livelli del fattore neurotrofico derivato dal cervello, una proteina che promuove la crescita e il mantenimento delle cellule cerebrali".
Conoscendo la devastazione che infligge la malattia, è il momento di prendere sul serio tali cambiamenti. “Abbiamo i mezzi per farlo”, dice la Bakulski, “e visto il rischio in ballo, dobbiamo farlo”.
Fonte: Ellen Ruppel Shell in Scientific American (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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