Contraddicendo quanto si pensa da molto tempo, i risultati di una analisi guidata dalla Johns Hopkins dei dati raccolti in precedenza su più di 3.000 caregiver familiari, suggeriscono che coloro che assistono un familiare malato cronico o disabile beneficiano di un vantaggio nella sopravvivenza del 18 per cento rispetto ai non-caregiver statisticamente corrispondenti.
Il rapporto dei ricercatori, pubblicato ora on line sull'American Journal of Epidemiology, riferisce la scoperta che occuparsi di un familiare malato cronico o disabile non solo non aumenta il rischio per la salute, ma è addirittura associato ad una estensione di nove mesi dell'aspettativa di vita per il periodo di sei anni dello studio.
Secondo la Commission on Long-Term Care, i caregiver familiari - la spina dorsale del sistema di assistenza americana di lungo termine - forniscono ogni anno assistenza per un valore stimato di 450 miliardi dollari ed un sostegno incommensurabile. Un'America che invecchia implica maggiore necessità di caregiver che aiutano ad assistere gli anziani, ma una carenza preoccupante di caregiver potrebbe mettere in pericolo molte delle persone più vulnerabili.
"Prendersi cura di un malato cronico in famiglia è spesso associato con lo stress, e il caregiving è stato in precedenza collegato a un aumento del tasso di mortalità", spiega il primo autore, David L. Roth, Ph.D., direttore del Center on Aging and Health della Johns Hopkins University. "Il nostro studio fornisce importanti e nuove informazioni sulla questione del modo in cui le responsabilità informali del caregiving familiare sono associate a tassi di mortalità superiori o inferiori, come suggerito da studi precedenti, diversi e contrastanti".
Roth ed i suoi colleghi hanno condotto un'analisi delle informazioni raccolte in origine dalla studio Reasons for Geographic and Racial Differences in Stroke (REGARDS). Tale studio, sponsorizzato dal National Institutes of Health (NIH), ha esaminato le informazioni di oltre 30.000 persone over-45, per valutare il rischio supplementare di ictus tra gli afro-americani che vivono nella "cintura ictus" sudorientale della nazione.
Il team del Dr. Roth ha esaminato se 3.503 caregiver familiari dello studio REGARDS mostrassero differenze nel tasso di mortalità, per qualsiasi causa, nel corso di un periodo di sei anni rispetto a un campione corrispondente di 3.503 non-caregiver. I gruppi sono stati abbinati con un metodo basato su 15 variabili comuni che includevano dati demografici, storia di salute e comportamenti di salute.
Secondo Roth, il loro è il primo studio di questo genere a mostrare gli effetti della mortalità sui caregivers, usando l'approccio "propensity score matching" [far corrispondere il punteggio di propensione]. "Anche se i nostri risultati non sono del tutto nuovi, i metodi statistici che abbiamo usato sono unici ed innovativi e la nostra grande banca dati nazionale, che comprende un gran numero di caregivers afro-americani, è ciò che rende realmente la nostra ricerca un caso a parte", ha detto.
Roth ha aggiunto che le analisi dei sottogruppi sono coerenti con i risultati del gruppo complessivo dei caregiver."Non abbiamo trovato alcun sottogruppo di caregiver nel campione REGARDS che sembrasse vulnerabile ad un maggiore rischio di mortalità. Questo include le nostre analisi di tutti i caregiver coniuge e dei caregiver coniuge che hanno dichiarato di avere qualche tensione nel caregiving", ha dichiarato Roth.
"In molti casi, i caregiver riferiscono di ricevere benefici dall'aumento di autostima, riconoscimento e gratitudine dai destinatari di cura. Perciò, quando il caregiving è fatto di buon grado, a livelli gestibili, e con individui che sono in grado di esprimere gratitudine, è ragionevole aspettarsi che possano derivare benefici per la salute da quelle situazioni", aggiunge Roth.
Roth avverte che l'analisi del suo gruppo ha i suoi limiti, e non può escludere la possibilità che alcuni sottogruppi di caregiver possano essere più vulnerabili ad un aumento del rischio di morte. Le limitazioni sono per lo più dovute ad una mancanza di informazioni sullo stato funzionale dei destinatari di cura e sulle specifiche della cure fornite.
"Quando le situazioni altamente stressanti possono essere evitate o gestite in modo efficace, il caregiving può effettivamente offrire alcuni benefici per la salute sia ai destinatari della cura che ai caregiver, compresa la riduzione del rischio di morte per chi fornisce l'assistenza", ha detto Roth. "La rappresentazione mediatica negativa della Sanità pubblica e del rischio di caregiving familiare possono fare un cattivo servizio, ritraendo il caregiving come pericoloso, e potrebbe potenzialmente scoraggiare i membri delle famiglie ad impegnarsi in ciò che può essere un ruolo familiare molto soddisfacente e salutare.
Le discussioni pubbliche sul caregiving dovrebbero bilanciare con più cura i rischi e i benefici potenziali di questo ruolo universale della famiglia".
Roth dice che la ricerca futura dovrebbe esaminare un gruppo specifico di caregiver: "Abbiamo bisogno di fare ricerca sui figli adulti che si stanno occupando regolarmente di un genitore disabile, perché questo gruppo è in rapida crescita in termini di dimensioni nella nostra popolazione, ma é in gran parte poco studiato, almeno in confronto ai coniugi".
Il gruppo di ricerca include scienziati della University of South Florida (Tampa, Florida) e della University of Alabama di Birmingham. Lo studio è stato finanziato dal National Institute of Neurological Disorder and Stroke e dal Dipartimento dei Servizi Sanitari e Umani.
Fonte: Johns Hopkins Medicine.
Riferimenti: D. L. Roth, W. E. Haley, M. Hovater, M. Perkins, V. G. Wadley, S. Judd. Family Caregiving and All-Cause Mortality: Findings from a Population-based Propensity-matched Analysis. American Journal of Epidemiology, 2013; DOI: 10.1093/aje/kwt225
Pubblicato in hopkinsmedicine.org (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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