La demenza sotto lockdown da coronavirus: i blog commoventi di coloro che lottano per essere ascoltati. L'Università di Bradford aiuta a dare voce alle persone con demenza durante la pandemia da coronavirus.
Persone con demenza hanno scritto parole commoventi di come il blocco da coronavirus ha influenzato loro e i caregiver. Per alcuni, la capacità di scrivere è diventata una linea di vita. Per altri, gli sfoghi offrono speranza, conforto e la catarsi che deriva dall'esperienza condivisa.
Il blog emotivo di Wendy Mitchell Which Me Am I Today? (Quale me sono oggi?) riassume il vuoto percepito da molti che vivono con demenza nel corso del blocco da coronavirus:
“Prima che entrassimo in questo strano mondo in cui ci troviamo, ero abituata a viaggiare, incontrare nuove persone in ambienti nuovi, chiacchierare con la gente tutto il giorno. Era il mio sudoku, tenevo a bada la demenza, mi dava qualcosa per cui combattere, ma ora quell'interazione sociale è scomparsa.
“Parlare con gli altri è ormai un lusso. Non comincio più la giornata chiacchierando con il tassista, chiacchierando con i colleghi pendolari, chiacchierando con le persone in occasione di eventi e poi per tutto il tragitto inverso. Purtroppo, questo non sta funzionando a mio favore, perché mi sono trovata a dovermi concentrare così tanto quando parlo; ad avere più problemi nel trovare le parole; ad essere balbuziente e a lottare con le parole, con il parlato che rallenta ... una conseguenza strana e inaspettata che non avevo mai preso in considerazione”.
Wendy, che ha conseguito un dottorato honoris causa dall'università ed è una 'esperta per esperienza', continua:
“Suppongo che si possa paragonare a quando ho rinunciato a scrivere sulla tastiera per due settimane un Natale e quando ho aperto di nuovo il tablet non ricordavo più cosa fare. Da allora non ho mai smesso di battere sulla tastiera. Ora trovo segni striscianti della stessa cosa nel mio discorrere”.
Wendy, di 58 anni e con due figli, ha avuto la diagnosi di Alzheimer ad esordio precoce nel luglio 2014, quando lavorava nel NHS (servizio sanitario in GB). E aggiunge:
“Spero di far passare il messaggio che, anche se abbiamo avuto la diagnosi, le persone come me hanno ancora un contributo sostanziale da dare. Abbiamo ancora un senso dell'umorismo. Abbiamo ancora sentimenti. Spero di mostrare la realtà di cercare di far fronte quotidianamente con l'ambiente in continua evoluzione che la demenza getta su quelli che hanno avuto questa diagnosi. Non sto cercando simpatia. Cerco semplicemente di aumentare la consapevolezza”.
Un altro che ben conosce queste frustrazioni è Michael Andrews, ex camionista di TIR di 60 anni, che ha avuto la diagnosi di atrofia corticale posteriore (una rara forma di demenza che colpisce la vista, la percezione visiva e la memoria) nel 2017. Michael lavora a stretto contatto con l'Università di Bradford come ‘esperto per esperienza’. Era soldato dell'esercito britannico, e ora la sua vita è dominata dalla routine, ma il blocco da coronavirus ha cambiato tutto:
“Una grande parte della mia vita consisteva nell'essere fuori casa. Quando ho avuto la diagnosi, alcune cose mi hanno confuso ed è scesa quella che io chiamo ‘nebbia’. Significa che non ti ricordi dove sei o cosa stai facendo. La routine mi aiuta a combattere questo.
"Quando ero nell'esercito, si diceva che non c'è ostacolo che non puoi superare. Quindi mi piaceva frequentare le persone, avere appuntamenti, andare al bar e così via. Ma il coronavirus ha fatto finire tutto ciò“.
Per fortuna, sta trovando nuove attività per combattere la ‘nebbia’:
“Sto cucinando molto di più, suono il flauto e la fisarmonica e ho appena iniziato a studiare il sassofono alto, e gioco anche a scacchi. Il blocco da coronavirus è fonte di confusione per tutti, ma per chi aveva la demenza, è ancora più difficile“.
Alla domanda circa il suo lavoro con l'università, ha detto:
“L'università è stata di grande aiuto e sono felice di essere coinvolto nella ricerca. Puoi leggere tutti i libri che vuoi, ma non puoi fare una domanda a un libro, perciò a volte è meglio sentirlo da una persona”.
Clare Mason, formatrice di assistenza alla demenza nella Facoltà di Studi Sanitari, dice che i blog aiutano a unire le persone:
“È un altro modo di raggiungere le persone, un modo per condividere esperienze, che può aiutare a migliorare il benessere e aiutare le persone a capire quelli che hanno la demenza”.
La dott.ssa Ana Barbosa, leader ad interim del programma di studi sulla demenza avanzata, dice:
“I blog sono attivi da quattro anni, di solito con un articolo ogni mese, ma da quando c'è il Covid ci siamo proposti di farne due alla settimana. È un modo per condividere ciò che facciamo al Centro. La nostra università è nota in tutto il mondo per il suo lavoro sulla demenza.
“Dall'inizio della pandemia le persone sono più attive sui social media, quindi i blog sono più importanti che mai. È un modo per raggiungere molte persone e avere una reazione immediata“.
Il Centro Studi Applicati sulla Demenza dell'Università di Bradford è famoso nel mondo, grazie anche al lavoro pionieristico svolto dal compianto Prof. Thomas Kitwood (1937-1998), che ha sviluppato l'approccio alla cura 'centrato sulla persona' e la 'mappatura della cura della demenza', che sono riconosciuti dal National Institute for Health and Care Excellence e sono ampiamente usati in tutto nel Regno Unito.
Fonte: Hippocratic Post (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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