Poiché il numero di persone affette da demenza continua a salire, non passa quasi giorno senza che se ne parli nei media, in qualche forma.
Ma il modo in cui la demenza è descritta da informatori e giornalisti non riceve sempre la stessa cura delle disabilità fisiche o delle malattie mentali.
"Da quando ho avuto la diagnosi di demenza, le parole fanno più male di prima", dice Agnes Houston, giornalista del progetto «Dementia Diaries». "E' come tormentare una ferita. I media dovrebbero scegliere le loro parole con cura".
La «Dementia Action Alliance» dice che questo "non è un problema di correttezza politica; si tratta di modificare la percezione e riconoscere che coloro che hanno la demenza sono persone, in primo luogo, e che la demenza non li definisce".
Quindi il team di Dementia Diaries - persone che vivono con demenza e scrivono usando appositi telefoni stampati in 3D - ci ha mandato i migliori consigli per scrivere sulla condizione, spiegando perché alcuni termini possono essere fuorvianti o sconvolgenti. Collaborando con DEEP, ha pubblicato una serie di linee guida per i giornalisti: 'Dementia Words Matter' [le parole nella demenza contano]. Qui di seguito le loro cose da fare, e da non fare:
- Demenza è un termine generico (e non equivale ad Alzheimer)
"La demenza non è una singola malattia, si tratta di una serie di malattie che colpiscono il cervello e le sue funzioni", dice Tommy Dunne, 57 anni, che vive con una demenza ad esordio giovanile da più di cinque anni. C'è un malinteso comune su ciò che è in realtà la 'demenza'. La demenza è un termine generico che si riferisce a molte condizioni diverse; ci sono oltre un centinaio di tipi, e ognuna influenza il cervello in modo diverso. L'Alzheimer è il più noto, ma anche la demenza vascolare, la demenza a corpi di Lewy e la demenza frontotemporale sono forme comuni. - Alcune parole, come 'malato di demenza', non aiutano
"Le parole sono molto potenti; possono essere edificanti o abbattere. Quando parli della demenza ricordalo", dice Agnes Houston di Glasgow, che recentemente ha ricevuto un MBE per il suo lavoro di diffusione della consapevolezza sulla demenza. Ci sono una serie di termini di uso comune che possono essere offensivi per le persone che vivono con demenza.- 'Sofferente di demenza' - "In certi giorni, io sicuramente soffro", spiega il 59enne Keith Oliver di Canterbury, "ma io non sono un sofferente". Questa è una reazione comune tra le persone affette da demenza, che non vogliono essere definiti dalla loro condizione. Per Gina Shaw, che di recente è apparsa in uno spot TV di sensibilizzazione alla demenza, la parola 'sofferenza' non riflette il suo atteggiamento verso la vita. "Cerchiamo di non usare la parola 'sofferente' a proposito di persone che vivono con la demenza", ha detto. "Sembra semplicemente un po' disinformato. Forse la loro esperienza è stata quella [di sofferenza], ma di certo non fa risuonare un qualsiasi campanello per me".
- 'Demente' - La parola 'demente' è in graduale eliminazione. "Demente è una parola molto scortese", ha dichiarato Tommy Dunne. "Deriva dal latino 'de' che significa mancanza, e 'mente'. Demenza significa «senza la mente»". Essere definiti così è molto sconvolgente per molte persone affette da demenza.
- Vittima - Molte persone affette da demenza si rifiutano di essere trattate come una vittima. Anne Macdonald, 56enne di Glasgow, che ha avuto la diagnosi l'anno scorso, ha spiegato che "se qualcuno mi chiede se sono una vittima, significa che dovrei essere stata aggredita. Io non sono una vittima. Questo mi è appena successo, ma nella vita accade. Buttate via quella parola".
- 'Pazienti' di demenza o 'utenti dei servizi' - Questi termini sono visti come riduttivi per coloro che vivono con demenza, in quanto servono a ridurli alla mera condizione di essere legati all'ospedale, soprattutto se usati in modo isolato. Termini come questi possono minare gli sforzi per continuare a vivere il più normalmente possibile.
- Aggettivi condiscendenti - Alcune descrizioni di persone con demenza possono non sembrare scortesi, ma sono considerate condiscendenti da parte di coloro che vivono con demenza. Gina Shaw sostiene che questi termini sono inutili: "mettere le cose come 'caso di studio che strazia il cuore', è tutto così drammatico e non ha bisogno di essere così".
- Altre parole da evitare: 'Fardello', 'morte vivente', 'epidemia', 'senile'. In caso di dubbio, le parole sicure da utilizzare sono in linea con una persona o persone 'affette da demenza', 'vivono con demenza' o 'vivono bene con demenza'. Anche altri termini descrittivi che caratterizzano la persona, come 'ex insegnante', sono consigliati.
- 'Sofferente di demenza' - "In certi giorni, io sicuramente soffro", spiega il 59enne Keith Oliver di Canterbury, "ma io non sono un sofferente". Questa è una reazione comune tra le persone affette da demenza, che non vogliono essere definiti dalla loro condizione. Per Gina Shaw, che di recente è apparsa in uno spot TV di sensibilizzazione alla demenza, la parola 'sofferenza' non riflette il suo atteggiamento verso la vita. "Cerchiamo di non usare la parola 'sofferente' a proposito di persone che vivono con la demenza", ha detto. "Sembra semplicemente un po' disinformato. Forse la loro esperienza è stata quella [di sofferenza], ma di certo non fa risuonare un qualsiasi campanello per me".
- Non tutte le persone con demenza sono vecchie
"Abbiamo dai 30 ai 90 anni ... la demenza è affare di tutti", dice Anna MacDonald. La rappresentazione stereotipata di una persona con demenza è un soggetto vecchio e fragile. Tuttavia, c'è stato un forte aumento del numero di casi tra i più giovani. Secondo Melvyn Brooks, che ha poco più di 60 anni, questo non si riflette nella copertura mediatica.
"La televisione mostra continuamente 'vecchi' con Alzheimer e demenza", ha detto. "Perché? Mi piacerebbe sapere perché, perché non sono tutti vecchi quelli colpiti. Ci sono molti più giovani che la contraggono, ne sono diagnosticati, quindi cerchiamo di mostrare un cambiamento, dimostrare che questa malattia è indiscriminata e colpisce i più giovani e gli anziani".
L'uso delle immagini stereotipate può rafforzare inavvertitamente gli equivoci intorno alla demenza. Sono spesso usate immagini come una mano debole o un volto vecchio e afflitto, non importa quale sia il contenuto della storia, e questo può minare il messaggio del testo.
"Molto spesso si tratta di persone anziane che appaiono del tutto smarrite e isolate", afferma Jo Bennett, che ha una demenza ad esordio precoce. "Ma anche le persone di mezza età sperimentano la demenza. Un'immagine tipica per me sarebbe un gruppo di persone sedute a parlare. Persone tra i 40 e i 60 anni. Un po' più giovani della mano venata e del volto vecchio e consunto che si vede spesso. Jeans e una borsa a tracolla, non una persona anziana seduta su un divano". - La demenza non è un problema di salute mentale
La demenza è spesso descritta come salute mentale, creando confusione. Anne MacDonald spiega che "la salute mentale riguarda come si pensa e ci si sente e la nostra capacità di affrontare gli alti e i bassi. La demenza è una condizione neurologica".
Questo modo di scrivere può portare a frustrazioni. Melvyn Brooks lamenta che "so quello che è la salute mentale, non voglio sentirmi dire che sono malato di mente. Ho una malattia del cervello - ho la demenza". - Sensazionalismo e annunci di cure miracolose danno false speranze
Il sensazionalismo può essere una fonte di grande frustrazione per coloro che vivono con la demenza, specialmente i titoli allettanti, che offrono false speranze per una nuova cura prodigiosa.
Jo Bennett è arrabbiato per un recente titolo di un quotidiano nazionale che "sostiene che è stata trovata la cura". "Naturalmente sapevo che non era vero quando ho visto i titoli, l'altra sera, ma evidentemente bisogna seguire per vedere caso mai ci fosse una possibilità ... ma ovviamente non c'è.
Hanno messo su questi titoli, grandi grandi, meravigliosi, ma quando si arriva a leggere, sono solo chiacchiere, non sanno neanche di cosa parlano e mi dispiace per le persone che hanno appena avuto la diagnosi. Vedono questi grandi grandi titoli e quelli di noi che vivono da un po' sanno ignorare tutto così".
Questo sentimento è condiviso da Carol Ovenstone, ex infermiera, che chiede che "i giornalisti siano onesti e affidabili in quello che dicono; non riferire false cure e sollevare speranze. Essi dovrebbero in realtà parlare con le persone colpite dalla demenza". - Continuare a scrivere sulla demenza e condividere alcune storie positive
Nonostante tutto questo, le persone con demenza credono che sia di vitale importanza continuare a scrivere sulla questione, non solo per attrarre finanziamenti, ma anche per sensibilizzare e per sfidare lo stigma.
Alcuni dei sintomi più scioccanti e sconvolgenti della malattia non possono essere ignorati, ma l'equilibrio è estremamente importante, afferma Keith Oliver: "I media possono proiettare la demenza in una luce realistica e precisa, ma anche con un elemento di positività collegato ad essa".
Anna MacDonald concorda, spiegando che "come persona più giovane che vive bene con uno dei ceppi rari, dobbiamo diffondere il messaggio che c'è vita dopo la diagnosi".
Fonte: Paul Myles e Louis Giles in Journalism.co.uk (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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