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Correggere un difetto delle cellule immunitarie protegge il cervello che invecchia

Reversing metabolic shutdown in aged macrophagesLe cellule immunitarie chiamate macrofagi si trovano in tutto il corpo e nel cervello sono chiamate microglia. (A) gli autori riferiscono che, durante l'invecchiamento, i macrofagi periferici e le microglia producono più proteina prostaglandina E2 (PGE2), che si lega ai recettori EP2 sulle membrane delle cellule. Dimostrano che l'attivazione di questa via di segnalazione porta alla disfunzione metabolica nelle cellule, e quindi all'infiammazione cronica sistemica e al declino cognitivo. (B) gli autori hanno inibito il recettore EP2 in due modi. Prima con un approccio genetico che riduceva gli EP2 sia nei macrofagi che nelle microglia. Poi hanno inibito il recettore farmacologicamente, ma solo in periferia. In entrambe le condizioni, l'inibizione dell'EP2 ha migliorato la funzione metabolica dei macrofagi periferici e delle microglia, riducendo l'infiammazione e ripristinando le capacità cognitive. Il meccanismo però non è chiaro (freccia tratteggiata).

Supponiamo che un vigile del fuoco dia inizio all'incendio di una foresta invece di spegnerlo. Questo è più o meno il comportamento di alcune cellule del nostro sistema immunitario, che diventa sempre più irascibile mentre invecchiamo. Invece di soffocare le braci, attizzano le fiamme dell'infiammazione cronica.


Da tempo i biologi teorizzano che riducendo questa infiammazione si potrebbe rallentare il processo di invecchiamento e ritardare l'insorgenza delle condizioni associate all'età, come le malattie cardiache, l'Alzheimer, il cancro e la fragilità, e forse persino prevedere la graduale perdita di acuità mentale che accade a quasi tutti noi.


Eppure la domanda di cosa, esattamente, induce particolari cellule del sistema immunitario a entrare in una sovra-attività infiammatoria non ha ancora una risposta definitiva. Ora, ricercatori della Stanford University pensano di averne una. Se le loro scoperte sui topi vecchi e sulle colture cellulari umane fossero valide per gli esseri umani, potrebbero presagire il recupero con farmaci dalle abilità mentali degli anziani.


In uno studio pubblicato il 21 gennaio su Nature, gli investigatori danno la colpa a una serie di cellule immunitarie chiamate cellule mieloidi. L'autrice senior dello studio è Katrin Andreasson MD, professoressa di neurologia e scienze neurologiche, e il primo autore è il dottorando Paras Minhas.


Le cellule mieloidi, che si trovano nel cervello, nel sistema circolatorio e nei tessuti periferici del corpo, sono in parte soldatesse e in parte guardaparco. Quando non combattono gli intrusi infettivi, sono occupate a pulire i detriti, come le cellule morte e i ciuffi di proteine ​​aggregate; ad alimentare altre cellule; e ad agire da sentinelle che guardano i segni di agenti patogeni invasori.


Ma mentre invecchiamo, le cellule mieloidi iniziano a trascurare le loro normali funzioni pro-salute e si mettono in uno stato di guerra infinita contro un nemico inesistente, infliggendo danni collaterali a tessuti innocenti.

 

Blocco efficace

Nello studio, bloccare l'interazione di un particolare ormone e recettore che abbonda sulle cellule mieloidi è stato sufficiente per ripristinare il metabolismo giovanile e il carattere placido dei topi e delle cellule mieloidi umane, in un piatto e nei topi vivi. Questo blocco ha anche invertito il declino mentale da età nei topi anziani, riportando le capacità di richiamo dei ricordi e di navigazione a quelle esibite dai topi giovani.


"Se aggiusti il sistema immunitario, puoi svecchiare il cervello", ha detto la Andreasson. Gli esperimenti del suo team nelle cellule umane suggeriscono che un simile ringiovanimento può essere possibile nelle persone, ha detto.


Le cellule mieloidi sono la fonte principale del corpo di PGE2, un ormone che appartiene alla famiglia delle prostaglandine. Il PGE2 fa molte cose diverse nel corpo, alcune buone, altre un po' meno: tra queste ultime, promuove l'infiammazione. Quello che fa il PGE2 dipende da dove (cellule e diverse varietà di recettore sulle superfici di quelle cellule) finisce l'ormone.


Un tipo di recettore per il PGE2 è l'EP2. Questo recettore si trova sulle cellule immunitarie ed è particolarmente abbondante sulle cellule mieloidi. Avvia l'attività infiammatoria all'interno delle cellule dopo essersi legato al PGE2. Il gruppo della Andreasson ha coltivato macrofagi, una classe di cellule mieloidi situate nei tessuti in tutto il corpo, di persone over-65 e li hanno confrontati con i macrofagi di persone under-35. Hanno anche confrontato macrofagi di topi giovani e vecchi.

 

'Una doppia sciagura'

I macrofagi di topi e umani anziani, hanno osservato, non solo producono molti più PGE2 rispetto a quelli più giovani, ma hanno anche un numero molto maggiore di EP2 sulla loro superficie. La Andreasson e i suoi colleghi hanno anche confermato aumenti significativi dei livelli di PGE2 nel sangue e del cervello dei topi anziani.


"È una sciagura doppia, un circolo vizioso negativo", ha detto la Andreasson. "L'aumento esponenziale conseguente dei legami PGE2-EP2 amplifica i processi intracellulari associati all'infiammazione nelle cellule mieloidi".


Gli investigatori hanno dimostrato nelle cellule mieloidi sia umane che di topo, come inizia questa accelerazione infiammatoria: il grande aumento di legame PGE2-EP2 nelle cellule mieloidi degli individui più anziani altera la produzione di energia all'interno di queste cellule, deviando il glucosio (che alimenta la produzione di energia nella cellula) dal consumo allo stoccaggio.


I ricercatori hanno scoperto che le cellule mieloidi, guidate dall'aumento associato all'età del legame PGE2-EP2, sono sempre più propense ad accumulare glucosio, convertendo questa fonte di energia in catene di glucosio lunghe chiamate glicogeni (l'equivalente animale dell'amido) invece di 'spenderlo' per produrre energia. Quell'accaparramento, e il successivo stato cronicamente impoverito di energia, li porta a una furia infiammatoria, provocando il caos sui tessuti che invecchiano.


"Questo percorso potente guida l'invecchiamento", ha detto. "E può essere rallentato".


Gli scienziati di Stanford lo hanno di mostrato bloccando la reazione del recettore ormonale sulle superfici delle cellule mieloidi nei topi. Hanno dato ai topi uno dei due composti sperimentali conosciuti per interferire con il legame PGE2-EP2 negli animali. Hanno anche incubato macrofagi coltivati, umani e di topo, con queste sostanze. Facendo così hanno indotto le cellule mieloidi vecchie a metabolizzare il glucosio proprio come fanno quelle giovani, invertendo il carattere infiammatorio delle cellule vecchie.


Ancora più sorprendente è il fatto che i composti hanno invertito il declino cognitivo da età dei topi. Quelli più anziani che li hanno ricevuti, hanno avuto risultati migliori sui test di richiamo e di navigazione spaziale, simili a quelli dei topi giovani adulti.


Uno dei due composti usati dagli scienziati di Stanford era efficace anche se non penetra nella barriera emato-encefalica. Questo suggerisce, ha detto la Andreasson, che ripristinare le cellule mieloidi al di fuori del cervello può provocare effetti profondi anche su ciò che accade all'interno del cervello.


Nessuno dei due composti è approvato per l'uso umano, ha notato, ed è possibile che abbiano effetti collaterali tossici, sebbene non ne sia stato osservato alcuno nei topi. I risultati forniscono un percorso ai produttori di farmaci per sviluppare un composto che può essere dato alle persone.

 

 

 


Fonte: Bruce Goldman in Stanford University (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Paras Minhas, Amira Latif-Hernandez, Melanie McReynolds, Aarooran Durairaj, Qian Wang, Amanda Rubin, Amit Joshi, Joy He, Esha Gauba, Ling Liu, Congcong Wang, Miles Linde, Yuki Sugiura, Peter Moon, Ravi Majeti, Makoto Suematsu, Daria Mochly-Rosen, Irving Weissman, Frank Longo, Joshua Rabinowitz &Katrin Andreasson. Restoring metabolism of myeloid cells reverses cognitive decline in ageing. Nature, 20 Jan '21, DOI

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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