Il dottor Laurence O'Dwyer scrive che, aumentando la nostra comprensione di come la sostanza bianca viene danneggiata nell'Alzheimer, possiamo migliorare le nostre possibilità di sviluppare farmaci per contrastare la patologia.
Sebbene i meccanismi della malattia non siano compresi, i progressi in strumenti di imaging cerebrale stanno rendendo possibile rintracciare la sua insorgenza e la progressione con un maggiore dettaglio anatomico.
Questo potrebbe non sembrare così eccitante come una cura, ma finché non si comprende come la malattia prende piede nel cervello e come progredisce, lo sviluppo strategico di farmaci utili sarà molto limitato.
Nel lavoro pubblicato di recente sul Journal of Alzheimer, il nostro laboratorio alla Goethe University di Francoforte ha utilizzato una tecnica specializzata di imaging chiamata diffusion tensor imaging (DTI) per mappare i cambiamenti nella materia bianca del cervello dei pazienti Alzheimer, così come quelli in uno stato intermedio, chiamato decadimento cognitivo lieve (MCI).
Mentre l'Alzheimer comporta profonda perdita di memoria, l'MCI è ritenuto uno stato intermedio tra un invecchiamento sano e l'Alzheimer, e in cui sottili deficit cognitivi incidono sulla vita quotidiana delle persone. Con circa il 10-15 per cento di quelli con MCI che progrediscono verso l'Alzheimer ogni anno, il numero delle persone che sviluppano MCI è in forte aumento su scala globale ed è di vitale importanza sviluppare un accurato marcatore precoce diagnostico che sia in grado di individuare i primi segni della malattia di Alzheimer in questo gruppo a rischio.
Lo studio collaborativo è stato diretto dal Prof. Harald Hampel ed è cominciato con la scansione di oltre 100 partecipanti al Trinity College Institute of Neuroscience. L'analisi di quelle scansioni si è focalizzata sulle tracce della sostanza bianca, che sono essenziali per una comunicazione efficace all'interno delle reti cerebrali. Queste ultime possono essere viste come le autostrade dell'informazione del cervello e consistono di oltre 150.000 chilometri di fibre, molti dei quali sono isolati da una proteina chiamata mielina. Questa proteina aiuta a velocizzare la trasmissione lungo queste strade neurali.
Nell'Alzheimer, un problema importante è quello di individuare le aree di sostanza bianca che sono particolarmente vulnerabili alla degenerazione e capire quali fattori innescano questo danno. In particolare, la 'teoria di retrogenesi' dell'Alzheimer è stata studiata utilizzando scansioni del tensore di diffusione. Secondo questa teoria, la mielinizzazione segue uno schema specifico nei primi mesi di sviluppo; le prime autostrade che depositano la mielina sono le più critiche per la sopravvivenza nella vita iniziale, come quelle coinvolte nell'udito e nella vista.
Al contrario, le aree che controllano le funzioni superiori, come il linguaggio, mielinizzano più tardi. In termini evolutivi, questo ha un senso, poichè la capacità di sentire e vedere un predatore o un genitore protettivo aumenta le probabilità di un bambino di sopravvivere. Ma come è correlata all'Alzheimer?
Teoria retrogenesi
La 'teoria retrogenesi' propone che le aree che mielinizzano in stadi più avanzati nel neonato sono in realtà le più vulnerabili ai danni nelle fasi iniziali dell'Alzheimer. Lo sviluppo sequenziale delle tracce della sostanza bianca nella prima infanzia sembra svelarsi al contrario nell'Alzheimer; la memoria e il linguaggio è influenzato all'inizio della malattia, mentre l'udito e la vista sono relativamente ben conservate. Inoltre, i primi riflessi dello sviluppo come quello di suzione, che spariscono con la maturazione del cervello, possono ricorrere nei pazienti con Alzheimer.
Fino a poco tempo fa, l'analisi della sostanza bianca era in gran parte confinata a studi post-mortem, ma con la scansione del tensore di diffusione, possiamo ora studiare in grande dettaglio il danno della sostanza bianca nei pazienti viventi. Dopo la scansione iniziale, i dati sono stati elaborati con una serie di strumenti di programmazione scritti dal dottor Franck Lamberton dell'Istituto Cyceron in Francia.
Con l'esplosione attuale di dati medici, la chiave per far progredire la ricerca è l'abilità di automatizzare in modo efficiente le fasi di analisi. La competenza del dr. Lamberton nella scansione medica e nella programmazione ha fatto in mode che tutte le scansioni sono state rapidamente e accuratamente elaborate, senza gli inevitabili errori umani che si insinuano quando i dati sono elaborati a mano.
Danno alla materia bianca
Per studiare la dinamica del danno della sostanza bianca, un nuovo protocollo di statistica è stato poi sviluppato attraverso un'altra collaborazione, questa volta con il dottor Tanner Colby, uno zoologo e ecologista teorico dell'Università di Losanna.
Una collaborazione tra uno zoologo e neuroscienziati potrebbe sembrare un po' inusuale, ma la competenza del dottor Tanner è negli strumenti statistici avanzati, in grado di modellare set di dati complessi. La sua ricerca si concentra sullo studio delle formiche e di come il comportamento individuale influenza la dinamica di gruppo di una colonia di formiche e su come la colonia può essere influenzata dal comportamento di una singola formica.
Utilizzando dispositivi di tracciamento dal vivo, si possono seguire gli individui all'interno della colonia e con l'aiuto di simulazioni al computer e modelli statistici, si può valutare come le decisioni dei singoli influenzano il comportamento del gruppo in un sistema complesso.
Questi strumenti computazionali e statistici possono utilmente descrivere una vasta gamma di sistemi complessi, tra cui la degenerazione della materia bianca nel cervello. E così, da questa collaborazione inedita, sono state sviluppati una serie di strumenti di calcolo per modellare i cambiamenti che avvengono nella materia bianca del cervello con la progressione della neurodegenerazione da decadimento cognitivo lieve all'Alzheimer.
Aree vulnerabili
I risultati hanno indicato che le aree che mielinizzano negli stadi più avanzati nel cervello neonato sono particolarmente suscettibili di danni diretti della sostanza bianca nell'Alzheimer. Al contrario, le aree cerebrali che mielinizzano in una fase precoce nel neonato sono risultate essere influenzata da una combinazione di danni sia della materia grigia che della sostanza bianca. Questi risultati supportano la 'teoria di retrogenesi'.
Fino a poco tempo fa, la visione classica dell'Alzheimer era che la materia grigia è danneggiata prima e che questo danno porta successivamente ad un effetto a valle su tratti di sostanza bianca. Ma ora sembra che questo punto di vista possa essere troppo semplicistico. I risultati di questo studio indicano che le aree che depositano mielina più tardi nello sviluppo possono avere danni diretti alla loro mielina, mentre le tracce della sostanza bianca che mielinizzano nelle fasi precedenti sembrano essere sensibili a una combinazione di danni sia diretti che a quelli indiretti della materia grigia a monte.
Gli strumenti sviluppati dal dottor Tanner ci permettono anche di visualizzare l'interazione tra la contrazione delle materie bianca e grigia e come l'interazione tra questi due tipi di tessuto cambiano regione per regione. Modellando il cervello con un nuovo insieme di tecniche, ora abbiamo un quadro per comprendere i fattori che determinano la degenerazione della sostanza bianca in momenti diversi.
Modelli con effetti misti, come quello usato nella ricerca attuale, sono stati utilizzati solo raramente in varie aree della medicina e delle neuroscienze a causa della difficoltà percepite nella loro applicazione. Ma sono un potente strumento per modellare non solo le colonie di formiche, ma anche i dati delle neuroscienze. L'uso di questi modelli, insieme alla DTI, probabilmente aprirà molte nuove aree di ricerca che comportano danni alla sostanza bianca nella neurodegenerazione.
La stretta collaborazione
E' particolarmente gratificante vedere che la stretta collaborazione e la cooperazione tra le persone provenienti da discipline diverse può portare a nuove direzioni, che possono portare a progressi nel trattamento dei pazienti con Alzheimer. Mentre la DTI è ancora lungi dall'essere utilizzata di routine nella pratica clinica, questo lavoro mette in luce anche come si possono identificare in modo univoco i danni ai tessuti della sostanza bianca, che si possono perdere quando si utilizzano strumenti convenzionali di risonanza magnetica.
In definitiva, speriamo che, se riusciamo a capire meglio l'andamento della malattia, saremo in grado di diagnosticare i pazienti prima, permettendo l'attuazione di strategie di prevenzione più efficaci nei gruppi a rischio di Alzheimer.
Scritto dal Dr Laurence O'Dwyer, ricercatore irlandese post-dottorato del Dipartimento di Psichiatria del Goethe University Hospital di Francoforte.
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Pubblicato in Irish Medical Times il 6 agosto 2011 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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