In uno studio recente, scienziati del Rotman Research Institute (RRI) del Centro Baycrest, affiliato all'Università di Toronto, hanno trovato che i partecipanti alla ricerca spostavano gli occhi per determinare se avevano visto prima quell'immagine, e che gli schemi dei movimenti dell'occhio potevano predire gli errori della memoria. Hanno ottenuto questi risultati con una nuova tecnica innovativa di tracciamento oculare sviluppata da loro.
“I nostri risultati indicano che i movimenti degli occhi hanno un ruolo funzionale nel recupero della memoria”, dice la dott.ssa Jennifer Ryan, scienziata senior dell'RRI e docente di Neuroscienza Cognitiva della Memoria. “Essi possono dirci molto sulla memoria di una persona”.
Questo studio si basa su precedenti ricerche svolte al Baycrest che hanno esaminato il legame tra movimenti oculari e memoria, compreso il ruolo dei movimenti oculari nella memorizzazione e nell'indebolimento della connessione tra i movimenti oculari e l'attività cerebrale con l'avanzare dell'età.
“Quando vediamo un'immagine, un volto o qualcos'altro che abbiamo già visto, i nostri occhi tendono a guardare negli stessi punti della prima volta. Il cervello mette a confronto le caratteristiche importanti di quello che stiamo vedendo con l'immagine mentale della nostra memoria, e le identifica come uguali“, dice il dott. Bradley Buchsbaum, ricercatore senior dell'RRI. “Il cervello è molto bravo in questo, anche in condizioni di bassa visibilità”.
“Se vediamo qualcuno in lontananza, o se il loro volto è parzialmente nascosto da rami, il nostro cervello confronta le caratteristiche che sono visibili con un'immagine mentale per determinare se conosciamo quella persona”, dice Jordana Wynn, prima autrice di questo studio, ex dottoranda dell'RRI e attualmente alla Harvard University.
Questo fenomeno è chiamato 'completamento dello schema' (pattern completion). Quando non funziona, potremmo finire per far cenni per errore a un estraneo, se ha i capelli simili o un naso simile a qualcuno che conosciamo.
In questo studio, pubblicato su PNAS, i partecipanti prima sono stati invitati a memorizzare una serie di 30 nuove immagini su uno schermo. Successivamente, essi ne hanno visto un'altra serie, questa volta contenente sia alcune delle immagini viste in precedenza che alcune nuove, ma simili. È stato poi loro chiesto di indicare per ognuna se l'avevano vista prima. Durante entrambe le fasi sono stati monitorati i loro movimenti oculari. Ogni immagine è stata mostrata per breve tempo, da 250 a 750 millisecondi, prima che sparisse dallo schermo.
I partecipanti sono stati estremamente precisi nell'identificare immagini già viste prima, con un punteggio di quasi il 90%. Avevano più probabilità di riconoscerle se i loro movimenti oculari erano uguali a quando le avevano viste la prima volta. Dall'altra parte, sono andati meno bene (al 70%) di fronte a una nuova immagine, anche se simile. In quest'ultimo caso, più i partecipanti ripetevano il modello di visione iniziale, invece di concentrarsi su diversi aspetti dell'immagine, più era probabile che identificassero erroneamente l'immagine come già vista.
Per emulare le situazioni del mondo reale, dove non abbiamo informazioni complete, i ricercatori hanno anche usato versioni incomplete, o 'degradate', di immagini. Queste degradazione andava da 0 all'80%, sotto forma di quadrati grigi che coprivano parti dell'immagine. Sorprendentemente, anche quando l'immagine era deteriorata dell'80%, le prestazioni erano molto migliori del puro indovinare, riflettendo la forza del 'completamento dello schema'.
“Con la nostra tecnica di tracciamento oculare, siamo riusciti a mappare i movimenti degli occhi dei partecipanti e a osservare che stavano formando mentalmente un'immagine che non potevano vedere”, dice la Wynn. “Usavano il completamento dello schema”.
Molti studi hanno esaminato il 'completamento dello schema' nel corso degli ultimi decenni, ma con un punto debole cruciale:
“Questi studi si sono basati tutti sul presupposto non provato che possiamo dedurre che sta avvenendo il 'completamento dello schema' quando i partecipanti ‘riconoscono’ erroneamente immagini che non hanno mai visto prima”, dice la Wynn. “Il nostro studio è il primo ad usare l'analisi del movimento degli occhi, piuttosto che del comportamento, per dimostrare che le persone, quando fanno questo errore, in realtà recuperano il ricordo di una vecchia immagine”.
Le scoperte di questo studio hanno importanti implicazioni in termini di valutazione della memoria:
“Alcuni dei test tradizionali impiegati per diagnosticare i deficit di memoria sono abbastanza verbali”, dice la dott.ssa Ryan. “Spesso richiedono una buona padronanza della lingua ufficiale, che può essere un problema nella nostra società multiculturale”.
“Con il tracciamento oculare, non c'è bisogno di chiedere alla persona quello che ricorda. Puoi anche solo guardare i suoi occhi. Questo ci dà molte più informazioni sulla sua memoria di quanto pensassimo“, dice il dott. Buchsbaum.
Con altri fondi, i ricercatori potrebbero esaminare ulteriormente il ruolo dei movimenti oculari nel recupero della memoria:
“Questo potrebbe portare allo sviluppo di strumenti migliori di screening per la demenza, che è l'obiettivo finale”, dice la dott.ssa Ryan.
Fonte: Baycrest’s Rotman Research Institute (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Jordana Wynn, Jennifer Ryan, Bradley Buchsbaum. Eye movements support behavioral pattern completion. PNAS, 2 Mar 2020, DOI
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