Ricercatori della Case Western University comunicano di avere identificato un gene finora sconosciuto, e la proteina associata, che potrebbero essere soppressi per rallentare l'avanzata del MA.
“Sulla base dei dati che abbiamo, questa proteina può essere un nuovo, e finora sconosciuto, fattore di rischio per il MA”, ha detto Xinglong Wang, professore associato di patologia alla Facoltà di Medicina. “Dobbiamo considerare anche questo come un potenziale bersaglio terapeutico per questa malattia devastante”.
Wang ha detto che dimostrare quest'ultima affermazione, che non è ancora stata testata negli esseri umani, richiede ulteriori ricerche per corroborare la funzione della proteina che hanno soprannominato 'aggregatina'. Alla fine, ciò implicherebbe un giorno fare sperimentazioni cliniche con malati di MA, ha detto. “Questa proteina si accumula, o si aggrega, in modo caratteristico nel centro della placca dei pazienti con MA, come il tuorlo di un uovo, ed è in parte il motivo per cui l'abbiamo chiamata aggregatina", ha detto Wang.
Un gruppo di ricerca guidato da Wang e Xiaofeng Zhu, docente di Scienza Sanitaria Quantitativa e della Popolazione, ha depositato un brevetto attraverso l'università per “trattamenti e diagnosi innovativi del MA basati su questo studio e su uno correlato“, ha detto Wang.
“Siamo molto entusiasti di questo, perché il nostro studio è probabilmente il primo lavoro sistematico che combina così perfettamente l'identificazione da uno studio di associazione dell'intero genoma di volumi elevati di dati di scansioni cerebrali e la validazione sperimentale nel MA”, ha detto Zhu.
La ricerca è stata pubblicata questo mese dalla rivista scientifica Nature Communications e supportata da sovvenzioni dei National Institutes of Health (NIH) e dell'Alzheimer's Association. I dati di scansione cerebrale e quelli genomici sono stati ottenuti dalla Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative, supportata dai NIH.
L'Alzheimer colpisce milioni di persone
Più di 5,7 milioni di americani hanno il MA, che è la prima causa di demenza e la sesta causa di morte negli Stati Uniti. Si prevede che questo numero raggiunga i 14 milioni entro il 2050, secondo l'Alzheimer's Association.
Tra i ricercatori è ben consolidata la relazione tra MA (e conseguente atrofia cerebrale) e placche di amiloide, gli aggregati duri di proteine amiloide-beta che si formano tra le cellule nervose (neuroni) nel cervello dei pazienti di Alzheimer. Il modo esatto in cui quell'amiloide-beta porta alla formazione di placche era ancora poco compreso, ma questo nuovo lavoro sembra aver aperto nuove strade, ha detto Wang.
Inoltre, anche se c'è stata molta ricerca sull'influenza che possono avere i geni sulla comparsa del MA, c'è meno comprensione dei geni che potrebbero essere legati alla progressione della malattia, cioè alla formazione della placca e la successiva atrofia del cervello.
Il ruolo della proteina ‘aggregatina’
Nel nuovo lavoro, i ricercatori hanno iniziato correlando circa un milione di marcatori genetici (chiamati polimorfismi a singolo nucleotide, SNP) con immagini del cervello. Sono riusciti a identificare un SNP specifico nel FAM222, un gene legato a diversi modelli di atrofia cerebrale regionale.
Ulteriori esperimenti hanno poi suggerito che la proteina codificata dal gene FAM222A non solo è associata alle placche di amiloide-beta del paziente e all'atrofia cerebrale regionale, ma che l'«aggregatina» si attacca al peptide amiloide-beta (il principale componente delle placche) e facilita la formazione della placca.
Così, quando i ricercatori hanno iniettato nei topi modello di MA la proteina aggregatina (prodotta dal gene FAM222A), la formazione di placca (depositi di amiloide) nel cervello si è accelerata, con conseguente maggiore neuroinfiammazione e disfunzione cognitiva. Questo è accaduto, riferiscono, perché la proteina ha dimostrato di legare direttamente il peptide amiloide-beta, facilitando così l'aggregazione e la formazione di placca, ha detto Wang.
Al contrario, quando hanno soppresso la proteina, le placche si sono ridotte e si sono alleviati sia la neuroinfiammazione che il deterioramento cognitivo.
I loro risultati indicano che la riduzione dei livelli di questa proteina e l'inibizione della sua interazione con il peptide amiloide-beta potrebbe essere potenzialmente terapeutico, non necessariamente per prevenire l'Alzheimer, ma per rallentarne la progressione.
Fonte: Case Western University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Tingxiang Yan, Jingjing Liang, Ju Gao, Luwen Wang, Hisashi Fujioka, ADNI, Xiaofeng Zhu & Xinglong Wang. FAM222A encodes a protein which accumulates in plaques in Alzheimer’s disease. Nature Communications, 21 Jan 2020, DOI
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