Da tempo i ricercatori si stanno chiedendo come riescono ad unirsi miliardi di neuroni indipendenti nel cervello per costruire una macchina biologica affidabile che batte facilmente i computer più avanzati. Tutte queste piccole interazioni sembrano essere legate a qualcosa che garantisce una capacità di calcolo impressionante.
Negli ultimi 20 anni, sono emerse prove a supporto della teoria che il cervello si sintonizza su un punto dove raggiunge la massima eccitabilità possibile ma senza scatenare il disordine, come in una transizione di fase. Questa 'ipotesi della criticità' afferma che il cervello è in bilico sul sottile confine tra quiescenza e caos. Proprio su questa linea è massimizzata l'elaborazione delle informazioni.
Tuttavia, una delle previsioni chiave di questa teoria non era mai stata testata: che la criticità è veramente un punto decisivo, e non una mera fatalità. Fino ad ora. Una nuova ricerca eseguita alla Washington University di St. Louis conferma direttamente questa previsione nel cervello di animali che si comportano liberamente.
“Quando i neuroni si combinano, cercano attivamente un regime critico”, ha detto Keith Hengen, assistente professore di biologia e autore senior del nuovo studio pubblicato il 7 ottobre sulla rivista Neuron. “Il nostro nuovo lavoro convalida gran parte dell'interesse teorico sulla criticità e dimostra che la criticità è una caratteristica delle reti che funzionano normalmente”.
I ricercatori hanno determinato che la criticità è regolata attivamente, ma i meccanismi alla base questo stato ottimizzato non sono semplici. “Siamo stati sorpresi di trovare, nei nostri modelli, che [la criticità] dipende in gran parte da una popolazione di neuroni inibitori che, in retrospettiva, sono ben posizionati per regolare l'organizzazione della rete più grande”, ha detto Hengen.
Osservazione diretta della criticità
La criticità è l'unico regime computazionale conosciuto che, per definizione, ottimizza l'elaborazione delle informazioni, come la memoria, la gamma dinamica e la capacità di codificare e trasmettere modelli complessi.
I fisici teorici avevano proposto inizialmente che il cervello può essere critico, ma i neuroscienziati hanno avuto una reazione mista. Hengen spiega:
“C'è una lunga storia di solido lavoro teorico sulla criticità e qualche polemica divertente che aggiunge sapore. Penso che questa controversia venga da due posti. Il primo: gran parte del lavoro in vivo è stato per lo più descrittivo, credo perché questi set di dati sono difficili da raccogliere e impegnativi da analizzare. In entrambi i casi è mancata la dimostrazione diretta che la criticità è qualcosa di cui il cervello si occupa.
“Il secondo: c'è stata un po' di discussione circa la matematica usata per misurare la criticità. Di recente, i ricercatori hanno smesso di misurare le leggi di potenza semplici, che possono emergere dal rumore casuale, e hanno iniziato a guardare una cosa chiamata 'relazione esponente'. Finora, questa è stata l'unica vera firma della criticità, ed è la base di tutte le nostre misure“.
“Il nostro laboratorio porta un contributo di calibro molto alto alla discussione sulla criticità nel cervello, per merito della risoluzione sul singolo neurone, e del tempo totale di osservazione. Siamo in grado di guardare le dinamiche critiche nel tempo per un periodo incredibilmente lungo”.
Il primo autore del nuovo studio è Zhengyu Ma, neo dottorato di fisica, che ha condotto il lavoro con Ralf Wessel, professore di fisica. La ricerca si basa su dati provenienti da registrazioni neuronali di topi con comportamento libero che Hengen ha raccolto alla Brandeis University. Hengen da allora ha costruito il suo proprio laboratorio alla Washington University, e sta raccogliendo le sue registrazioni neuronali, registrazioni che si estendono per mesi e su centinaia di neuroni.
Tali registrazioni sono straordinariamente piene di dati e tecnicamente impegnative. Secondo Ma, “La risoluzione temporale è molto alta, che è un vantaggio. Inoltre, possiamo avere 9 giorni [di dati]. Sono ancora molto sorpreso da questo. Non ci sono molti laboratori che possono raggiungere nove giorni di registrazione”. Con poche eccezioni, la pratica precedente per le registrazioni neuronali andava da 30 minuti ad alcune ore, al massimo, un limite rilevante per i test sperimentali della criticità.
Con il contributo di Ma al carico computazionale pesante, Hengen e i co-autori hanno combinato ed elaborato i dati provenienti da molte registrazioni di Hengen su singoli neuroni nel tempo per modellare l'attività di intere reti neurali.
La criticità si interrompe, poi riemerge
Approfittando della loro capacità di monitorare continuamente l'attività dei neuroni per più di una settimana, i ricercatori hanno prima confermato che la dinamica di rete nella corteccia visiva è sintonizzata in modo robusto con la criticità, anche tra i cicli luce-buio.
Poi, bloccando la visione in un occhio, i ricercatori hanno scoperto che la criticità è gravemente perturbata, più di un giorno prima che la manipolazione influenzasse i tassi di 'sparo' dei singoli neuroni. 24 ore dopo, la criticità è riemersa nelle registrazioni, al punto che singoli neuroni sono stati soppressi dalla deprivazione visiva.
“Sembra che, non appena c'è una mancata corrispondenza tra ciò che l'animale si aspetta e quello che sta ricevendo da quell'occhio, la dinamica di calcolo si rompa”, ha detto Hengen. “Questo è coerente con la fisica teorica, che il regime critico è indipendente dal tasso di 'sparo'. Non si tratta solo del numero totale di picchi nella rete, perché il tasso di sparo non cambia affatto all'inizio della privazione, e tuttavia il regime cade a pezzi”.
I ricercatori ora credono che la criticità nel cervello sia probabilmente collegata a neuroni inibitori che impongono e organizzano la dinamica di calcolo.
Sintonizzazione attiva
I risultati potrebbero avere importanti implicazioni per l'apprendimento motorio e per le malattie. L'auto-organizzazione del cervello attorno alla criticità è un processo attivo, nota Hengen, e la regolazione omeostatica alterata è sempre più coinvolta in gravi patologie umane come l'Alzheimer, l'epilessia, la sindrome di Rett, l'autismo e la schizofrenia.
“Un'interpretazione di questo lavoro è che la criticità è un obiettivo finale omeostatico per le reti del cervello”, ha detto Hengen. “È un'idea elegante: che il cervello può sintonizzare una proprietà emergente ad un punto chiaramente previsto dai fisici. Ed è intuitivo che l'evoluzione abbia selezionato le parti che danno origine ad una soluzione ottimale. Ma solo il tempo ce lo dirà. C'è molto lavoro da fare”.
Fonte: Talia Ogliore in Washington University in St. Louis (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Zhengyu Ma, Gina G. Turrigiano, Ralf Wessel, Keith B. Hengen. Cortical Circuit Dynamics Are Homeostatically Tuned to Criticality In Vivo. Neuron, 2019, DOI
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