La fibrillazione atriale (FA) è correlata ad un aumento del rischio di demenza, anche nelle persone che non hanno subito un ictus, secondo il più grande studio mai eseguito per indagare l'associazione in una popolazione anziana.
In più lo studio, pubblicato nell'European Heart Journal oggi (mercoledì 19 giugno 2019), ha rilevato che i pazienti con FA che assumevano anticoagulanti orali per prevenire la formazione di coaguli di sangue avevano un rischio ridotto di demenza.
La fibrillazione atriale (un battito cardiaco irregolare e spesso anormalmente veloce) è il problema più comune del ritmo cardiaco nelle persone anziane e più della metà dei pazienti con AF ha 80 anni o più. Essa aumenta il rischio di ictus, di altri problemi medici e di morte [precoce]. Poiché le popolazioni invecchiano, l'incidenza della fibrillazione atriale è prevista in aumento e sono sempre di più, sebbene incoerenti, le prove che l'AF possa contribuire allo sviluppo di problemi di pensiero e demenza.
L'attuale studio ha esaminato 262.611 persone di età pari o superiore a 60 anni, che erano senza FA e demenza nel 2004. I ricercatori hanno raccolto dati dalla coorte Service Senior della National Health Insurance e hanno seguito i partecipanti fino alla fine del 2013.
Durante quel periodo, l'AF è stata diagnosticata a 10.435 di loro. In coloro che hanno sviluppato AF, il 24,4% (2522) ha sviluppato demenza durante il periodo di studio rispetto al 14,4% (36,322) delle persone senza AF che ha sviluppato la demenza.
Il professor Boyoung Joung, professore di cardiologia e medicina interna dell'Università Yonsei di Seoul, Repubblica di Corea, che ha guidato la ricerca, ha dichiarato:
"Abbiamo scoperto che le persone che hanno sviluppato la fibrillazione atriale hanno un aumento del 50% del rischio di demenza rispetto a quelli che non hanno sviluppato la condizione; questo aumento del rischio è rimasto anche dopo aver rimosso dai nostri calcoli coloro che hanno subito un ictus. Ciò significa che, nella popolazione generale, 1,4 persone in più su 100 svilupperebbero la demenza se avessero la diagnosi di fibrillazione atriale. Il rischio si è verificato in persone di età inferiore ai 70 anni.
"Abbiamo anche scoperto che la fibrillazione atriale aumenta del 30% il rischio di Alzheimer e più che raddoppia il rischio di demenza vascolare. Tuttavia, tra le persone che hanno sviluppato fibrillazione atriale e che assumevano anticoagulanti orali, come warfarin o anticoagulanti non vitamina K, come dabigatran, rivaroxaban, apixaban o edoxaban, il rischio di sviluppare in seguito la demenza è ridotto del 40% rispetto ai pazienti che non prendono anticoagulanti".
I ricercatori dicono che questo è il più grande studio a indagare il legame tra AF e demenza in persone di 60 anni e più che non avevano AF e non avevano subito un ictus al momento dell'inclusione nello studio. Lo studio ha anche la durata più lunga, con una media di oltre sei anni.
Il co-autore Gregory Lip, professore di medicina cardiovascolare all'Università di Liverpool e professore a contratto all'Università Yonsei, ha detto:
"Con queste grandi cifre, possiamo essere certi delle nostre scoperte. Riteniamo inoltre che i nostri risultati possano essere applicati anche ad altre popolazioni, poiché confermano risultati simili sul legame tra fibrillazione atriale e demenza ottenuti dagli studi dei paesi occidentali ed europei.
"Il nostro studio suggerisce che il forte legame tra fibrillazione atriale e demenza potrebbe essere indebolito se i pazienti assumessero anticoagulanti orali. Pertanto, i medici dovrebbero pensare attentamente ed essere più pronti a prescrivere anticoagulanti ai pazienti con fibrillazione atriale per cercare di prevenire la demenza".
Il professor Joung ha concluso:
"La demenza è una malattia non trattabile e quindi la prevenzione è importante. Questo studio conferma che la fibrillazione atriale è un fattore di rischio per il suo sviluppo. Pertanto, la prevenzione della fibrillazione atriale può essere un mezzo per ridurre l'incidenza della demenza.
"Nei pazienti con fibrillazione atriale, i nostri risultati suggeriscono che possiamo ridurre l'incidenza della demenza attraverso l'uso di anticoagulanti. E' prevedibile che gli anticoagulanti non vitamina K, che presentano un rischio significativamente più basso di emorragia cerebrale rispetto al warfarin, possano essere più efficaci del warfarin in termini di prevenzione della demenza e questo sarà risolto da una sperimentazione clinica in corso.
"Inoltre, dovrebbero essere condotte indagini per determinare se il controllo aggressivo del ritmo, come l'ablazione del catetere, aiuta a prevenire la demenza" [ClinicalTrials.gov Identifier NCT03061006].
I ricercatori sottolineano che le loro scoperte mostrano solo che esiste un'associazione tra FA e demenza, e non che la FA causa demenza. Un possibile meccanismo del modo in cui la FA può causare demenza è che i pazienti con FA hanno spesso alterazioni dei vasi sanguigni nel cervello, probabilmente mini-ictus che sono troppo piccoli per mostrare eventuali sintomi esteriori e questo danno cerebrovascolare potrebbe essere implicato nell'insorgenza della demenza.
I limiti dello studio includono il fatto che i ricercatori non sono stati in grado di definire il tipo di FA che i pazienti avevano (parossistico o persistente); che la FA può manifestarsi senza sintomi e quindi alcuni casi possono essere stati ignorati; che i ricercatori non avevano informazioni sul trattamento della FA (trattamento efficace potrebbe ridurre il rischio di demenza) o dati 'reali' sulla pressione sanguigna; e, infine, anche se hanno corretto i dati per i fattori che potrebbero confondere i risultati, potrebbero rimanere dei fattori confondenti non identificati.
Fonte: European Society of Cardiology (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Dongmin Kim, Pil-Sung Yang, Hee Tae Yu, Tae-Hoon Kim, Eunsun Jang, Jung-Hoon Sung, Hui-Nam Pak, Myung-Yong Lee, Moon-Hyoung Lee, Gregory Y H Lip, Boyoung Joung. Risk of dementia in stroke-free patients diagnosed with atrial fibrillation: data from a population-based cohort. European Heart Journal, 18 June 2019, DOI: 10.1093/eurheartj/ehz386
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