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Più sonnolenza diurna, più Alzheimer?

L'analisi dei dati raccolti da uno studio a lungo termine sull'invecchiamento dimostra che coloro che avevano riferito di essere molto assonnati durante il giorno avevano una probabilità quasi tre volte più alta (di quelli che non lo erano) di avere, anni dopo, dei depositi cerebrali di amiloide-beta, una proteina che è un segno distintivo del morbo di Alzheimer (MA).


La scoperta, riferita il 5 settembre sulla rivista SLEEP, si aggiunge a un crescente numero di prove che il sonno di scarsa qualità potrebbe incoraggiare lo sviluppo di questa forma di demenza, e suggerisce che un sonno notturno adeguato può essere un modo per aiutare a prevenire il MA.


"Fattori come dieta, esercizio fisico e attività cognitiva sono ampiamente ritenuti obiettivi potenziali importanti per la prevenzione del MA, ma il sonno non è ancora salito a tale status, anche se ciò potrebbe cambiare", dice Adam P. Spira PhD, professore associato del Dipartimento di Salute Mentale della Johns Hopkins University. "Se il sonno disturbato contribuisce al MA, potremmo riuscire a trattare i pazienti con problemi di sonno per evitare questi esiti negativi".


Lo studio, condotto da Spira con collaboratori del National Institute on Aging (NIA), della Bloomberg School e della Johns Hopkins Medicine, ha usato i dati del Baltimora Longitudinal Study of Aging (BLSA), uno studio a lungo termine iniziato dal NIA nel 1958, che ha seguito la salute di migliaia di volontari mentre invecchiavano.


Tra gli esami periodici dello studio, i volontari hanno compilato un questionario tra il 1991 e il 2000 che ha posto una semplice domanda si/no: "Ti addormenti spesso o ti addormenti durante il giorno quando vorresti essere sveglio?". E un'altra, "Fai un sonnellino?", che prevedeva queste opzioni di risposta: "ogni giorno", "1-2 volte alla settimana", "3-5 volte alla settimana" e "raramente o mai".


Un sottogruppo di volontari ha anche iniziato a sottoporsi a neuroscansioni nel 1994. A partire dal 2005, alcuni di questi partecipanti hanno fatto la tomografia a emissione di positroni (PET) con il composto B Pittsburgh (PiB), un radioattivo che può aiutare a identificare le placche di amiloide-beta nel tessuto dei neuroni. Queste placche sono un segno distintivo del MA.


I ricercatori hanno identificato 123 volontari che hanno sia risposto alle domande precedenti, sia avuto una scansione PET con PiB in media circa 16 anni dopo. Hanno poi analizzato questi dati per vedere se c'era una correlazione tra i partecipanti che hanno riferito sonnolenza diurna o sonnellino e che hanno ottenuto un punteggio positivo per la deposizione di amiloide-beta nel cervello.


Prima di adattare i dati per i fattori demografici che potevano influenzare la sonnolenza diurna, come età, sesso, educazione e indice di massa corporea, i loro risultati hanno mostrato che chi aveva riferito sonnolenza diurna aveva una probabilità circa tre volte maggiore di deposizione di amiloide-beta rispetto a chi non aveva segnalato tale stanchezza diurna. Dopo aver aggiustato questi fattori, il rischio era comunque 2,75 volte più alto in quelli con sonnolenza diurna.


Il rischio non aggiustato della deposizione di amiloide-beta era circa il doppio rispetto a quello dei volontari che hanno riferito di sonnecchiare, ma questo non ha raggiunto la significatività statistica.


Al momento non è chiaro perché la sonnolenza diurna sia correlata alla deposizione di proteina amiloide-beta, dice Spira. Una possibilità è che la stessa sonnolenza diurna possa in qualche modo causare la formazione di questa proteina nel cervello. Sulla base di ricerche precedenti, una spiegazione più probabile è che il sonno disturbato, dovuto ad apnea ostruttiva del sonno, o il sonno insufficiente per altri fattori, causino la formazione di placche amiloide-beta attraverso un meccanismo attualmente sconosciuto e che questi disturbi del sonno causino eccessiva sonnolenza diurna.


"Tuttavia, non possiamo escludere che siano state le placche di amiloide presenti al momento della valutazione del sonno a causare la sonnolenza", ha aggiunto.


Studi sugli animali modello di MA hanno dimostrato che limitare il sonno notturno può portare a un incremento di proteine ​​amiloide-beta nel cervello e nel liquido spinale. Vari studi sull'uomo hanno collegato il sonno scadente a valori più alti di amiloide-beta nel tessuto neuronale.


I ricercatori sanno da tempo che i disturbi del sonno sono comuni nei pazienti con diagnosi di MA, e lo stress del caregiver che deve restare sveglio con il paziente di notte è una delle principali ragioni per cui i malati di MA devono essere messi nell'assistenza a lungo termine, spiega Spira. Si ritiene che le placche di amiloide-beta in crescita e i relativi cambiamenti cerebrali influenzino negativamente il sonno.


Ma questo nuovo studio si aggiunge alla crescente evidenza che il sonno scadente potrebbe invece dare in realtà un contributo allo sviluppo del MA, aggiunge Spira. Ciò suggerisce che la qualità del sonno potrebbe essere un fattore di rischio modificabile, puntando i disturbi che influenzano il sonno, come l'apnea ostruttiva del sonno e l'insonnia, così come i fattori di tipo sociale e individuale, come la perdita di sonno dovuta al lavoro o alla visione frenetica di TV.


"Non esiste ancora una cura per il MA, quindi dobbiamo fare del nostro meglio per impedirlo. Si dovrebbero enfatizzare le strategie di prevenzione, anche se e quando si svilupperà una cura", dice Spira. "Dare la priorità al sonno può essere un modo per prevenire o forse rallentare questa condizione".

 

 

 


Fonte: Johns Hopkins University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Adam P Spira, Yang An, Mark N Wu, Jocelynn T Owusu, Eleanor M Simonsick, Murat Bilgel, Luigi Ferrucci, Dean F Wong, Susan M Resnick. Excessive daytime sleepiness and napping in cognitively normal adults: associations with subsequent amyloid deposition measured by PiB PET. Sleep, 2018; DOI: 10.1093/sleep/zsy152

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Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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