Usando le immagini da Risonanza Magnica (MRI), i ricercatori potrebbero essere in grado di prevedere quali adulti con lieve compromissione cognitiva hanno maggiori probabilità di progredire verso l'Alzheimer, secondo i risultati di uno studio pubblicato on-line nel numero di giugno di Radiology.
La compromissione cognitiva lieve (MCI) è uno stadio intermedio tra il declino delle capacità mentali, che si verifica nel normale invecchiamento, e il deterioramento più marcato associato alla demenza, un gruppo di malattie del cervello che comprende l'Alzheimer (AD).
I soggetti con MCI sviluppano l'AD a un tasso del 15-20 per cento l'anno, significativamente più alto rispetto al 1-2 per cento della popolazione generale. Alcune persone con MCI rimangono stabili, mentre altri declinano gradualmente e alcune si deteriorano rapidamente. "Essere in grado di predire meglio le persone con MCI a maggior rischio di sviluppare l'Alzheimer può fornire informazioni critiche quando le terapie modificanti la malattia diventano disponibili", ha detto l'autore principale dello studio, Linda K. McEvoy, Ph.D., professore assistente nel Dipartimento di Radiologia presso la San Diego School of Medicine dell'Università di California. La Dssa McEvoy e un team di ricercatori hanno analizzato l'MRI della Alzheimer's Disease Neuroimaging Initiative (ADNI), un ampio studio sponsorizzato dal settore pubblico e privato, che ha effettuato l'imaging e altri test su centinaia di individui sani e altri con MCI e AD precoce tra il 2005 e il 2010 nella speranza di identificare biomarcatori preziosi del processo di malattia.
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Inclusi nello studio erano un esame MRI basale, che serve come punto iniziale di misurazione, e una seconda risonanza magnetica effettuata dopo un anno su 203 adulti sani, 317 pazienti con MCI e 164 pazienti con AD ad insorgenza tardiva. L'età media dei partecipanti allo studio era di 75 anni. Utilizzando la MRI, i ricercatori hanno misurato lo spessore della corteccia cerebrale (lo strato più esterno degli emisferi cerebrali del cervello che svolge un ruolo chiave nella memoria, attenzione, pensiero e linguaggio) e hanno osservato il modello di diradamento per calcolare un punteggio di rischio. Una delle caratteristiche dell'AD è la perdita di cellule cerebrali, chiamata atrofia, in specifiche aree della corteccia.
"La MRI è molto sensibile alla atrofia cerebrale" ha detto il Dott. McEvoy. "C'è un modello di assottigliamento corticale associato all'AD che indica che il paziente ha più probabilità di progredire verso l'AD". Utilizzando la risonanza magnetica alla base, i ricercatori hanno calcolato che i pazienti con MCI avevano un rischio di passare all'AD in un anno, dal 3 al 40 per cento. "Rispetto alla stima del rischio di conversione di un paziente sulla base solo di una diagnosi clinica, la MRI permette di ottenere stime di rischio specifiche del paziente con più informazioni" ha detto il Dott. McEvoy. "La MRI di base ha aiutato ad identificare quali pazienti sono a rischio molto basso di progredire all'Alzheimer e coloro il cui rischio era doppio."
Combinando i risultati della MRI basale e l'esame MRI eseguito un anno dopo, i ricercatori sono stati in grado di calcolare un tasso di variazione dell'atrofia cerebrale, che era ancora più informativo. Il rischio dei pazienti MCI di progredire alla malattia sulla base degli esami di serie MRI varia dal 3 a 69 per cento. "Il rapido assottigliamento della corteccia riflette una malattia degenerativa," spiega il Dott. McEvoy.
Anche se non esistono attualmente trattamenti che rallentare o prevenire la neurodegenerazione associata con AD, il dottor McEvoy ha detto che i pazienti ad alto rischio di progredire verso l'AD potrebbero desiderare di iscriversi alle sperimentazioni cliniche di terapie modificanti la malattia. Ha detto che l'informazione potrebbe anche garantire che i pazienti ricevano cure ottimali e consentire alle famiglie più tempo per la pianificazione.
Fonte: "Mild Cognitive Impairment: Baseline and Longitudinal Structural MR Imaging Measures Improve Predictive Prognosis". Hanno collaborato Dominic Holland, Ph.D., Donald J. Hagler, Jr., Ph.D., Christine Fennema-Notestine, Ph.D., James B. Brewer, MD, Ph.D., e Anders M. Dale, Ph.D.
Pubblicato su Alzheimer's Reading Room il 10 aprile 2011 Traduzione di Franco Pellizzari.
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