La scoperta, annunciata questa settimana, di diverse mutazioni genetiche che predispongono le persone verso l'Alzheimer è intrigante, perché i geni sono associati al metabolismo del colesterolo e all'infiammazione.
Il puzzle Alzheimer è lungi dall'essere completo, ma i pezzi stanno emergendo, e questa nuova prova si adatta molto bene agli altri pezzi suggerendo un ruolo dell'infiammazione.
Il pezzo 1 è la causa immediata dell'Alzheimer: la comparsa di "placche" insolubili composte di una piccola proteina chiamata beta amiloide (A-beta in breve) all'interno delle cellule cerebrali. Queste placche bloccano il traffico delle molecole nelle cellule. Alla fine un'altra piccola proteina, chiamata Tau, inizia anch'essa a cristallizzarsi in modo da formare dei "grovigli". Entrambi i sintomi permettono di diagnosticare l'Alzheimer, ed altri simili caratterizzano altre patologie neurologiche come il Parkinson e la malattia di Creutzfeldt-Jakob.
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Il pezzo 2 del puzzle è il gene APOE sul cromosoma 19, noto da molto tempo per influenzare fortemente la possibilità di contrarre l'Alzheimer. Avere due copie della versione 4 del gene dà probabilità maggiori di 20 volte rispetto alla media di mostrare i sintomi prima dei 75 anni. (Averne una copia della versione 2 rende meno vulnerabili rispetto alla media). Uno dei compiti dell'APOE è quello di smantellare i grovigli, e la versione 4 è inefficiente per questo compito. Quindi, proprio nel cuore della malattia c'è l'insolubilità delle proteine in età avanzata. Le proteine nelle cellule viventi barcollano sempre sul bordo dell'insolubilità, perché con così tante differenti proteine disciolte nella cellula addette a lavori diversi, la concentrazione totale è alta e la cristallizzazione è un rischio. La solubilità dipende dal corretto ripiegamento di ogni proteina in una certa forma. Con un piegamento scorretto anche di poco, una proteina può cristallizzare troppo facilmente.
Ecco il pezzo 3 del puzzle. Il Prof. Chris Dobson, dell'Università di Cambridge, ha fatto 17 piccoli aggiustamenti genetici alla proteina A-beta per renderla più o meno solubile. Ha poi implementato geneticamente le proteine mutanti in moscerini della frutta e ha dimostrato che meno solubile è la proteina, meno coordinati e meno hanno vissuto tali moscerini. In effetti, allineando i tubi di prova, ha potuto fare una sorta di grafico vivente formato dalle mosche danzanti, della solubilità in confronto all'attività.
Cosa fa apparire le proteine mal ripiegate nei cervelli anziani? Pezzo 4: Le cellule hanno un meccanismo interno di controllo di qualità che sia rileva e sia ripiega le proteine mal ripiegate. Una ricerca pubblicata il mese scorso dagli scienziati della Brown University ha rivelato che entrambe le parti di questo meccanismo (il rilevatore e il ripiegatore) stanno lavorando, ma sono sopraffatte nel cervello dei malati; non possono tenere il passo con il carico di lavoro causato da un numero eccessivo di proteine A-beta mal ripiegate.
Il che ci porta al pezzo 5, l'annuncio di questa settimana della scoperta di Jeffery Kelly e colleghi delllo Scripps Research Institute di una sostanza chimica (che si forma quando il colesterolo reagisce con l'ozono) si attacca all'A-beta e rende più probabile il piegamento mal fatto. L'ozono viene dall'infiammazione.
Il pezzo 6 è lo stress causato dalla preoccupazione, paura, dolore, trauma che si manifesta nella produzione di cortisolo, un ormone prodotto dal colesterolo. Anche il cortisolo sta cominciando ad apparire come un complice nelllo scorretto piegamento dell'A-beta, in base al lavoro dell'Università di California a Irvine.
Quindi, possiamo cominciare a raccontare una storia lineare:
- Stress e infiammazione producono derivati del cortisolo e del colesterolo, facendo scattare il piegamento scorretto di proteine A-beta.
- Questo, a sua volta, dà un carico di lavoro eccessivo al meccanismo di garanzia della qualità delle cellule, con il risultato di creare sempre più proteine insolubili che si aggregano in placche e grovigli.
- E questo blocca il trasporto delle sostanze vitali alle cellule del cervello, causando la morte delle cellule stesse.
Da qualche parte lungo questa catena, c'è un passaggio che, dobbiamo sperare, può essere attaccato da farmaci per prevenire l'infiammazione, scoraggiare le reazioni dell'ozono, incoraggiare l'apparato di ri-piegamento, migliorare la solubilità delle proteine o potenziare il meccanismo di rimozione della placca.
Scritto da Matt Ridley su The Wall Street Journal il 9 aprile 2011 Traduzione di Franco Pellizzari.
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