Iscriviti alla newsletter



Registrati alla newsletter (giornaliera o settimanale):
Ricevi aggiornamenti sulla malattia, gli eventi e le proposte dell'associazione. Il tuo indirizzo email è usato solo per gestire il servizio, non sarà mai ceduto ad altri.


Il legame tra demenza e obesità

E' nel cervello il segreto che va svelato per trattare meglio i disturbi perniciosi di obesità e demenza, secondo uno studio del Center for Behavioral Neuroscience dell'American University.


Nel documento, i ricercatori spiegano che, per trattare l'obesità, sono necessarie terapie che puntano le aree del cervello responsabili della memoria e dell'apprendimento. Inoltre, i trattamenti che si concentrano sull'ippocampo potrebbero avere un ruolo nella riduzione di certe forme di demenza.


"Nella lotta per la cura di queste malattie, le terapie e le misure preventive sono spesso insufficienti. Questo è un nuovo modo in cui i fornitori di cure che trattano le persone con problemi di peso, e i ricercatori che studiano le demenze, devono pensare all'obesità e al declino cognitivo", ha detto il Prof. Terry Davidson, direttore del centro e autore principale dello studio.


Nel documento, pubblicato sulla rivista Physiology & Behavior, Davidson e la collega Ashley A. Martin hanno rivisto i risultati delle ricerche che collegano l'obesità al declino cognitivo, compresi i risultati del centro sul modello di «circolo vizioso», che spiega come gli individui con peso anomalo, che soffrono di particolari tipi di deficit cognitivo, sono più suscettibili al mangiare troppo.

 

Obesità, deficit di memoria ed effetti duraturi

E' acquisito diffusamente che un consumo eccessivo di grassi alimentari, zucchero e dolcificanti può causare obesità. Questi tipi di fattori dietetici sono legati anche alla disfunzione cognitiva. Gli alimenti che sono fattori di rischio per il deterioramento cognitivo (ad esempio, quelli ricchi di grassi saturi e carboidrati semplici che compongono la dieta occidentale moderna) sono così diffusi e facilmente reperibili nell'ambiente alimentare di oggi, che il loro consumo non deve essere incoraggiato, ha detto Davidson.


Nei vari gruppi di età, le evidenze rivelano i legami tra l'assunzione eccessiva di cibo, il peso corporeo e la disfunzione cognitiva. L'obesità infantile e l'adesione alla dieta occidentale possono avere effetti duraturi, come si vede nel normale processo di invecchiamento, nel deterioramento cognitivo e nelle patologie cerebrali.


Diverse analisi di casi di deterioramento cognitivo lieve che sono progrediti all'Alzheimer conclamato, mostrano che i primi segnali della malattia del cervello possono insorgere almeno 50 anni prima della comparsa della disfunzione cognitiva grave. Questi segni hanno origine nell'ippocampo, l'area del cervello dove entrano in gioco memoria, apprendimento, processo decisionale, controllo del comportamento e altre funzioni cognitive.


Eppure, la maggior parte della ricerca sul ruolo del cervello nell'obesità si concentra sulle aree ritenute coinvolte con la motivazione della fame (per esempio, l'ipotalamo), il gusto (ad esempio, tronco encefalico), il rinforzo (ad esempio, lo striato) e la ricompensa (ad esempio, il nucleo accumbens) o con disturbi ormonali o metabolici. Questa ricerca non è ancora riuscita a generare terapie efficaci nel trattamento o nella prevenzione dell'obesità, dice Davidson.

 

Circolo vizioso

Gli esperimenti sui ratti di Davidson e colleghi dimostrano che il consumo eccessivo della dieta occidentale può danneggiare o cambiare la barriera emato-encefalica, la fitta rete di vasi sanguigni che proteggono il cervello e i substrati per la cognizione. Sappiamo che alcuni tipi di demenze nascono dal danneggiamento di questi substrati cerebrali.


"Il guasto della barriera emato-encefalica è più logico per il trattamento dell'obesità come disturbo dell'apprendimento e della memoria", ha detto Davidson. "Trattare l'obesità con successo può anche ridurre l'incidenza delle demenze, perché il deterioramento del cervello è spesso prodotto dalle stesse diete che promuovono l'obesità". Il modello "circolo vizioso" che i ricercatori dell'AU propugnano afferma che la dieta occidentale ricca di grassi saturi, zuccheri e carboidrati semplici produce patologie nelle strutture e nei circuiti cerebrali, cambiando infine i percorsi cerebrali e distruggendo le capacità cognitive.


Funziona così: le persone resistono meno alla tentazione quando incontrano gli stimoli ambientali (ad esempio, il cibo in sé stesso o gli archi gialli di McDonald) che ricordano loro i piaceri del consumo. Quindi mangiano quantità maggiori dello stesso tipo di alimenti che producono le alterazioni patologiche nel cervello, portando ad un progressivo deterioramento in quelle zone e nei processi cognitivi importanti per la fornitura che consentono di controllare pensieri e comportamenti.


Questi danni cognitivi possono indebolire la capacità di una persona di resistere al pensiero del cibo, rendendola più facilmente distraibile dagli stimoli alimentari nell'ambiente e più suscettibile di eccedere nel cibo e aumentare il peso.
"Le persone sono consapevoli, almeno fin dai tempi di Ippocrate, che la chiave per una vita sana è mangiare con moderazione. Eppure molti di noi non sono in grado di seguire questo buon consiglio", ha detto Davidson. "Il nostro lavoro suggerisce che i nuovi interventi terapeutici che puntano le regioni del cervello coinvolte con l'apprendimento e la memoria possono portare al successo nel controllare sia la voglia di mangiare, così come le conseguenze negative prodotte dall'eccesso di cibo".

 

 

 

 

 


FonteAmerican University  (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti:  Ashley A. Martin, Terry L. Davidson. Human cognitive function and the obesogenic environment. Physiology & Behavior, 2014; DOI: 10.1016/j.physbeh.2014.02.062

Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi citati nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non dipende da, nè impegna l'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X. I siti terzi raggiungibili da eventuali links contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.

Sostieni l'Associazione; una donazione, anche minima, ci aiuterà ad assistere malati e famiglie e continuare ad informarti. Clicca qui a destra:

 


 

 

Notizie da non perdere

Scoperta importante sull'Alzheimer: neuroni che inducono rumore 'cop…

11.06.2020 | Ricerche

I neuroni che sono responsabili di nuove esperienze interferiscono con i segnali dei neu...

Preoccupazione, gelosia e malumore alzano rischio di Alzheimer per le donne

6.10.2014 | Ricerche

Le donne che sono ansiose, gelose o di cattivo umore e angustiate in me...

Accumulo di proteine sulle gocce di grasso implicato nell'Alzheimer ad es…

21.02.2024 | Ricerche

In uno studio durato 5 anni, Sarah Cohen PhD, biologa cellulare della UNC e Ian Windham della Rockef...

Subiamo un 'lavaggio del cervello' durante il sonno?

4.11.2019 | Ricerche

Una nuova ricerca eseguita alla Boston University suggerisce che questa sera durante il ...

Capire l'origine dell'Alzheimer, cercare una cura

30.05.2018 | Ricerche

Dopo un decennio di lavoro, un team guidato dal dott. Gilbert Bernier, ricercatore di Hô...

Come dormiamo oggi può prevedere quando inizia l'Alzheimer

8.09.2020 | Ricerche

Cosa faresti se sapessi quanto tempo hai prima che insorga il morbo di Alzheimer (MA)? N...

I ricordi perduti potrebbero essere ripristinati: speranza per l'Alzheime…

21.12.2014 | Ricerche

Una nuova ricerca effettuata alla University of California di ...

Scienziati dicono che si possono recuperare i 'ricordi persi' per l…

4.08.2017 | Ricerche

Dei ricordi dimenticati sono stati risvegliati nei topi con Alzheimer, suggerendo che la...

Identificazione dei primi segnali dell'Alzheimer

7.03.2022 | Ricerche

Un team multidisciplinare di ricerca, composto da ricercatori del progetto ARAMIS, dell...

Sintomi visivi bizzarri potrebbero essere segni rivelatori dell'Alzheimer…

1.02.2024 | Ricerche

Un team di ricercatori internazionali, guidato dall'Università della California di San F...

'Tau, disfunzione sinaptica e lesioni neuroassonali si associano di più c…

26.05.2020 | Ricerche

Il morbo di Alzheimer (MA) comporta il deperimento caratteristico di alcune regioni del ...

Studio rivela dove vengono memorizzati i frammenti di memoria

22.07.2022 | Ricerche

Un momento indimenticabile in un ristorante può non essere esclusivamente il cibo. Gli o...

Scoperto nuovo colpevole del declino cognitivo nell'Alzheimer

7.02.2019 | Ricerche

È noto da tempo che i pazienti con morbo di Alzheimer (MA) hanno anomalie nella vasta re...

Le cellule immunitarie sono un alleato, non un nemico, nella lotta all'Al…

30.01.2015 | Ricerche

L'amiloide-beta è una proteina appiccicosa che si aggrega e forma picco...

Effetti della carenza di colina sulla salute neurologica e dell'intero si…

23.01.2023 | Ricerche

Assorbire colina a sufficienza dall'alimentazione è cruciale per proteggere il corpo e il cervello d...

Pressione bassa potrebbe essere uno dei colpevoli della demenza

2.10.2019 | Esperienze & Opinioni

Invecchiando, le persone spesso hanno un declino della funzione cerebrale e spesso si pr...

Scoperto un fattore importante che contribuisce all'Alzheimer

22.08.2022 | Ricerche

Una ricerca guidata dai dott. Yuhai Zhao e Walter Lukiw della Luisiana State University ...

'Scioccante': dopo un danno, i neuroni si auto-riparano ripartendo d…

17.04.2020 | Ricerche

Quando le cellule cerebrali adulte sono ferite, ritornano ad uno stato embrionale, secon...

Nuovo sensore nel cervello offre risposte all'Alzheimer

12.03.2021 | Ricerche

Scienziati della Università della Virginia (UVA) hanno sviluppato uno strumento per moni...

Il caregiving non fa male alla salute come si pensava, dice uno studio

11.04.2019 | Ricerche

Per decenni, gli studi nelle riviste di ricerca e la stampa popolare hanno riferito che ...

Logo AARAssociazione Alzheimer OdV
Via Schiavonesca 13
31039 Riese Pio X° (TV)