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Meditazione può essere integrata nelle neuroscienze

La consapevolezza è sempre personale e spesso spirituale, ma l'esperienza della meditazione non deve essere soggettiva.


I progressi nella metodologia stanno permettendo ai ricercatori di integrare le esperienze di consapevolezza con le scansioni cerebrali e con dati del segnale neurale, per formare ipotesi verificabili sulla scienza (e i benefici per la salute mentale conseguenti) della pratica.


Un team di ricercatori della Brown University, guidato da Juan Santoyo, presenterà il proprio approccio di ricerca alla 12a Conferenza Annuale Scientifica Internazionale del Center for Mindfulness della Medical School alla University of Massachusetts. La loro metodologia usa una codifica strutturata delle relazioni che i meditatori forniscono sulle loro esperienze mentali. Che può essere rigorosamente correlata con le misure neurofisiologiche quantitative.


"Nelle neuroscienze della consapevolezza e della meditazione, uno dei problemi che abbiamo avuto è non capire le pratiche dall'interno verso l'esterno", ha detto il co-presentatore Catherine Kerr, professore assistente di ricerca della medicina famigliare e direttore di neuroscienze traslazionali alla Contemplative Studies Initiative della Brown. "Quello di cui abbiamo davvero bisogno sono meccanismi migliori per generare ipotesi verificabili, clinicamente rilevanti ed esperienziali".


Ora i ricercatori stanno ottenendo gli strumenti per rintracciare le esperienze descritte da meditatori su attività specifiche nel cervello. "Vedremo come questo possa essere applicabile come strumento generale per lo sviluppo di trattamenti mirati per la salute mentale", ha detto Santoyo. "Possiamo esplorare come certe esperienze si allineano con certi modelli di attività cerebrale. Sappiamo che alcuni modelli di attività cerebrale sono associati con alcuni disturbi psichiatrici".

 

Strutturare lo spirituale

Alla conferenza, il team inquadrerà queste vaste implicazioni con quella che potrebbe sembrare una piccola differenza: i meditatori si concentrano sulle loro sensazioni di respirazione nel naso o nella pancia. Le due tecniche di meditazione provengono da diverse tradizioni dell'Asia orientale. I dati codificati dell'esperienza, raccolti accuratamente da Santoyo, Kerr, e Harold Roth, professore di studi religiosi alla Brown, mostrano che le due tecniche producono stati mentali significativamente diversi negli studenti meditatori.


"Abbiamo scoperto che, quando gli studenti si concentrano sul respiro nel ventre le loro descrizioni di esperienze sono incentrate sull'attenzione alle aree somatiche e su sensazioni corporee specifiche"
, hanno scritto i ricercatori nel loro estratto per la conferenza. "Quando gli studenti descrivono esperienze pratiche relative a un focus sul naso durante la meditazione, tendono a descrivere una qualità della mente, in particolare come si è «sentita» la loro attenzione quando l'hanno percepita".


La capacità di delineare la distinzione rigorosa tra le esperienze è venuta non solo assegnando casualmente gli studenti che meditavano a due gruppi (uno focalizzato sul naso e uno sulla pancia) ma anche impiegando due codificatori indipendenti per eseguire le analisi standardizzate delle note prese dagli studenti subito dopo aver meditato.


Questo tipo di codifica strutturata dell'esperienza personale auto-riferito si chiama «grounded theory methodology». La sua applicazione da parte di Santoyo alla meditazione consente la formazione di ipotesi. Ad esempio, Kerr ha detto: "Sulla base delle descrizioni prevalentemente somatiche delle esperienze di consapevolezza offerte dal gruppo focalizzato sulla pancia, ci aspetteremmo in questo gruppo una connettività funzionale in stato di riposo più costante nelle diverse parti di una grande regione del cervello chiamata insula, che codifica le sensazioni somatiche viscerali e fornisce anche una lettura degli aspetti emotivi dei cosiddetti «sentimenti viscerali»".

 

L'esperienza unificante e il cervello

Il passo successivo è correlare i dati codificati delle esperienze con i dati del cervello stesso. Un team di ricercatori guidato da Kathleen Garrison alla Yale University, compresi Santoyo e Kerr, ha fatto proprio questo in un documento pubblicato su Frontiers in Human Neuroscience di agosto 2013. La squadra ha lavorato con meditatori profondamente esperti per correlare gli stati mentali che avevano descritto nella meditazione di consapevolezza, con l'attività simultanea della corteccia cingolata posteriore (PCC). L'hanno misurata in tempo reale con la risonanza magnetica funzionale.

Può essere rilevante perché:

La meditazione è da tempo raccomandata nell'ambito delle modifiche allo stile di vita che hanno una possibilità di scongiurare o posticipare l'insorgenza della demenza.


Essa costituisce anche un metodo per ridurre ansia, depressione, burnout del caregiver e può aiutare a superare le difficoltà quotidiane insite nel prendersi cura di un paziente di Alzheimer.


Essi hanno scoperto che, quando i meditatori di varie tradizioni diverse riportavano sentimenti di "fare senza sforzo" e "consapevolezza attenta" durante la meditazione, il loro PCC mostrava poca attività, ma quando riferivano di essersi sentiti distratti e avevano dovuto lavorare sulla consapevolezza, il loro PCC era significativamente più attivo. Data la possibilità di osservare il feedback in tempo reale sulla loro attività PCC, alcuni meditatori sono anche riusciti a controllare i livelli di attività. "Si possono osservare entrambi questi fenomeni insieme e scoprire come essi si co-determinano l'uno con l'altro", ha detto Santoyo. "Dopo 10 sessioni da un minuto sono riusciti a sviluppare alcune strategie per evocare una certa esperienza e usarle per guidare il segnale".

 

Verso le terapie

Il tema della conferenza, e un motivatore chiave della ricerca di Santoyo e Kerr, è il collegamento di tale ricerca con dei benefici tangibili nelle prestazioni mediche. I meditatori evidenziano da tempo tali benefici, ma il sostegno da parte di neuroscienze e psichiatria è arrivato molto più di recente.


In uno studio di febbraio 2013 presente in Frontiers in Human Neuroscience, Kerr e colleghi hanno proposto che, proprio come i meditatori possono controllare l'attività del PCC, i praticanti della consapevolezza possono ottenere un maggiore controllo su ritmi corticali alfa sensoriali. Quelle onde cerebrali aiutano a regolare il modo in cui il cervello elabora e filtra le sensazioni, compreso il dolore, e i ricordi, come le cognizioni depressive.


Santoyo, la cui famiglia emigrò dalla Colombia quando era bambino, è stato ispirato a studiare il potenziale della consapevolezza per aiutare la salute mentale, a partire dal liceo. Cresciuto a Cambridge e a Somerville in Massachusetts, ha osservato le difficoltà psichiatriche della popolazione dei senzatetto della zona. Li ha anche incontrati mentre lavorava nel servizio di ristorazione dell'ospedale di Cambridge. Nelle comunità a basso reddito si vedono sempre molti disturbi alla salute mentale non trattati", ha detto Santoyo, che medita regolarmente e aiuta a guidare un gruppo di consapevolezza alla Brown.


Egli sta perseguendo una laurea in neuroscienze e scienze contemplative. "La prospettiva della teoria contemplativa è che impariamo a conoscere la mente osservando l'esperienza, non solo per solleticare la nostra fantasia, ma per imparare a guarire la mente". E' un percorso lungo, forse, ma Santoyo ed i suoi collaboratori lo stanno percorrendo facendo progressi.

 

 

 

 

 


FonteBrown University  (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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