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Perdita di neuroni, non carenza di sonno, rende sonnolenti i pazienti di Alzheimer

human histaminergic neuronsI neuroni che promuovono la veglia nel cervello di un paziente con Alzheimer (verdi) sono molti di meno di quelli di un cervello sano (Fonte: Grinberg Lab)

La letargia che sperimentano molti pazienti con morbo di Alzheimer (MA) è causata non da una mancanza di sonno, ma piuttosto dalla degenerazione di un tipo di neuroni che ci mantiene svegli, secondo uno studio che conferma anche che la proteina tau sta dietro quella neurodegenerazione.


I risultati dello studio contraddicono la nozione comune che i pazienti di MA dormono durante il giorno per compensare una brutta notte di sonno, e puntano verso potenziali terapie per aiutare questi pazienti a restare più svegli.


I dati provenivano dai partecipanti allo studio che erano pazienti del Memory and Aging Center della UC San Francisco e si erano offerti volontari perché fosse monitorato il loro sonno con l'elettroencefalogramma (EEG) e per donare il cervello dopo la loro morte. Riuscire a confrontare i dati del sonno dei partecipanti con le viste microscopiche del loro tessuto cerebrale post-mortem è stato cruciale per rispondere a una questione sulla quale gli scienziati stanno riflettendo da anni.


Lea Grinberg MD/PhD, neuropatologa coautrice senior, con lo psichiatra Thomas Neylan MD, dello studio apparso il 4 aprile 2022 su JAMA Neurology, ha detto:

"Abbiamo potuto dimostrare quello che aveva indicato la nostra ricerca precedente: che nei pazienti di MA che hanno bisogno di pisolare continuamente, la malattia ha danneggiato i neuroni che li mantengono svegli. Non è che questi pazienti siano stanchi durante il giorno perché non dormono di notte. È che è sparito il sistema nel loro cervello che li tiene svegli".


Il fenomeno opposto avviene in pazienti con altre condizioni neurodegenerative, come la paralisi sovranucleare progressiva (PSP), anch'essi inclusi nello studio. Quei pazienti hanno danni ai neuroni che li fanno sentire stanchi, quindi non sono in grado di dormire e rimangono assonnati.


La squadra della Grinberg ha sviluppato l'ipotesi che i pazienti di MA hanno problemi a rimanere svegli, dopo aver scoperto una serie di neuroni che ci tengono svegli e che sono influenzati dalla malattia fin dal suo inizio. Joseph Oh, studente di medicina e uno dei primi autori, ha detto:

"Puoi pensare a questo sistema come un interruttore con neuroni che promuovono la sveglia e neuroni che promuovono il sonno, ognuno legato ai neuroni che controllano i ritmi circadiani. Infine, con questo tessuto post-mortem, siamo riusciti a confermare che questo scambio, che sappiamo esistere negli animali modello, è presente anche negli umani e governa i nostri cicli di sonno e veglia".

 

'Neuroni estremamente intelligenti' interrotti dalle proteine tau

Oh definisce questi neuroni come "estremamente intelligenti" perché possono produrre una serie di neurotrasmettitori e possono eccitare, inibire e modulare altre cellule nervose:

"È un piccolo numero di neuroni, ma con capacità di calcolo incredibili. Quando queste cellule sono influenzate dalla malattia, ci può essere un enorme effetto sul sonno".


Per determinare ciò che contribuisce al degrado di questi neuroni nel MA, i ricercatori hanno esaminato il cervello di 33 pazienti con MA, 20 con PSP e 32 volontari che avevano avuto un cervello sano fino alla fine della vita. Il team ha misurato le quantità di due proteine ​​spesso associate al processo neurodegenerativo: amiloide-beta (Aβ) e tau. Quale delle due è più coinvolta nella rottura del sonno è una domanda discussa da tempo; la maggior parte dei ricercatori addebita i problemi di sonno all'accumulo di Aβ.


Durante il sonno, il cervello elimina l'Aβ che si accumula durante il giorno. Quando non riusciamo a dormire, la proteina si accumula. Quindi, secondo Neylan, poiché i pazienti con PSP non dormono mai, si aspettava di vedere molte proteine ​​nel loro cervello:

"Ma si scopre che non ne hanno. Questi risultati confermano le evidenze dirette che la tau guida in modo cruciale i disturbi del sonno".


Nei pazienti con PSP, ha detto la Grinberg, questa comprensione ha girato sottosopra il paradigma del trattamento:

"Vediamo che questi pazienti non possono dormire perché non c'è nulla che dice ai neuroni della 'veglia' di spegnersi. Ora, piuttosto che cercare di indurre queste persone a dormire, l'idea è di spegnere il sistema che le tiene sveglie".

 

Una sperimentazione clinica che dà speranza ai pazienti

Questa idea è attualmente in fase di test in una sperimentazione clinica di pazienti con PSP, con un trattamento che punta specificamente il sistema di 'risveglio' iperattivo che impedisce a questi pazienti di dormire. Questo approccio contrasta con il tradizionale trattamento a tentativi-ed-errori con i farmaci per il sonno.


A capo di quel processo c'è Christine Walsh PhD, l'altra prima autrice dello studio, sul quale sta lavorando da un decennio. Notando che PSP e MA sono alle estremità opposte dello spettro dei disturbi del sonno, ha detto che si aspetta che la ricerca porti a nuovi modi di trattare i disturbi del sonno guidati da una neurodegenerazione.


I trattamenti per il MA potrebbero essere adeguati a seconda delle esigenze del paziente, aumentando il sistema 'sveglia' mentre si abbassa il sistema 'dormi', ha detto la Walsh, che insieme alla Grinberg, fa parte del Weill Institute for Neurosciences della UCSF.


L'esperimento PSP è ancora in corso, e la Walsh è molto ottimista che questo nuovo approccio avrà risultati migliori rispetto ai farmaci correnti per le persone con entrambe le condizioni. Sulla base dei risultati dello studio appena pubblicato, ha detto, "abbiamo ancora più speranze di poter fare effettivamente la differenza nella vita di questi pazienti".

 

 

 


Fonte: Robin Marks in University of California - San Francisco (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Joseph Oh, ... [+25], Lea T. Grinberg. Subcortical Neuronal Correlates of Sleep in Neurodegenerative Diseases. JAMA Neurology, 2022, DOI

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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