"Se c'è qualcosa da fare, voglio farlo al piano terra", ha detto Elizabeth, 67 anni, una donna che partecipava a studi di degenerazione frontotemporale alla University of California di San Francisco. Ha chiesto di essere identificata solo dal suo secondo nome per proteggere la sua privacy.
Lei è sana, ma è risultata positiva a un gene raro che rende praticamente inevitabile la malattia del cervello: suo padre, sua nonna, due dei suoi tre fratelli e altri parenti ne sono stati colpiti.
Gli scienziati pensano che i depositi di proteine anomale all'interno delle cellule del cervello causano la degenerazione frontotemporale. Le proteine sono diverse, ma non includono l'amiloide, la sostanza tipica dei pazienti di Alzheimer. In circa il 40 per cento dei pazienti, i depositi sono una forma anomala di una proteina chiamata tau, che di norma garantisce un sostegno strutturale alle cellule cerebrali. (Tau è anche una delle proteine che si trovano nei pazienti di Alzheimer). Due altri tipi di depositi sono versioni anomale di proteine coinvolte in altre funzioni cellulari. In circa la metà di tutti i pazienti con demenza frontotemporale, la proteina è quella nota come TDP-43, e in circa il 10 per cento si tratta di una sostanza chiamata FUS.
Ma perché di formano questi depositi di proteine? Spesso, il motivo di fondo non è conosciuto. Almeno la metà dei casi sono sporadici, nelle persone senza storia familiare della malattia e senza disordine genetico. Circa il 40 per cento dei pazienti hanno una storia familiare, e alcuni possono avere una mutazione genetica identificabile. Nel restante 10 per cento - le famiglie come quella di Elisabetta - la malattia è sicuramente ereditata: un gene dominante rende i sintomi inevitabili, a volte già presto in vita, tra 30 o 50 anni, in quelli che ereditano una copia da un genitore affetto. E ogni figlio di un genitore affetto ha una probabilità del 50% di ereditare il gene difettoso.
Finora, la maggior parte dei casi sono stati collegati a mutazioni in due geni, entrambi sullo stesso cromosoma, il numero 17. Un gene codifica per tau. L'altro per una proteina chiamata progranulina e ne provoca una carenza, che appare legata alla formazione di TDP-43. Altri tre geni sono coinvolti in alcuni casi, e i ricercatori stanno indagando ulteriormente. I farmaci che aumentano la progranulina o evitano l'accumulo di tau possono aiutare anche le persone con Alzheimer, ha detto il dottor Bruce L. Miller (foto a sinistra), professore di neurologia e psichiatria della University of California di San Francisco.
I test sui topi suggeriscono che un farmaco chiamato nimodipina, già approvato per il trattamento di un'altra condizione, può aumentare la progranulina nel cervello. Li Gan (foto a destra), un altro ricercatore dell'UCSF, che sta studiando il farmaco negli animali, ha detto: "L'attrattiva di questo approccio, se si rivelerà efficace, è che è relativamente sicuro ed è stato usato per alcuni anni nelle persone". Ma aumentare la progranulina non è senza rischi: in esperimenti su animali, alti livelli aumentano il rischio di cancro. "Qui, stiamo parlando di stabilizzare qualcosa che è carente", dice il Dott. Miller. "Siamo ottimisti sul fatto che non sarà un ostacolo importante".
Tuttavia, gli studi sugli animali indicano che la dose necessaria di nimodipina può essere pericolosamente alta. Il dottor Gan ha detto che non è ancora pronta per i test nelle persone. Il dottor Miller ha detto che un altro farmaco, non ancora approvato, potrebbe probabilmente essere testato prima, forse già all'inizio del prossimo anno. I primi soggetti dei test saranno i pazienti del dottor Miller che hanno già i sintomi. Più tardi, i farmaci potrebbero essere offerti alle persone a rischio, ma non ancora colpiti.
"La cosa così affascinante di tutto questo è: che cosa si definisce 'colpito' in qualcuno che porta un gene che sta per provocare un lento e sottile declino sociale? Quali sono i giusti indicatori per qualcuno che sta iniziando ad ammalarsi?" si è chiesto il Dott. Miller. "I comportamenti di dipendenza (droga, alcool, gioco d'azzardo), povera capacità decisionale, alienazione di altre persone che li circondano: queste sono cose che non abbiamo mai considerato potessero rappresentare i primi sintomi di una malattia degenerativa". Tra i suoi pazienti ci sono persone che hanno il gene dominante e i cui figli sono quindi a rischio. Una è una donna con cinque figli, che vanno dai 20 ai 40 anni. "Queste famiglie sono diventate la mia passione e il mio interesse", ha detto il Dott. Miller. "Questi sono i geni sociali".
I livelli di progranulina di Elisabeth sono già bassi. Se un farmaco potesse risollevarli, lo prenderebbe? "Assolutamente", ha detto.
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Pubblicato da Denise Grady su NewYorkTimes il 5 Maggio 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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