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Capire e gestire l'agitazione associata alla demenza

Ogni medico che lavora con persone con demenza, quella che oggi chiamiamo 'disordine neurocognitivo maggiore', si imbatte in stati di agitazione che possono peggiorare la funzionalità, porre problemi di sicurezza, e aumentare lo stress del caregiver.


Comprendere e gestire questi comportamenti può generare sia confusione che frustrazione, ma ci sono diversi approcci che possono fare la differenza.


L'agitazione, secondo la definizione della International Psychogeriatric Association, implica un'eccessiva attività motoria o aggressività verbale o fisica, che provoca stress emotivo e un'extra di invalidità per la persona interessata, compromette le relazioni, il funzionamento sociale e le attività della vita di tutti i giorni (ref. 1).


Questi comportamenti fanno normalmente parte di una costellazione più ampia di sintomi psicologici e comportamentali associati a tutte le principali forme di demenza, come manie, depressione, ansia, apatia, e psicosi (2).


L'agitazione ha molte cause mediche, da farmaci, psichiatriche, psicologiche e ambientali, ma alla base di tutte loro c'è un cervello danneggiato e vulnerabile che è meno in grado di regolare correttamente le affezioni e di rispondere alle sfide in maniera organizzata. Nello specifico, l'agitazione è stata associata a danni a nuclei cerebrali chiave che regolano i percorsi colinergico e serotoninergico (3,4).


Una valutazione medica e psichiatrica approfondita, nonché una revisione delle circostanze, prima, durante, e dopo un periodo di agitazione possono rivelare cause sia durature (come una depressione sottostante o l'uso di un farmaco stimolante), che transitorie (scatenanti come la noia, la fame o uno stimolo nocivo nell'ambiente).


L'algoritmo DICE sviluppato da Kales e colleghi (5) è un ottimo strumento per i medici in quanto li guida per descrivere i comportamenti in dettaglio, indagare sulle possibili cause, creare un approccio di gruppo per implementare vari trattamenti, e quindi valutare il successo relativo degli interventi.


La gestione dell'agitazione coinvolge tre approcci di base:

  1. Il primo è individuare e affrontare potenziali cause.
  2. Il secondo è implementare approcci comportamentali, che vanno da maggiori attività terapeutiche (ad esempio, giochi, arte o musicoterapia), per distrarre e rifocalizzare la persona su attività più positive, specialmente quelle che affrontano la funzione di base iniziale dell'agitazione.
  3. Il terzo approccio implica l'uso di farmaci psicotropi che puntano fattori sottostanti come ansia o psicosi, o sono principalmente volti a ridurre l'agitazione calmando l'attività cerebrale. Benzodiazepine e trazodone sono spesso usati nell'emergenza, ma possono causare sedazione ed aumentare il rischio di cadute.

    Gli antidepressivi vengono studiati in quanto la loro modulazione dell'attività serotoninergica mira a ridurre impulsività e aggressività. Sono stati usati anticonvulsivanti per inibire l'attività cerebrale che causa l'agitazione, ma con limitato supporto scientifico.

    I farmaci antipsicotici sono stati studiati ampiamente, e anche se c'è una discreta quantità di prove che suggeriscono un modesto beneficio per l'agitazione, ci sono anche notevoli problemi di sicurezza, comprese le avvertenze sulla scatola che indicano un aumento del rischio di morte (6).

    Per qualsiasi approccio farmacologico, l'obiettivo è usare la minor quantità di farmaci, per il più breve tempo possibile. Infine, i medici devono essere consapevoli dei molti regolamenti concernenti l'uso di farmaci psicotropi nei contesti di assistenza a lungo termine, come le linee guida dell'Omnibus Budget Reconciliation Act del 1987, i criteri Beers dell'American Geriatrics Society, e le definizioni di uso di farmaci inutili.


Il miglior risultato potrà sempre derivare da un approccio sistematico che cerca di capire e affrontare le cause e gli scatenanti dell'agitazione, e che poi implementa e valuta gli approcci sia comportamentali che farmacologici, con un occhio attento alla sicurezza.

 

 

 


Fonte: Marc E. Agronin MD (psichiatra geriatrico) in Psychiatric Times (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Referenze

  1. Cummings J, Mintzer J, Brodaty H, et al. Agitation in Cognitive Disorders. International Psychogeriatric Association provisional consensus clinical and research definition.  Int Psychogeriatr. 2015, DOI
  2. Lyketsos CG, Carrillo MC, Ryan JM, et al. Neuropsychiatric symptoms in Alzheimer's disease. Alzheimer's and Dementia, 2011, DOI
  3. Sultzer DL, Mahler ME, Mandelkern MA, et al. The relationship between psychiatric symptoms and regional cortical metabolism in Alzheimer's disease. J Neuropsychiatry Clin Neurosci. 1995, DOI
  4. McLoughlin DM, Lucey JV, Dinan TG. Central serotonergic hyperresponsivity in late-onset Alzheimer's disease. Am J Psychiatry. 1994, DOI
  5. Kales HC, Gitlin LN, Lyketsos CG; Detroit Expert Panel on Assessment and Management of Neuropsychiatric Symptoms of Dementia. Management of neuropsychiatric symptoms of dementia in clinical settings: recommendations from a multidisciplinary expert panel. J Am Geriatr Soc. 2014, DOI
  6. Tampi RR, Tampi DJ, Balachandran S, Srinivasan S. Antipsychotic use in dementia: a systematic review of benefits and risks from meta-analyses. Ther Adv Chronic Dis. 2016, DOI

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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