L'altro giorno ho portato mio figlio Noè alla Motorizzazione (DMV, Department of Motor Vehicles) a farsi la foto per una nuova carta d'identità. Non era il momento ideale, ma avevamo un giorno libero ed era qualcosa che doveva essere fatto.
Quando siamo arrivati, il DMV era già affollato di persone che erano chiaramente in attesa da un po' di tempo. Stavo cercando di combattere i miei sentimenti di impazienza e mi sono tenuta occupata osservando le persone intorno a me.
Ho notato un giovane che si avvicinava al bancone per farsi fotografare. Era alto e magro, e sembrava avere l'età di Noè. E senza conoscerlo, ho iniziato a inventare una storia su di lui, immaginando che fosse in pausa dalla scuola, o forse aveva appena avuto il suo primo lavoro. Nella mia immaginazione, questo giovane era indipendente e competente, il tipo di persona che è organizzata su cose come rinnovare per tempo la sua patente di guida.
Certo, non avevo idea di chi fosse quest'uomo. Forse aveva davvero abbandonato la scuola, e i suoi genitori stavano minacciando di cacciarlo di casa a meno che non avesse rinnovato la patente. Per quel che ne so, avrebbe potuto essere un boss della droga che stava per essere arrestato dalla polizia.
Allora, perché ho creato questa immagine idilliaca? E' evidente che la mia storia non ha niente in comune con questo giovane. In realtà, la mia immaginazione aveva tutto a che fare con mio figlio, o, più precisamente, i sentimenti che sorgono in me come genitore di Noè.
Noè non ha la patente o piani per andare all'università. Ha sia l'autismo che una disabilità intellettiva. Sta continuando a crescere, e impara lentamente le abilità che lo aiuteranno ad essere più indipendente nel futuro. Eppure, per tutta la vita avrà probabilmente bisogno di un qualche tipo di supporto.
La verità è che, indipendentemente da quanto tempo ho vissuto con la diagnosi di mio figlio, un tipo molto singolare di tristezza e senso di colpa può penetrare e sorprendermi. È molto simile al dolore, anche se mio figlio è del tutto vivo e prospero, fortunatamente.
Questa particolare miscela di perdita, senso di colpa e brama è definita 'perdita ambivalente', un termine coniato dall'educatrice e ricercatrice Pauline Boss. La Boss ha usato per la prima volta questo termine in uno studio che ha fatto sull'esperienza delle famiglie di MIA (Missing In Action), soldati che avevano combattuto in Vietnam e che erano dispersi in azione. La 'perdita ambivalente' è un termine che descrive lo stato doloroso di non sapere se il tuo caro è vivo o morto.
Perdita ambivalente è anche un modo appropriato per descrivere un senso di perdita quando una persona amata ha la demenza o un ictus. In questi casi, la persona amata è ancora fisicamente con te, ma non è la stessa persona di prima.
Nel 2007, la ricercatrice Marion O'Brien ha studiato il fenomeno della 'perdita ambivalente' nei genitori di bambini con autismo. Il suo lavoro è stato utile per comprendere il tipo molto singolare di tristezza che possono provare i genitori dei bambini nello spettro autistico.
Per me, la perdita ambivalente sorge quando affronto la separazione tra ciò che pensavo che sarebbe stata la vita di Noè e il modo in cui è in realtà. Come altri genitori, non ero consapevole di avere aspettative su chi sarebbe stato mio figlio. Ma sono sicura che i miei sogni su Noè sono iniziati non appena ho scoperto di essere incinta di un ragazzo.
E da quando Noè ha avuto la diagnosi di autismo, quelle vecchie aspettative e sogni ritornano senza preavviso. Posso vedere alcuni ragazzi nell'età dello sviluppo nel parco giochi e provare un senso di perdita. Oppure mi ritrovo a guardare un giovane a caso che si fa fotografare al DMV.
La perdita ambivalente corrisponde a un senso acuto di tristezza unito a un sentimento familiare di colpa. In questi momenti, mi trovo a pensare che c'era qualcosa che avrei potuto fare in altro modo, così che le cose avrebbero potuto essere diverse.
Ma capire che i miei sentimenti derivano da una perdita ambivalente mi aiuta in due modi importanti.
Primo, so che non sono sola, che anche altre persone provano questi sentimenti. E mi rendo conto che è giusto avere questi sentimenti e che continueranno ad andare e venire. Non hanno alcun rapporto con ciò che provo per mio figlio. Ma riconoscere le emozioni è diventato uno stimolo ad essere un po' più tollerante con me stessa, e sostituire il senso di colpa con più compassione.
La seconda cosa che ho imparato nel corso del tempo è che, quando elaboro e accetto i miei sentimenti, ho più spazio per apprezzare Noè così com'è. E mio figlio è stato esemplare quel giorno al DMV. Mentre stavo combattendo sentimenti di frustrazione per la lunga attesa, Noè era seduto con una pazienza zen, aspettando il suo turno. Aveva anche un bel sorriso sul suo viso. Quando finalmente si è avvicinato al bancone, la sua espressione sembrò ammorbidire persino l'operatore assillato del DMV, che gli ha risposto con un sorriso.
Quando sono aperta a questo, anche il DMV diventa un luogo in cui posso praticare l'auto-compassione. E poi posso vedere più pienamente mio figlio, questo essere meraviglioso il cui sorriso gentile fa la differenza in questo mondo, un operatore del DMV alla volta.
Fonte: Sonia Voynow LCSW, psicoterapeuta con oltre 20 anni di esperienza.
Pubblicato su Psychology Today (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Referenze:
- Boss, P. (1999) Ambiguous Loss. Cambridge, MA. Harvard University Press.
- Marion O'Brien. Ambiguous Loss in Families of Children with Autism Spectrum Disorders. Family Relations, April 2007, DOI: 10.1111/j.1741-3729.2007.00447.x
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