La ricerca sull'Alzheimer si è concentrata in gran parte sulla proteina beta-amiloide, che si raggruppa in
La paralisi sopranucleare progressiva, che è circa 100 volte più rara del Parkinson, e spesso scambiata per esso, affligge meno di 20.000 persone negli Stati Uniti, e due terzi non sanno nemmeno di averla.
Eppure questo disturbo cerebrale poco conosciuto, che ha ucciso l'attore comico Dudley Moore nel 2002, sta quietamente diventando una porta per la ricerca che potrebbe portare a terapie potenti per una serie di malattie neurodegenerative intrattabili, compreso l'Alzheimer, l'encefalopatia traumatica cronica (disturbo legato ai traumi) e il trauma cranico.
Tutte queste malattie condividono una caratteristica comune: l'accumulo anomalo della proteina tau nel cervello dei pazienti.
La paralisi sopranucleare progressiva non ha cura ed è difficile da diagnosticare. Anche se i medici possono aver sentito parlare della malattia, la maggior parte di loro ne sa poco. Non era descritta nella letteratura medica fino al 1964, ma alcuni esperti ritengono che uno dei primi casi della malattia debilitante sia apparso in un racconto breve del 1857 di Charles Dickens e del suo amico Wilke Collins:
"Un uomo cadaverico di poche parole. Un uomo che sembrava incapace di strizzare l'occhio, come se le palpebre fossero inchiodate alla fronte. Un uomo i cui occhi (due punti di fuoco) non avevano più movimento di quanto ne avessero se fossero stati collegati con la parte posteriore del cranio con viti, e rivettati e imbullonati fuori dei suoi capelli grigi.
Era entrato e aveva chiuso la porta, e poi si era seduto. Non si era piegato per sedersi come fanno gli altri, ma sembrava essere sprofondato di scatto, come se fosse stato in acqua, fino a quando la sedia lo ha fermato".
Quasi un secolo dopo Clifford Richardson, neurologo di Toronto, ha notato caratteristiche simili in molti dei suoi pazienti e in un uomo d'affari che era suo buon amico. Richardson ha chiesto al suo collega Jerzy Olszewski e a John Steele, un tirocinante, di aiutarlo a esaminare ulteriori casi. Il trio ha riferito le scoperte a un convegno di ricerca di neurologia nel 1964, in cui la malattia è stata battezzata "sindrome di Steele-Richardson-Olszewski".
La malattia è stata in seguito ribattezzata «paralisi sopranucleare progressiva» (PSP) per descrivere la debolezza o la paralisi che i pazienti sviluppano quando aree cerebrali che controllano i movimenti oculari sono interessate dalla sindrome che produce il classico sintomo di occhi immobili descritti da Dickens. Inoltre, le persone con PSP perdono il senso di equilibrio, anche se a differenza del Parkinson cadono all'indietro invece che in avanti. Molti pazienti di PSP lottano anche con il parlare e la deglutizione.
I problemi possono essere ricondotti alla perdita di cellule nervose nelle aree del cervello responsabili di tali funzionalità, come ad esempio i gangli della base, il tronco cerebrale e la corteccia cerebrale. Sotto un microscopio queste sono le stesse regioni dove si accumulano i ciuffi aggrovigliati di tau, una proteina normale che si trova soprattutto nei neuroni. Essa si lega alle strutture chiamate microtubuli, che aiutano i nutrienti a muoversi su e giù nella cellula.
Ma nella PSP e nei disturbi correlati qualcosa va storto: le proteine tau si piegano fuori forma e iniziano ad attaccarsi l'una all'altra piuttosto che stabilizzare i microtubuli. Poi, attraverso un processo misterioso, i raggruppamenti di tau lasciano la cellula, si diffondono in tutto il cervello e mandano all'aria la comunicazione tra i neuroni. "Se riuscissimo a impedire l'accumulo della tau, potremmo aver trovato un potenziale trattamento", dice David Holtzman, neurologo della Washington University di Saint Louis.
Oltre alla PSP, ci sono altre malattie del cervello contrassegnate dai ciuffi di tau, compresa una rara malattia del movimento chiamata «degenerazione cortico-basale» (una forma ereditaria di demenza frontotemporale con le caratteristiche di tipo Parkinson) e l'Alzheimer.
La ricerca sull'Alzheimer si è concentrata in gran parte sull'altra proteina amiloide-beta, che si raggruppa formando le "placche" nel cervello. Ma c'è un crescente interesse per il ruolo della tau. Considerando che le analisi del cervello una volta erano limitate ai campioni autoptici, al momento della morte di una persona, i progressi nella tecnica di scansione «tomografia ad emissione di positroni» (PET) ora permettono ai ricercatori di rilevare amiloide e tau nel cervello delle persone viventi. E gli studi PET recenti offrono spunti interessanti sul modo in cui queste proteine caratteristiche sono in relazione tra loro e con il declino cognitivo nelle prime fasi dell'Alzheimer.
Le scansioni PET non sono usate molto come strumento clinico, ma solo nella ricerca, che ci dimostra chiaramente che l'amiloide inizia a intasare il cervello circa 10/15 anni prima che una persona mostri una perdita di memoria evidente. Circa un terzo degli anziani vivono con una testa piena di amiloide (più o meno quanto una persona con Alzheimer), anche se non mostrano alcun problema cognitivo. Alcuni alla fine sviluppano la demenza. Tuttavia "non possiamo prevedere quando, e neanche se, succederà", dice William Jagust, neuroscienziato della University of California di Berkeley.
Tuttavia, molti nel settore restano fiduciosi di poter tenere a bada la malattia in questi pazienti "al margine", con terapie che riducono la presenza di amiloide cerebrale. Tali approcci non si sono dimostrati clinicamente efficaci, anche se potrebbe essere che i farmaci che abbassano l'amiloide sono stati testati sulle persone sbagliate: partecipanti con Alzheimer troppo avanzato per porre rimedio o anziani con deterioramento cognitivo pur senza amiloide cerebrale.
Diversi grandi studi di terapie che puntano l'amiloide sono in corso in gruppi di persone selezionati più accuratamente per il loro alto rischio di Alzheimer. Ma anche se queste terapie si riveleranno adeguate, dovrebbero essere somministrate molto presto, prima che le persone sviluppino i problemi di memoria, dice il neurologo Adam Boxer della University of California di San Francisco. "Questo è davvero difficile, perché molti dei nostri pazienti hanno già i sintomi, quindi cosa facciamo per loro?"
Uno studio PET del team di Jagust, pubblicato di recente su Neuron, indica che la tau, più che l'amiloide, potrebbe essere la chiave per determinare quando intervenire, e per chi. I ricercatori hanno analizzato giovani adulti sani, anziani sani e anziani con diagnosi di "probabile Alzheimer". Quelli con molta tau nei lobi temporali e nella neocorteccia (aree del cervello importanti per la percezione sensoriale e la memoria) erano vicini all'esordio della demenza, mentre i sintomi potrebbero essere ancora lontani degli anni per le persone con molta amiloide. La tau si raccoglie in altre aree del cervello mentre si invecchia normalmente, ma sembra diventare pericolosa quando si trova appena fuori dei centri della memoria, ha detto Jagust.
Un'analisi riferita il mese scorso su Science Translational Medicine avvalora questa idea. I ricercatori della Washington University hanno eseguito scansioni PET di amiloide e tau su 36 anziani sani e 10 con Alzheimer lieve. L'esame delle scansioni cerebrali nel contesto di altri marcatori di malattia da analisi del liquido spinale, e test neuropsichiatrici sugli stessi partecipanti, ha mostrato che l'aumento e la diffusione della tau nel cervello segue il declino della funzione mentale in modo più stretto rispetto all'amiloide. Anche la posizione sembra cruciale. Mentre l'amiloide può presentarsi in aree cerebrali diverse, la tau appare più limitata alle regioni associate con i deficit cognitivi.
Questi dati supportano la visione emergente che l'"amiloide-beta è il grilletto, ma la tau è il carnefice", dice Karen Duff, biologa cellulare che studia le malattie neurodegenerative alla Columbia University. L'amiloide può essere una forza trainante che scatena il misfolding [errata piegatura] e il raggruppamento della tau, ma oltre un certo punto i grumi tossici di tau si auto-propagano "e non siamo in grado di tenerli a freno", dice la Duff. E poiché la tau si allinea in modo più stretto con l'inizio della demenza, una terapia efficace ha "probabilmente a che fare con la tau", aggiunge.
Anni fa Holtzman della Washington University ed l'ex collega Marc Diamond, che da allora si è trasferito all'Università del Texas Southwestern, hanno identificato anticorpi vincolanti la tau, che rallentano la diffusione dei grumi tossici di tau in un test di laboratorio, usando cellule in coltura. Quando è stato iniettato in topi progettati con una mutazione della tau che induce le proteine a raggrupparsi anormalmente nelle cellule cerebrali, provocando problemi di memoria e motori, gli anticorpi hanno ridotto l'aggregazione e migliorato il comportamento degli animali. L'anticorpo è entrato nella sperimentazione umana.
Altri approcci hanno lo scopo di diminuire la produzione di proteina tau: puntando l'RNA; bloccando l'aggregazione della tau interferendo con le modificazioni chimiche sulla superficie della proteina; o legando i microtubuli per migliorare la normale funzione della tau che si perde quando la proteina si piega in modo errato e si aggrega.
Allo stato attuale alcuni approcci che puntano la tau sono stati valutati in studi clinici di Alzheimer. Ma altri sono in fase di sperimentazione nelle persone con PSP. Gli scienziati sono ansiosi di valutare le terapie tau nella PSP per una serie di motivi:
- Primo, si tratta di un taupatia pura; mentre le persone con Alzheimer possono avere la tau, ma anche diverse altre proteine che si aggregano nel cervello, i pazienti di PSP hanno solo tau anomala.
- Secondo, la tau ha un legame genetico con la PSP più forte di quanto non accada con l'Alzheimer. Tra le varianti di DNA note per provocare l'Alzheimer o aumentare il rischio della malattia, nessuna è presente nel gene della tau. L'analisi genetica su larga scala nei pazienti PSP, invece ha individuato una sequenza comune nella tau che aumenta di 5,5 volte le probabilità della persona di sviluppare la malattia, rendendo questa variante un fattore di rischio per la PSP più forte di quanto una copia della variante apolipoproteina E-ε4 lo sia per l'Alzheimer. (L'apolipoproteina E-ε4 è il gene di rischio più alto per l'Alzheimer.)
Altri motivi per testare i farmaci tau nei pazienti di PSP sono legati agli aspetti pratici degli studi clinici. Se un intervento è efficace, allora i partecipanti che assumono il farmaco in studio devono deteriorarsi più lentamente rispetto a quelli del gruppo placebo. In alcune malattie come l'Alzheimer, tuttavia, il declino è lento e incoerente, tanto per cominciare. La PSP, al contrario, ha un decorso più rapido e prevedibile.
Mentre possono servire 18 mesi con 1.000/2.000 pazienti per determinare se un farmaco è efficace per l'Alzheimer, "c'è probabilmente bisogno solo di 6/12 mesi con 200/300 pazienti perchè lo stesso tipo di potenza rilevi l'effetto modificante della malattia di un farmaco nella PSP", dice Adam Boxer MD/PhD della UC San Francisco.
Linea di fondo: lo svolgimento di studi clinici in PSP è più veloce e meno costoso. Inoltre, poiché la PSP è una malattia rara, gli studi clinici di questa condizione possono beneficiare di incentivi che potrebbero permettere l'approvazione più veloce di farmaci da parte della Food and Drug Administration negli USA e dell'Agenzia europea per i medicinali.
Con una PSP così rara, i ricercatori prevedono difficoltà a reclutare partecipanti all'esperimento. Eppure, l'iscrizione è andata "meglio del previsto", dice Boxer, che aiuta a progettare e eseguire studi clinici nella PSP, nell'Alzheimer e in altri disturbi cerebrali. Poiché non ci sono buoni farmaci là fuori, dice, i pazienti di PSP "sono incredibilmente entusiasti di partecipare agli esperimenti".
Fonte: Esther Landhuis in Scientific American (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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