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Perché sono di più le donne con Alzheimer?

Anni fa, molti scienziati ritenevano che il cuore di una donna funzionasse più o meno come quello di un uomo. Ma, con l'entrata di più donne nel campo della cardiologia dominato dagli uomini, molti di questi presupposti sono svaniti, aprendo la strada a nuovi approcci per ricerca e trattamento.


Un cambiamento simile è in corso nello studio dell'Alzheimer. E' noto da tempo che sono più le donne che gli uomini a sviluppare questa malattia neurodegenerativa letale, ed un corpo emergente di ricerca sta sfidando le conoscenze comuni sul motivo. Anche se la questione non è affatto assodata, recenti scoperte suggeriscono che sono le influenze biologiche, genetiche e persino culturali ad avere ruoli pesanti.


Degli oltre 5 milioni di persone negli Stati Uniti che hanno una diagnosi di Alzheimer, la principale causa di demenza, i due terzi sono donne. Poiché l'età che avanza è considerato il fattore di rischio più importante per la malattia, i ricercatori hanno attribuito in gran parte quella disparità al ciclo di vita più lungo delle donne. L'aspettativa media di vita per le donne è di 81 anni, contro i 76 per gli uomini [in USA].


Eppure, "anche dopo aver tenuto conto dell'età, le donne sono più a rischio", ha detto Richard Lipton, medico che dirige l'Einstein Aging Study dell'Albert Einstein College of Medicine di New York. Con il numero di casi di Alzheimer negli Stati Uniti che dovrebbe più che triplicare entro il 2050, alcuni ricercatori stanno sollecitando una maggiore attenzione alla comprensione delle ragioni sottostanti la maggiore propensione delle donne alla malattia, e sullo sviluppo di trattamenti specifici per genere.


L'area di indagine è cresciuta in parte a causa di una spinta da parte di ricercatrici di Alzheimer, che hanno costituito un gruppo per promuovere un ruolo di leadership più ampio nel campo, e più ricerca di genere. "La diversità della forza lavoro scientifica è molto importante perché ha molta più probabilità di modellare l'agenda della ricerca", ha detto Hannah Valantine, funzionario capo per la diversità della forza lavoro scientifico al National Institutes of Health e professore alla scuola di medicina della Stanford University.


In contrasto con l'argomento longevità, la ricerca di Lipton suggerisce che le donne da 70 a 79 anni hanno il doppio delle probabilità degli uomini della stessa età di sviluppare l'Alzheimer o altre forme di demenza. Dopo gli 80, il rischio è identico e rimane simile per tutto il resto della vita, secondo Lipton. Le differenze di rischio per le malattie cardiovascolari possono spiegare alcune delle disparità, ha detto. Gli uomini hanno più probabilità di morire di malattie cardiache croniche, pressione alta o diabete prima che possano sviluppare l'Alzheimer. Coloro che sopravvivono possono avere sistemi cardiovascolari più robusti che aiutano a prevenire la demenza.


Altre variabili e teorie sono sul tavolo, come il livello di istruzione e la suscettibilità alla depressione e altri disturbi che colpiscono le donne più degli uomini. Le persone con istruzione limitata sembrano avere un rischio più alto di demenza rispetto a quelle con scolarità più alta. Le donne nella fascia di età sensibile, molte nate prima del movimento femminista moderno, spesso sono state tenute fuori delle università e relegate in genere ai lavori umili.


Le donne hanno un rischio del 70 per cento più alto di sviluppare la depressione nel corso della vita rispetto agli uomini, e uno studio pubblicato l'anno scorso sul British Journal of Psychiatry ha scoperto un legame tra depressione in tarda età e demenza. I ricercatori si sono concentrati sulle cause genetiche specifiche per sesso, in particolare una variante del gene specifico (l'ApoE4) che si trova in circa il 20 per cento della popolazione. Uomini e donne hanno circa le stesse possibilità di essere portatori del gene che produce una proteina nel fegato che trasporta colesterolo e acidi grassi nel corpo. Il rischio è 10 volte superiore per coloro che hanno due copie del gene.


Ma la ricerca suggerisce che il gene ApoE4 conferisce il rischio di Alzheimer in modo non uniforme nelle donne. Un studio recente condotto da Michael Greicius, direttore medico del Center for Memory Disorders della Stanford Medical School, ha scoperto che le donne con il gene ApoE4 avevano una probabilità doppia di contrarre l'Alzheimer, rispetto alle donne non portatrici del gene. Eppure il fattore di rischio sembra differire poco tra gli uomini che hanno il gene apoE4 e quelli che non ce l'hanno.


"Abbiamo visto più e più volte che le donne che hanno l'ApoE4 hanno un rischio molto più elevato di contrarre l'Alzheimer rispetto agli uomini della stessa età che non hanno il gene", ha detto Walter A. Rocca, professore di neurologia e di epidemiologia alla Mayo Clinic di Rochester nel Minnesota. Egli ha detto che non è del tutto chiaro perché, ma gli scienziati sospettano che il gene ApoE4 interagisca con gli estrogeni per creare le condizioni che portano all'Alzheimer.


Il ruolo degli estrogeni nell'Alzheimer resta un mistero. L'ormone steroideo, che viene prodotto nelle ovaie della donna e nelle ghiandole surrenali, è conosciuto soprattutto per il suo ruolo fondamentale nel promuovere le caratteristiche sessuali femminili e la riproduzione. Ma gli estrogeni sono anche molecole di segnalazione nei geni, nelle cellule e negli organi. E regolatori cruciali del metabolismo nel cervello femminile.


"Chiamo l'estrogeno Regina di Darwin", ha detto Roberta Diaz Brinton, professore della School of Pharmacy all'Università della Southern California che ha contribuito ad organizzare l'Alleanza delle Ricercatrici di Alzheimer (AWARE), un gruppo di interesse professionale all'interno dell'Alzheimer's Association. Lei sta portando avanti studi clinici su un neurosteroide chiamato allopregnanolone che promette di rigenerare il tessuto cerebrale danneggiato.


La Brinton pensa che il momento critico insorga dopo la menopausa, quando cadono i livelli di estrogeni delle donne, innescando una serie di effetti a cascata. Tra di loro c'è un calo radicale della capacità del cervello di bruciare il glucosio per produrre energia. Senza glucosio come fonte di combustibile, il cervello passa ad un sistema energetico di riserva che brucia corpi chetonici, composti prodotti dai carboidrati e dai grassi nel fegato.


Il sistema energetico di riserva mantiene i circuiti cerebrali al lavoro, ma ad un costo. Non è più tanto efficiente e crea sottoprodotti che alla fine danneggiano le cellule cerebrali. La Brinton ha detto che questo è lo stesso sistema di alimentazione presente nel diabete di tipo 2, che è anche un fattore di rischio per l'Alzheimer. "E' un po' come bruciare pneumatici di gomma invece di propano", ha detto Suzanne Craft, professore di gerontologia e geriatria alla Scuola di Medicina della Wake Forest University e fondatrice di AWARE, la cui ricerca riguarda il modo in cui i problemi del metabolismo possono danneggiare il cervello. "Avrai calore, ma anche molti sottoprodotti tossici", ha detto.


Gli estrogeni hanno interessato i ricercatori di Alzheimer. Inizialmente, molti scienziati sospettavano che, a causa dei suoi effetti anti-infiammatori e di altre proprietà, gli estrogeni avrebbero dato benefici alla salute del cervello. La ricerca ha scoperto anche che i rischi di demenza aumentano nelle donne le cui ovaie sono state rimosse.


Ma poi la «Women’s Health Initiative», uno studio clinico di 15 anni che coinvolge decine di migliaia di donne, è stato fermato a metà strada dopo che i ricercatori hanno scoperto che la somministrazione di estrogeni sintetici, insieme con la progestina, aveva aumentato il rischio di cancro al seno, di malattie cardiache e di altri disturbi circolatori nelle donne in post-menopausa. Lo stesso studio clinico ha anche scoperto che le donne anziane (da 65 a 79 anni) che avevano ricevuto la terapia ormonale con soli estrogeni, correvano un rischio maggiore di sviluppare una demenza, compreso l'Alzheimer.


La Craft e altri hanno detto che questi risultati inattesi hanno deragliato temporaneamente l'interesse per l'effetto degli ormoni sul cervello, un risultato che forse è stato aggravato da errori umani. "Penso che l'allontanamento da una maggiore comprensione degli ormoni nel cervello forse può essere dovuto, almeno in parte, al numero sproporzionato di uomini nelle alte sfere della ricerca di Alzheimer", ha detto la Craft.


Negli ultimi anni, tuttavia, la ricerca di un possibile legame tra gli estrogeni e l'Alzheimer ha ricevuto una rinnovata attenzione.


In uno studio recente, guidato da Natalie L. Rasgon, direttrice del Center for Neuroscience in Women’s Health della Stanford, i ricercatori hanno scoperto che la somministrazione dell'ormone estradiolo subito dopo la menopausa sembra prevenire il deterioramento in aree cruciali del cervello delle donne a rischio di demenza. Eppure, lo stesso studio ha trovato che la combinazione di estradiolo e progestina annulla il beneficio dell'estradiolo e accelera il deterioramento. Anche il Premarin, una forma più antica di terapia estrogenica mescolato con sostanze derivate da giumente e usate dalle donne della Women’s Health Initiative, sembra accelerare il deterioramento.


All'inizio di quest'anno, Rocca ha riferito diversi studi che suggerivano che i tempi della terapia ormonale sono di fondamentale importanza per la salute del cervello. Uno studio del 2012 di Peter P. Zandi, ricercatore della Bloomberg School of Public Health della Johns Hopkins University, ha scoperto anche che i tempi della terapia estrogenica sembrano avere un ruolo significativo nel ridurre il rischio di Alzheimer. Le donne che hanno subito la sostituzione estrogenica entro cinque anni dalla menopausa sembravano avere meno probabilità di sviluppare l'Alzheimer, mentre quelle che hanno usato gli estrogeni più di cinque anni dopo, non avevano alcuna riduzione del rischio. Le donne che hanno usato estrogeni da soli o con progestina più tardi nella vita hanno visto aumentare i rischi di demenza, secondo lo studio.


Nella ricerca per capire il ruolo degli ormoni come possibile causa di Alzheimer specifica del sesso, Kimberly Glass e John Quackenbush, ricercatori della Harvard School of Public Health, pensano che si potrebbero trovare indizi nei modi sottilmente diversi in cui i geni degli uomini e quelli delle donne codificano per le stesse proteine. Usando modelli computazionali complessi, i due stanno esplorando se le differenze nel corpo, derivate dal sesso, alterino il modo in cui i geni trascrivono i codici molecolari per creare le proteine. Il loro lavoro suggerisce che nelle donne con Alzheimer, le cellule hanno un minor numero di possibili percorsi tra le proteine di trascrizione e quelle di costruzione, in particolare nelle reti legate al metabolismo.


"Donne e uomini nuotano in diversi oceani ormonali, e quell'ambiente ormonale potrebbe essere uno dei fattori per comprendere la differenza di rischio", ha detto Quackenbush.

 

 

 

 

 


Fonte:  Fredrick Kunkle in WashingtonPost.com  (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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