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Demenza e rette della casa di riposo: un problema da affrontare con urgenza

12 fattori di rischio demenza by alzheimers disease international

Le demenze rappresentano un insieme di patologie che determinano una progressiva perdita delle funzioni cognitive di entità tale da compromettere l’autonomia della persona nella vita quotidiana. Tale patologia, in crescente aumento nella popolazione generale, è stata definita secondo il Rapporto OMS e ADI del 2012 "una priorità mondiale di salute pubblica".


Il termine demenza indica una condizione clinica di natura cronico-degenerativa, vascolare, metabolica o infiammatoria, che si presenta in diverse condizioni patologiche ed è caratterizzata dalla progressione più o meno rapida di deficit cognitivi (memoria, linguaggio, funzioni esecutive e prassiche, astrazione), disturbi del comportamento e danno funzionale. Questi deficit determinano una graduale perdita dell’autonomia fino alla completa dipendenza dagli altri. La demenza rappresenta, quindi, una delle maggiori cause di disabilità.


Tra le diverse forme di demenza la più comune è sicuramente la demenza di Alzheimer, che rappresenta da sola oltre la metà dei casi diagnosticati annualmente e che ha esordio classico in età senile. In una ridotta percentuale di casi, la demenza può tuttavia insorgere tra i 45 e i 64 anni (early-onset dementia). Una delle conseguenze più rilevanti della demenza e del relativo declino cognitivo è la perdita della capacità decisionale, fondamentale per mantenere adeguati livelli di autonomia nella vita quotidiana, per il benessere e senso di identità.


L’esperienza della demenza, però, non si esaurisce alla soggettività dei pazienti ma è una condizione che ingloba l’intero mondo che li circonda: familiari, caregiver, medici, associazioni e istituzioni. È un’esperienza che implica un ingente dispendio di forze tra i vari attori impegnati nel processo di cura per far sì che il paziente sia ascoltato e preso in carico in tutte le fasi della malattia. Per questo la demenza si sta trasformando sempre più in un processo che deve essere caratterizzato da pratiche inclusive e da un'informazione sociale articolata ed efficace.


Dato il progressivo invecchiamento della popolazione generale, le demenze saranno, proprio per la loro complessità, hanno e avranno un impatto sempre più notevole in termini socio-sanitari, sia per il crescente numero di famiglie che ne sono drammaticamente coinvolte sia perché richiedono l’attivazione di una qualificata rete integrata di servizi sanitari e socio-assistenziali che presuppongono in termini di sanità pubblica nuovi e importanti investimenti su strutture e personale.

 

La demenza nel mondo e in Italia

Nel mondo, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre 55 milioni di persone convivono con la demenza, una delle principali cause di disabilità e non autosufficienza tra le persone anziane. Un dato, che cresce su base giornaliera, con previsioni che raggiungeranno i 78 milioni entro il 2030 e . i 139 milioni nel 2050. L'OMS stima che la malattia di Alzheimer e le altre demenze rappresentano la settima causa di morte nel mondo.


Il tema delle demenze è stato recentemente al centro del dibattito internazionale durante l’ultimo G7 tenutosi il 13 e 14 maggio 2023 a Nagasaki, in Giappone, nel quale è stato organizzato un evento parallelo specifico sulle demenze. Nel documento di sintesi finale redatto dai Ministri della salute dei Paesi partecipanti, inoltre, viene affermato che per affrontare le sfide associate all'invecchiamento, ed in particolare la demenza, occorre compiere sforzi per accelerare la ricerca e lo sviluppo per migliorare i risultati sanitari con una strategia ampia che preveda prevenzione, riduzione del rischio, diagnosi precoce, diagnosi e trattamento della demenza e promozione di un invecchiamento sano.


In Italia, secondo un’elaborazione dell’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità, sulla base degli ultimi dati Istat aggiornati al 2023, è possibile stimare 1.126.961 casi di demenza nella fascia d’età uguale o superiore ai 65 anni e 23.730 casi di demenza giovanile compresi nella fascia d’età 35-64 anni. Oltre a questi, si stima che ci siano altre 952.101 persone affette da Disturbo Cognitivo Lieve (MCI -Mild Cognitive Impairment).

 

Decorso e sintomi della demenza di Alzheimer

La demenza di Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni. È la forma più comune di demenza senile. La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi, come stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.


Alla perdita di memoria solitamente si associano altri disturbi come:

  • Difficoltà nell'esecuzione delle normali attività quotidiane con conseguente perdita dell'autonomia;
  • disturbi del linguaggio, impoverimento del linguaggio;
  • disorientamento spaziale e temporale;
  • alterazioni della personalità, ad esempio perdita di interesse per i propri hobby o per il proprio lavoro.


La malattia, che prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici, ha, in genere, un inizio subdolo: si manifesta inizialmente con lievi problemi di memoria, che diventano via via più gravi, fino ad arrivare al punto in cui i pazienti non riescono più a riconoscere nemmeno i familiari e hanno bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici.


Tipicamente, i malati di Alzheimer possono arrivare a porre più volte le stesse domande, a perdersi in luoghi familiari, all’incapacità di seguire delle indicazioni precise, ad avere disorientamenti sul tempo, sulle persone e sui luoghi, ma anche a trascurare la propria sicurezza personale, l’igiene e la nutrizione. La rapidità con cui i sintomi si acutizzano varia da persona a persona. Il decorso della malattia è, di solito, lento e i deficit cognitivi si presentano gradualmente nel tempo.


Oggi, purtroppo, non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi. Per alcuni pazienti, in cui la malattia è in uno stadio lieve o moderato, alcuni farmaci possono aiutare a limitare l’aggravarsi dei sintomi per alcuni mesi. Nonostante questo, la messa a punto di nuovi farmaci per la demenza di Alzheimer è un campo in grande sviluppo e la ricerca lavora per individuare principi attivi che aiutino a prevenire, a rallentare la malattia e a ridurne i sintomi.


Come in altre malattie neurodegenerative, la diagnosi precoce è molto importante sia perché offre la possibilità di trattare alcuni sintomi della malattia, sia perché permette al paziente di pianificare il suo futuro, quando ancora è in grado di prendere decisioni.

 

I fattori di rischio, stile di vita e prevenzione

Il principale fattore di rischio non modificabile associato alla demenza è l’età. Alcune mutazioni genetiche sono responsabili di forme rare a trasmissione autosomica dominante. Recentemente una Commissione internazionale di esperti (Lancet Commission), sulla base delle migliori pubblicazioni scientifiche pubblicate, ha identificato 12 fattori di rischio di demenza modificabili:

  • basso livello di scolarità,
  • ipertensione,
  • problemi di udito,
  • fumo,
  • obesità,
  • depressione,
  • inattività fisica,
  • diabete,
  • isolamento sociale,
  • eccessivo consumo di alcol,
  • traumi cranici,
  • inquinamento atmosferico.

Sulla base dei dati di prevalenza dei fattori di rischio nella popolazione residente osservati dai sistemi di sorveglianza PASSI e PASSI d’Argento nel 2017-2019, si stima che in Italia il 39,5% dei casi di demenza sia attribuibile a 11 dei 12 fattori di rischio modificabili indicati dalla Lancet Commission (per i traumi cerebrali non vi sono informazioni nei sistemi di sorveglianza).


Il tema della prevenzione rappresenta una considerevole parte della ricerca scientifica degli ultimi 20 anni, nonché dell’attività dei maggiori organismi internazionali. La possibilità di intervenire sui 12 fattori di rischio modificabili individuati si stima possa ridurre e prevenire lo sviluppo del 39,5% dei casi di demenza, agendo in tutte le fasce di età, anche in età avanzata.


Se si riuscisse ad agire eliminando la bassa istruzione nelle generazioni più giovani, curando i deficit uditivi, mantenendo nella norma i livelli di pressione arteriosa e il peso corporeo ed evitando il consumo eccessivo di alcol fra le generazioni dei 45-65enni, e se si riuscisse anche nelle generazioni di ultra 65enni a contrastare l’abitudine tabagica, la depressione, l’isolamento sociale, la sedentarietà, il diabete e l’esposizione all’inquinamento atmosferico, ci si potrebbe teoricamente aspettare una riduzione del numero di nuovi casi di demenza nei prossimi anni.


È fondamentale dunque operare interventi mirati per controllare i fattori di rischio modificabili e ridurre o ritardare l’insorgenza di demenza.

 

Costo demenza Italia by osservatorio demenze ISS

Alzheimer: i costi per le famiglie

Secondo i dati riportati dall’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ed elaborati dal gruppo di ricerca (CEIS) della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi “Tor Vergata” di Roma, il costo annuo della demenza e del MCI (Mild Cognitive Impairment, Disturbo Cognitivo Lieve) per l’Italia è stato stimato in complessivi 23 miliardi di euro.

Di questi solo 3,7 miliardi risultano a carico del SSN, mentre i rimanenti 20 miliardi sono a carico dei malati e delle loro famiglie di cui quasi 15 miliardi per l’acquisto di servizi di assistenza, farmaci, igiene, ecc.., ai quali si aggiungono ulteriori 5 miliardi di costi indiretti per la spesa assistenziale (Figura 2) e i costi legati alla perdita di produttività del caregiver.

 

La compartecipazione al costo delle rette per i malati di Alzheimer

Come sappiamo secondo la normativa nazionale le persone anziane fragili o/e non autosufficienti ricoverate in strutture socio assistenziali contribuiscono, secondo il proprio ISEE o dei propri familiari, al costo della retta che è composta per il 50% dalla quota sanitaria a completo carico del SSN, e per un altro 50 % da una quota sociale e alberghiera (altro 50 %), a carico dell’assistito e/o della sua famiglia o del Comune di residenza nel caso la pensione o la famiglia dell’assistito non fossero in grado di far fronte al costo della retta.


Nel frattempo nell’ambito giurisprudenziale negli ultimi anni si stanno moltiplicando le sentenze di tribunali locali e della Cassazione a favore dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie, che li esentano dal pagamento della quota sociale della retta quando le prestazioni erogate hanno una rilevanza sanitaria significativa e non si può distinguere la prestazione sanitaria da quella sociale, un po' come avviene per le persone ricoverate in strutture sanitarie pubbliche.


In tal senso a far scuola è stata la sentenza n.4558/2012 della Cassazione seguita dalle sentenze del Tribunale di Roma 14180/2016, seguite da varie altre sentenze (Firenze, Verona, Milano, Foggia) confermate non da ultimo dalle sentenze n 13714/2023 e n. 4752/2024, con cui la Corte di Cassazione ha voluto chiaramente ribadire come non si possa operare alcuna distinzione delle prestazioni sanitarie erogate dalla struttura rispetto alla componente alberghiero-assistenziale, poiché il criterio rimane sempre quello “della integrazione tra le prestazioni ovvero della unitaria ed inscindibile coesistenza dei due aspetti della prestazione, che ne produce l’integrale addossamento degli oneri economici sul Servizio Sanitario Nazionale”.


Queste sentenze ovviamente, se troveranno un riscontro nella normativa nazionale, dovranno avere un adeguato finanziamento. Considerando che in media il costo per un malato di Alzheimer è complessivamente 70.587 euro all’anno, si stima che per coprire il costo assistenziale di circa 80 mila anziani con morbo di Alzheimer ricoverati in RSA serviranno circa 2,7 miliardi annui aggiuntivi.

 

Il punto di vista della FNP CISL sulle rette: la gratuità un aspetto non più differibile

Oggi assistiamo a migliaia di famiglie di persone gravemente malate del morbo di Alzheimer che sono costrette a contribuire al costo delle rette nelle RSA con esborsi elevatissimi che variano tra i 50 e 90 euro al giorno. Solo alcune di queste famiglie non essendoci una legge che li tutela, decidono di chiamare in giudizio le strutture di ricovero e la Regione per ottenere quanto ingiustamente pagato che dovrebbe gravare interamente sul Servizio Sanitario Nazionale.


Sarebbe opportuno che tutti i malati di Alzheimer ricoverati in RSA ricevessero gratuitamente un trattamento sanitario strettamente e inscindibilmente correlato con l'aspetto assistenziale e che seguissero un Piano terapeutico personalizzato che rallenti l’evoluzione della patologia. A nostro avviso crediamo che la gratuità delle rette nelle RSA e nei CDA (Centro diurno Alzheimer) per i malati di Alzheimer più gravi sia da considerarsi un livello essenziale assistenziale non più differibile.


Auspichiamo in tal senso che la questione, proprio per la sua valenza sociale e per il suo impatto economico, debba essere affrontata definitivamente a livello istituzionale, dalle Regioni, dal Legislatore e dalla Politica, per dare una risposta univoca e certa sia ai cittadini che ai gestori delle strutture sanitarie assistenziali, senza alimentare tra di loro un contrasto sociale inutile e dannoso e ricorrere alle vie legale per far valere le proprie ragioni.

 

I finanziamenti nazionali

L’istituzione del Fondo per l’Alzheimer e le Demenze (Legge 30 dicembre 2020, n. 178) è stata l’azione di maggior rilievo degli ultimi anni sul tema delle demenze in termini di Sanità pubblica e ha reso possibile realizzare interventi concreti rivolti alle persone con demenze e a famigliari e caregiver. Le aree progettuali previste dal Fondo sono orientate al perseguimento degli obiettivi del Piano Nazionale Demenze (PND) attraverso specifici piani triennali, elaborati da Regioni e Province autonome, e linee di attività portate avanti dall’ISS.

Particolarmente rilevanti sono:

  • l’elaborazione di Linee Guida sulla diagnosi e trattamento della demenza, nell'ambito del Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG);
  • una stima della prevalenza dei dodici fattori di rischio prevenibili per la demenza;
  • una survey nazionale di mappatura dei servizi condotta per ognuno dei tre nodi assistenziali (Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze, Centri Diurni, Residenze Sanitarie Assistenziali).


Il 30 marzo 2022 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto sul Fondo per l’Alzheimer e le demenze che ha stanziato 14 milioni e 100.000 euro per le Regioni e le PA e 900.000 euro per l’ISS per l’esecuzione di una serie di attività progettuali orientate al perseguimento degli obiettivi del Piano Nazionale Demenze (PND), che fornisce indicazioni strategiche per la promozione e il miglioramento degli interventi nel settore delle demenze.


Il provvedimento era previsto dai commi 320, 321 e 322 della Legge n. 178 del 30 dicembre del 2020 (Legge di Bilancio 2021) e stanziava 5 milioni di euro all’anno per il triennio 2021-2023. Con la legge di Bilancio del 2024, il Fondo per l’Alzheimer e le demenze è stato incrementato di 4,9 milioni di euro per il 2024 e di 15 milioni per ciascuno degli anni 2025 e 2026. Questo fondo rappresenta il primo finanziamento pubblico specifico sulla demenza nella storia del nostro Paese e rappresenta, dopo il Progetto Cronos (2022) e la pubblicazione del Piano Nazionale Demenze (PND), la più grande operazione di sanità pubblica su questo tema.

 

Prevenzione e criticità

Il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP) 2020-2025, adottato nell’agosto del 2020 con Intesa in Conferenza Stato-Regioni, rappresenta lo strumento di pianificazione centrale degli interventi di prevenzione e promozione della salute da realizzare attraverso azioni specifiche, inserite in piani predefiniti e liberi, basate su evidenze di efficacia, equità e sostenibilità.


Nel PNP nel macro-obiettivo (MO) 1, malattie croniche non trasmissibili, obiettivo specifico (OS) 10, si definisce come necessario “sviluppare la gestione pro-attiva dei fattori di rischio modificabili della demenza al fine di ritardare o rallentare l’insorgenza o la progressione della malattia”. Ma, da una valutazione dei PRP, emerge che la maggior parte delle attività di prevenzione mirate a contrastare esplicitamente l’insorgenza di demenza era rivolta solo all’inattività fisica.


Inoltre, il Piano Nazionale Demenze (PND) vigente non è stato recepito da 5 Regioni e una PA (Valle d’Aosta, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Basilicata, Calabria, PA Bolzano), la rete di servizi è ancora in gran parte rappresentata solo dalla riconversione delle Unità di Valutazione Alzheimer (UVA) nei Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD). Una distribuzione poco uniforme invece si ha per la Carta dei Servizi e i Piani regionali di programmazione. Risultano, infine, scarse sia l’attività di formazione che l’approvazione dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA), collegati all’appropriatezza delle cure.


Il PDTA può essere definito come uno strumento che delinea gli aspetti clinici e assistenziali che riguardano la gestione di una patologia. Attraverso il PDTA viene disegnato il percorso di assistenza della persona dalla diagnosi e per tutto il decorso della malattia, sia dal punto di vista sanitario che sociale. In un certo senso, quindi, il PDTA definisce tutti gli interventi e le azioni necessarie alla cura della persona tenendo conto non solo degli aspetti terapeutici, ma anche di supporto nel contesto in cui la persona è inserita e sulla base dei servizi assistenziali disponibili. Per quanto riguarda la diffusione dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) in Italia sono stati censiti 70 PDTA per le demenze. Di questi, 29 sono prodotti a livello regionale e 41 a livello di ASL.


Nella valutazione di qualità, definita come aderenza alle Linee di indirizzo nazionali per i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali per le demenze sono stati inclusi soltanto i PDTA successivi alla pubblicazione delle Linee di indirizzo, ovvero 11 PDTA regionali (Abruzzo, Emilia-Romagna PDTA demenze, Emilia-Romagna PDTA demenze a esordio giovanile [EOD], Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Molise, PA Trento, Umbria, Valle D’Aosta, Veneto) e 28 PDTA aziendali (Pescara, Teramo, Napoli 1 Centro, Napoli 2 Nord, Bologna, Modena PDTA demenze, Modena PDTA demenze a esordio giovanile [EOD], Piacenza, Parma, Ferrara, Reggio Emilia, Imola, Romagna, Roma 2, Roma 3, Verbano-Cusio-Ossola, Brindisi, Toscana Sud-Est, Marca Trevigiana PDTA demenze, Marca Trevigiana PDTA demenze a esordio giovanile [EOD], Berica, Serenissima, Umbria 1, Dolomiti, Veneto Orientale, Polesana, Euganea, Pedemontana).


Complessivamente la quantità dei PDTA prodotti dopo la pubblicazione delle Linee di indirizzo nazionali risulta particolarmente ridotta, con 11 documenti regionali, ovvero poco più del 50% sul totale delle Regioni e PA, e 28 documenti aziendali, ovvero il 25,4% se consideriamo il totale di 110 ASL presenti sul territorio nazionale. Si sottolinea come un PDTA regionale debba sempre essere tradotto in un PDTA aziendale. In sintesi circa 2/3 delle persone con demenza e MCI in Italia non hanno possibilità di usufruire di un PDTA nel proprio territorio di residenza.


Altro punto di debolezza è la carenza di azioni collegate alla riduzione dello stigma e all’aumento della consapevolezza: solo poche Regioni hanno messo finora in atto informative regionali e promuovono fattivamente iniziative di socializzazione come i Caffè Alzheimer. Le iniziative sono condotte quasi esclusivamente dalle associazioni dei pazienti e dei familiari e in pochissime Regioni è previsto un sostegno economico per la loro attività.


Attualmente in Italia esistono 57 Comunità e Città amiche delle persone con demenza. Un numero decisamente inferiore rispetto a quello che si rileva negli altri Paesi europei come, ad esempio, nel Regno Unito (2.000 Comunità amiche). Caratteristica comune di queste realtà è la collaborazione tra diversi attori: istituzioni pubbliche, associazioni di volontariato, ambiti territoriali e associazioni di categoria. Questo approccio favorisce l’integrazione di risorse e competenze diverse, permettendo di offrire una gamma più ampia di servizi e supporto alle persone con demenza e ai loro caregiver. Il coinvolgimento diretto delle Comunità permette inoltre di creare un ambiente solidale e inclusivo, in cui le persone con demenza si sentono supportate e comprese.


Altro aspetto che merita di essere sottolineato del modello Dementia Friendly Community (DFC) è l’efficacia dei costi per sostenere le persone affette da demenza. Un’analisi degli aspetti economici indica infatti un potenziale risparmio nella misura in cui si consente ai pazienti di vivere nella Comunità e ritardare il ricovero in istituto.


Negli ultimi anni si è assistito a un incremento dei Caffè Alzheimer. L’unico censimento disponibile (Federazione Alzheimer Italia) ne conta 110 su 18 Regioni, ma il numero è verosimilmente sottostimato in quanto nascono spontaneamente su iniziativa delle associazioni di familiari, gruppi di volontariato religioso o laico, sindacati dei pensionati e altre realtà associative a livello locale.


Per trovare i centri U.V.A. più vicini vi invitiamo a consultare i siti sanitari istituzionali regionali e quello delle Federazione Alzheimer Italia e quello AIMA Italia.

 

 

 

 

 


Fonte: Federazione Nazionale Pensionati CISL (7/8/2024)

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