Tre biomarcatori promettenti che si stanno studiando per individuare l'Alzheimer nelle fasi iniziali, sembrano subire un cambiamento sorprendente quando i pazienti sviluppano sintomi di demenza, riferiscono dei ricercatori della School of Medicine della Washington University di St. Louis.
Gli scienziati usano i biomarcatori per valutare i cambiamenti del cervello legati alla malattia dei volontari nella ricerca. I livelli di marcatori del danno neuronale crescono nel liquido spinale per più di dieci anni prima della comparsa della demenza; ma una nuova svolta della ricerca dimostra per la prima volta che in seguito invertono la rotta, diminuendo quando appaiono i sintomi di perdita della memoria e del declino mentale.
I risultati sono pubblicati da ieri 5 marzo su Science Translational Medicine.
“Non siamo sicuri del perché si verifica questo capovolgimento, ma capirlo potrebbe essere molto importante per le sperimentazioni cliniche dei farmaci per trattare o prevenire l’Alzheimer”, ha detto l’autore senior Anne Fagan, PhD, professore di ricerca di neurologia. “I cambiamenti nel livello di questi marcatori probabilmente saranno tra i criteri che usiamo per valutare il successo o il fallimento dei farmaci di Alzheimer, quindi dobbiamo sapere come si comportano questi biomarcatori normalmente, in assenza di trattamento”.
Motivati dalla consapevolezza che l'Alzheimer danneggia il cervello per dieci o più anni prima di provocare la demenza, i ricercatori hanno identificato diversi biomarcatori della malattia in pazienti, prima che sviluppassero i sintomi. Essi sperano di usare i biomarcatori per la diagnosi dei pazienti e iniziare il trattamento molto prima della comparsa dei problemi alla memoria e alle altre funzioni cerebrali che caratterizzano la demenza.
La Fagan ed i suoi colleghi hanno studiato i dati del «Dominantly Inherited Alzheimer’s Network» (DIAN), un progetto di ricerca multinazionale guidato dalla Washington University. Tutti i partecipanti al DIAN provengono da famiglie colpite da mutazioni genetiche che causano rare forme ereditarie dell'Alzheimer. I portatori di tali mutazioni famigliari possono sviluppare sintomi di declino mentale già verso i 30 anni.
I partecipanti al DIAN vengono valutati regolarmente usando vari test, compresa l'analisi dei biomarcatori di Alzheimer nel loro liquido spinale. Per il nuovo studio, la Fagan ed i suoi coautori hanno esaminato tre biomarcatori correlati alle lesioni in campioni di liquido spinale raccolti per diverse valutazioni di 26 partecipanti al DIAN. Tutti i partecipanti avevano una mutazione che provoca l'Alzheimer.
Due dei biomarcatori, tau e P-tau, sono proteine strutturali che formano grovigli neurofibrillari presenti nel cervello dei malati di Alzheimer, il terzo è un sensore del calcio neuronale chiamato VILIP-1. I livelli dei tre biomarcatori aumentano dopo che i neuroni sono lesionati e sono legati al declino della funzione cognitiva. L’evidenza suggerisce che, non appena l'Alzheimer assale il cervello, le cellule morenti rilasciano i biomarcatori, lasciandoli liberi di essere diluiti nel fluido spinale.
Come previsto, i livelli dei biomarcatori aumentano nel corso del tempo nei partecipanti che non sviluppano ancora la demenza. Ma i ricercatori sono stati sorpresi di trovare che, nella maggior parte dei partecipanti che avevano la demenza, i livelli dei tre biomarcatori diminuiscono nel tempo. La caduta dei livelli è relativamente piccola ma coerente e statisticamente significativa. “Questo è molto interessante, soprattutto considerando che gli studi precedenti avevano dimostrato che altri indicatori dell'Alzheimer, come il restringimento del cervello, continuano anche dopo l’insorgenza della demenza”, ha detto la Fagan.
Essa ipotizza che l’aumento dei livelli dei biomarcatori prima della demenza probabilmente riflettono una fase intensa di morte cellulare, mentre i livelli in calo dopo l'inizio della demenza indicano un rallentamento di questo processo. Tuttavia, è anche possibile che tali riduzioni derivino da una diminuzione del numero delle cellule cerebrali residue che devono ancora essere uccise dall'Alzheimer, ha detto.
Per far avanzare la ricerca, gli scienziati stanno raccogliendo i dati sui nuovi iscritti al DIAN e continuano a seguire i partecipanti allo studio corrente. “Questi risultati sono limitati sia dal piccolo numero di partecipanti che abbiamo studiato, sia dal fatto che abbiamo solo pochi anni di follow-up longitudinale”, ha detto la Fagan. “Ulteriori dati presi per periodi di tempo più lunghi ci aiuteranno a trarre conclusioni più definitive”. Sono necessarie ulteriori ricerche anche per sapere se i livelli dei biomarcatori subiscono un cambiamento simile nei pazienti con le forme sporadiche più comuni della malattia, che in genere vengono diagnosticati più tardi nella vita.
Il finanziamento è stato dato dal National Institutes of Health (NIH), dal National Institute on Aging, dal Dominantly Inherited Alzheimer’s Network, dal DIAN Pharma Consortium e da altre fonti.
Fonte: Michael C. Purdy in Washington University in St. Louis (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: A. M. Fagan, C. Xiong, M. S. Jasielec, R. J. Bateman, A. M. Goate, T. L. S. Benzinger, B. Ghetti, R. N. Martins, C. L. Masters, R. Mayeux, J. M. Ringman, M. N. Rossor, S. Salloway, P. R. Schofield, R. A. Sperling, D. Marcus, N. J. Cairns, V. D. Buckles, J. H. Ladenson, J. C. Morris, D. M. Holtzman. Longitudinal Change in CSF Biomarkers in Autosomal-Dominant Alzheimer's Disease. Science Translational Medicine, 2014; 6 (226): 226ra30 DOI: 10.1126/scitranslmed.3007901
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