La malattia di Alzheimer (AD) è tra i disturbi cerebrali più comuni che colpiscono 15 milioni di anziani in tutto il mondo, numero destinato a crescere di quattro volte entro il 2050 1, diventando un grave problema di salute, con gravi implicazioni socio-economiche.
La presente analisi riguarda alcune degli approcci permessi dalle nanotecnologie che sono state sviluppate per la diagnosi precoce e accurata del morbo, per il suo trattamento terapeutico, e per la prevenzione. Queste possibili soluzioni offerte dalla nanotecnologia esemplificano la crescente importanza che possiede per affrontare i disturbi del cervello in generale.
Diagnosticare l'Alzheimer: sviluppi basati sulla nanotecnologia
Figura 1: Alcune applicazioni dei nanomateriali che stanno arrivando per l'Alzheimer. |
La patogenesi dell'Alzheimer è caratterizzata dalla perdita di neuroni e sinapsi, con conseguente grave atrofia tra diverse regioni cerebrali. La malattia è attualmente difficile da diagnosticare in modo affidabile, soprattutto nelle sue fasi iniziali, quando è spesso scambiata per normali cambiamenti legati all'età o allo stress. Una diagnosi accurata può essere ottenuta solo post-mortem (tramite l'esame del tessuto cerebrale in una autopsia), e gli attuali metodi clinici con scansioni cerebrali e test neuropsicologici sono precisi solo circa all' 85%, e questo solo nelle fasi successive 2.
La diagnosi precoce di una malattia è importante in quanto può determinare quanto potrebbe essere efficace qualsiasi trattamento, e serve anche per la valutazione dei trattamenti sperimentali. I sintomi clinici di AD (in forma di declino cognitivo, della memoria) di solito appaiono molto dopo che il tessuto nervoso comincia a deteriorarsi. Pertanto, sono necessari approcci molecolari affidabili e sensibili per rilevare l'insorgenza della neurodegenerazione alla base dell'AD il più presto possibile.
Gli oligomeri solubili denominati ADDLs, che sono implicati nella patogenesi di AD, vengono riconosciuti come un biomarcatore potenzialmente affidabile per indicare la presenza di AD, visto che mostra differenze significative di concentrazione nel liquido cerebrospinale (CSF) tra soggetti con diagnosi di AD e controlli sani di pari età3. La concentrazione generalmente molto bassa di tali biomarcatori presenta un segnale troppo debole per essere rilevato dai test convenzionali con dosaggi immunoenzimatici. Ma un recente metodo ultra-sensibile sviluppato, noto come dosaggio bio-barcode, mostra il potenziale per fare proprio questo4. Questa tecnica fa uso di nanoparticelle d'oro (NP) e microparticelle magnetiche sospese in soluzione, entrambe coniugate con un anticorpo specifico per l'ADDLs mentre ogni NP dorata è collegata anche a un gran numero di filamenti di DNA "barcode".
Utilizzando questo nuovo metodo di analisi, si è dimostrata una elevata concentrazione di ADDLs nel liquido cerebrospinale di casi di AD rispetto ai soggetti sani. Si sta indagando 5 anche sulla possibilità di adattare il metodo di amplificazione bio-barcode ai campioni di sangue invece del metodo CSF più difficile da ottenere, per contribuire a semplificare questo promettente strumento diagnostico.
Un altro potenziale approccio diagnostico per puntare al biomarker ADDL fa uso di una proprietà ottica posseduta dalle nanoparticelle di metalli nobili come oro e argento chiamata Risonanza Plasmonica di Superficie Localizzata (LSPR) 6, 7. L'analisi sistematica di un test con NP di argento triangolari (preparate con litografia a nanosfere), impiegando la spettroscopia UV-visibile, ha mostrato cambiamenti rilevabili nella lunghezza d'onda massima di estinzione in aggiunta agli ADDLs (anche al livello più basso delle concentrazioni nanomolari) attraverso i cambiamenti nell'indice di rifrazione, così come delle risposte significativamente diverse negli estratti di cervello e nei campioni di liquido cerebrospinale di pazienti malati e di controlli 7.
Oltre a questi due esempi, c'è una serie di altri studi che prendono in considerazione i nanomateriali per l'utilizzo in nuovi metodi di scansione in grado di fornire metodi in vivo per rilevare, o studiare, marcatori patologici della malattia, in particolare le placche amiloidi. Queste tecniche di visualizzazione, potrebbero servire anche per valutare l'efficacia clinica di nuovi farmaci progettati per eliminare le placche tossiche.
Potenziali percorsi di terapia per AD permessi dalla nanotecnologia
Figura 2: peptide beta-amiloide e AD - il peptide beta-amiloide (che deriva dalla proteina precursore dell'amiloide), anormalmente accumulato, forma oligomeri solubili e placche fibrillare extracellulari, i cui deleteri effetti sono implicati nella degradazione neurale associata all'AD [Immagine gentilmente concessa da: National Institute on Aging / National Institutes of Health] |
Attualmente, non esistono cure che ribaltino la neurodegenerazione causata dal progresso dell'AD. I farmaci disponibili sul mercato oggi sono per lo più destinati solo a un beneficio sintomatico, ad esempio migliorare la comunicazione interrotta tra le cellule cerebrali, ma non possono arrestare il processo di degenerazione. Sono in corso sforzi di ricerca, tuttavia, per sviluppare strategie che "modificano la malattia", cioè quelle che possono arrivare alla radice delle cause dell'Alzheimer con l'obiettivo di rallentare o arrestare il progressivo degrado del cervello 8.
Un ostacolo rilevante deriva dall'esistenza della cosiddetta barriera emato-encefalica (BBB), che presenta un ostacolo al trasporto di efficaci farmaci/ agenti teraupetici al cervello attraverso il flusso sanguigno 9. La BBB, che è essenzialmente un filtro selettivo a doppio senso tra i capillari sanguigni e il tessuto nervoso, svolge la funzione benefica di impedire a "sostanze estranee" come agenti patogeni e tossine circolanti nel sangue di entrare nel cervello ma, allo stesso tempo, ferma anche il trasporto di molecole attive più grandi, anche quelle di possibile valore terapeutico, nel tessuto cerebrale. Quindi, sono necessarie strategie per superare questa barriera fisiologica naturale.
In questo contesto, sono allo studio diverse possibilità di progettare "vettori" in nano-scala dotati di proprietà superficiali idonee per facilitare la consegna efficiente, mirata e sicura di molecole attive attraverso la BBB e il loro rilascio prolungato nel cervello. Mascherando le caratteristiche fisico-chimiche degli agenti terapeutici inclusi / incapsulati, questi nano-sistemi potrebbero agire da "cavalli di Troia", fornendo un mezzo per portare tali molecole attraverso la BBB. Inoltre, schermando le molecole incapsulate contro la degradazione enzimatica e quindi migliorandone la emivita, tali nanovettori potrebbero aumentare la loro biodisponibilità nel cervello. Ciò migliorerebbe naturalmente la loro efficacia e, con minore quantità di agente terapeutico necessario, pure eventuali possibili effetti collaterali indesiderati in altri siti sarebbero ridotti al minimo.
Di seguito si presenta un campione rappresentativo di indagini si tali sistemi di nanoparticelle, oltre ad altri approcci nano-correlati, che hanno un impatto diretto sulla lotta all'AD.
Trasporto di farmaci mediato da nanoparticelle
La rivastigmina è tra i pochi farmaci approvati dalla FDA attualmente in uso per alleviare sintomi di demenza lieve-moderata. Clinicamente, la limitata capacità del libero composto di attraversare la barriera emato-encefalica, ed i suoi effetti collaterali sugli organi periferici, impediscono di raggiungere il suo pieno potenziale terapeutico. E' quindi un candidato idoneo per l'introduzione nel cervello con la mediazione delle nanoparticelle. L'uso di nanoparticelle polimeriche biodegradabili, è stato recentemente studiato per questo scopo 10. Si è scoperto che la rivastigmina iniettata per via endovenosa, legata a nanoparticelle Poli (n-butylcyanoacrylate) (PnBCA) rivestite con il polisorbato 80 chimico, viene assorbita significativamente meglio dal cervello rispetto al farmaco libero (un miglioramento fino a 3,82 volte). Questa consegna migliore è spiegata da un meccanismo che coinvolge il legame delle lipoproteine presenti nel sangue alla superficie delle nanoparticelle 11. Un simile effetto positivo è stato segnalato da un altro gruppo di rcerca 12 in uno studio farmacodinamico su topi affetti da amnesia; si è riscontrato che l'utilizzo di poli (lattide-co-glicolico) (PLGA) e NP PnBCA come vettori di rivastigmina è stato associato a più rapida inversione perdita di memoria rispetto al farmaco libera, indicando una consegna più rapida e in quantità maggiore nel cervello di topo.
Recentemente, per fornire il neurotrasmettitore acetilcolina (ACh) al cervello, e porre rimedio alla neurotrasmissione colinergica interrotta in AD, è stato proposto un approccio basato sull'uso di un Muro Singolo di Nanotubi di Carbonio (SWCNTs) come vettore 13 (si precisa che in questo caso il trasporto al cervello è avvenuto attraverso gli assoni del nervo olfattivo, piuttosto che attraverso la BBB). Si sono sollevate preoccupazioni in precedenza sulla biosicurezza dei SWCNTs, e soprattutto sulla loro tossicità nei confronti dei mitocondri nelle cellule. Ma il presente studio dimostra che, controllando accuratamente i dosaggi, è possibile portare ACh specificamente all'organello bersaglio e al tempo stesso evitare la sua tossicità mitocondriale. In questo contesto abbiamo anche detto che la funzionalizzazione dei nanotubi di carbonio con biomolecole, tipo catene glicole polietilene ramificate (PEG), può offrire un mezzo per migliorare la loro biocompatibilità e idoneità come veicoli di consegna del farmaco14.
Approcci neuroprotettivi permessi dalla nanotecnologia
Antiossidanti - Un aumento della presenza di radicali liberi a causa di stress ossidativo, può svolgere un ruolo causale nello scatenare e aggravare la degenerazione neurale. Lo stress ossidativo indotto dal beta amiloide è stato implicato come fattore nella neurodegenerazione osservata in AD 15. La deposizione dell'amiloide è ritenuta la causa della disfunzione dei mitocondri con conseguente generazione di radicali liberi, che a sua volta può avviare un percorso che porta alla morte cellulare per apoptosi 16. Sono quindi anche all'esame dei nanovettori per il trasporto efficiente di composti anti-ossidanti nel cervello in grado di neutralizzare questi radicali liberi e, quindi, fornire una protezione contro i loro effetti dannosi, al lavoro in malattie come l'Alzheimer.
Curcumina - La spezia curcuma del curry svolge un ruolo centrale nel trattamento ayurvedico di una vasta gamma di disturbi. L'ingrediente curcumina dota la curcuma di molte proprietà medicinali che sono state stabilite in modo piuttosto approfondito nel recente times43 ("La curcumina migliorata dalla nanotecnologia: Simbiosi di antica saggezza d'Oriente con la moderna scienza medica"). Nel contesto della patologia di AD, studi in vitro e su modelli animali dimostrano che la curcumina può avere effetti benefici attraverso molteplici vie, come la sua forte attività antiossidante 17, 18, l'interazione con ioni metallici, la prevenzione dell'aggregazione indotta da metalli del beta -amiloide 19, 20, la destabilizzazione delle fibrille preformate di beta-amiloide e l'inibizione della formazione di aggregati Aβ 21-23. Così, la somministrazione di curcumina viene vista come una strategia teraupetica potente (e preventiva) contro l'AD 24.
Neuroprotezione a base di Fullerene - Il noto buckminsterfullerene (C60) è stato indicato come un "spugna di radicali liberi" a causa della sua potente attività antiossidante 25, ma il C60 nativo è solubile solo in un numero limitato di solventi biologicamente poco attraenti, come il toluene e il benzene. Come alternativa biologicamente più adatta, sono stati studiate forme di C 60 funzionalizzate carbossiliche, solubili in acqua (carboxyfullerenes), per il loro potenziale neuroprotettivo contro i radicali liberi. In uno studio su colture di neuroni corticali 26, l'acido malonico derivato dal C60 è risultato essere in grado di eliminare sia l'anione superossido che il radicale ossidrile, e di ridurre la morte neuronale apoptotica indotta da esposizione al peptide amiloide-beta (1 -42) dell'AD. Gli idrossili solubili in acqua derivati dal fullerene, noti come fullerenoli, sono un'altra specie la cui capacità di combattere i radicali liberi ed esercitare un effetto neuroprotettivo è stata dimostrata in studi su colture di cellule corticali 27, 28.
Terapia di chelazione - Nuove prove provocano un caso per un collegamento tra la concentrazione anomala di alcuni metalli nel cervello e la neurodegenerazione associata con AD. L'accumulo di ioni di metalli redox-attivi come il ferro, può essere una fonte di radicali liberi tossici che contribuiscono al danno ossidativo 29, 30. Sono state recentemente ipotizzate reazioni ROS generate tra Aβ e metallo redox come meccanismo chiave per la neurotossicità degli oligomeri beta amiloide. Un progressivo accumulo di metalli è stato osservato nel cervello di AD durante la progressione della malattia da moderata a grave 31. Osservazioni in-vitro suggeriscono che biometalli possono legarsi al peptide Aβ e promuoverne l'aggregazione e la formazione in depositi insolubili 32-35, una possibilità in linea con i livelli arricchiti di metalli come Cu, Zn e Fe che sono stati osservati in placche senili rispetto al cervello sano 36.
Alla luce di questi e altri risultati simili, si riconosce che l'uso di composti chelanti del metallo per correggere lo squilibrio dei metalli nel cervello e attenuare gli effetti tossici mediati dai metalli è un approccio promettente per la neuroprotezione, così come un intervento terapeutico per l'AD 37. Vi è, tuttavia, la questione di come questi agenti chelanti possono essere portati al cervello e che le conseguenti coniugazioni metallo-chelante siano espulse in modo efficiente, se necessario, oltre alla possibilità di effetti citotossici dei composti liberi. Ciò ha portato a studi su consegna mediata dalle nanoparticelle per superare le limitazioni intrinseche degli agenti metallo-chelanti per il trattamento del cervello.
Interazione diretta delle Nanostrutture con il peptide β-amiloide
L'utilizzo di formulazioni nanoparticolate per affrontare l'AD non si limita semplicemente a portare farmaci e altri composti terapeutici attraverso la BBB e consegnarli al cervello. Diversi studi mirano anche a progettare NP specifiche per il cervello con un'affinità al peptide beta-amiloide. Tali nanomateriali potrebbero interagire direttamente con il peptide (ad esempio attraverso l'assorbimento di questi ultimi sulla superficie della NP, che potrebbe alterare la conformazione del peptide) e quindi, sia reprimere la sua auto-aggregazione in oligomeri tossici e placche fibrillari, o mediare la rottura degli aggregati amiloidi già esistenti e quindi eliminare gli effetti deleteri associati. Alcuni esempi illustrativi:
– E' verificato che nanomicelle fosfolipidi PEGilate inibiscono l'auto-aggregazione del peptide Aβ inducendo un cambiamento conformazionale che rende il peptide contrario all'aggregazione, e si è dimostrata una minore neurotossicità in studi di citotossicità sulle cellule di neuroblastoma umano 38. Una simile capacità di interagire con il peptide beta-amiloide e di inibire la formazione di fibrille è stata vista con nanoparticelle di fluorurato (complessi di polyampholyte e acido fluorurato dodecanoico) 39. Anche le NP sintetizzate da solfonazione e solfatazione del polystyrene mostrano tale attività inibitoria modificando la conformazione del peptide beta-amiloide adsorbito e di indurre un disordinato stato 40.
– Sono state proposte nanogels "Pullulan che portano colesterolo a base di (CHP)" biocompatibili per l'impiego come chaperoni artificiali (proteine che influenzano il ripiegamento di altre proteine). Uno studio ex vivo ha dimostrato che ciascuno di tali nanogels (con diametro di 20-30 nm) potrebbe incorporare 6-8 molecole di Aβ e indurre un cambiamento nella conformazione del peptide, impedendo così la sua aggregazione e inibendo la formazione di fibrille amiloidi 41.
– Si è scoperto che i nanocristalli Quantum Dot (QD), che abbiamo incontrato in precedenza nel contesto delle applicazioni di visualizzazione, sono efficaci nel diminuire la formazione di fibrille amiloidi. Questi studi hanno fatto uso di QD ricoperti con composti organici idonei (N-acetil-L-cisteina acido Dihydrolipoeic 42 e 43), e indicano che le concentrazioni relativamente basse di QD (rispetto alla concentrazione di peptide) sono sufficienti a mostrare l'effetto inibitorio.
– E' stata recentemente proposta una tecnica interessante per sciogliere a distanza e selettivamente i depositi di amiloide fibrillare per mezzo di energia termica concentrata, generata da una combinazione di campi di microonde deboli e NP d'oro già legate al β-amiloide bersaglio 44, 45. La fonte di energia a microonde è circa 6 volte più debole di quella presente nei tradizionali telefoni cellulari, e le NP d'oro sono state selezionate qui a causa del loro elevato rapporto superficie-volume, della biocompatibilità ed elevata mobilità. Questo approccio, tuttavia, è associato alla possibilità di formazione di oligomeri in seguito alla suddivisione delle specie fibrillare, che sono pure neurotossici. Così, qualche miglioramento è necessario per rendere la strategia più sicura e più efficace, magari attraverso una modifica per cui le specie oligomeriche più piccole in se stesse sono destinate alla disaggregazione.
Verso la terapia rigenerativa
Il sistema nervoso centrale ha una scarsa capacità di rigenerazione naturale, e la progressiva perdita di cellule cerebrali causata dalla specie amiloide tossica è quindi irreversibile. Questo limita il potenziale delle terapie mediche che prendono di mira l'aggregazione amiloide e la sua tossicità solo al rallentamento o al blocco della degenerazione del tessuto nervoso nei casi di Alzheimer. Tuttavia, i lavori in corso su alcuni nuovi approcci, come quelli basati sulle cellule staminali e l'ingegneria dei tessuti, offre un barlume di speranza per invertire la perdita neuronale indotta dalla malattia e ripristinare le funzioni cerebrali normali 46-48. Le applicazioni nanotecnologiche stanno cominciando ad emergere anche in questo campo 49-51, (ad esempio lo sviluppo di ponteggi nano-progettati che possono mimare la matrice extracellulare per sostenere e promuovere la crescita e la differenziazione controllata di cellule progenitrici neurali in vivo per riparare i danni).
Qui citiamo uno sviluppo recente della possibile rilevanza per l'AD. L'approccio attuale alla terapia con cellule staminali adulte in genere richiede un piccolo numero di cellule staminali prese dal paziente, e poi coltivate in laboratorio per creare un lotto di volume sufficiente da avviare il processo di rigenerazione dei tessuti quando vengono re-iniettate nel corpo. Una difficoltà di questo processo di coltura su superfici in plastica standard è la tendenza delle cellule staminali in coltura a differenziarsi spontaneamente in altre cellule, e quindi a perdere la loro innata capacità rigenerativa. Un articolo pubblicato all'inizio di quest'anno 51, 52, ha riportato l'uso di un innovativa superficie modellata con una disposizione ordinata delle fosse su scala nanometrica (prodotta con litografia a fascio elettronico + stampaggio ad iniezione), che ha dimostrato di essere molto più efficace nel permettere la proliferazione delle cellule staminali pur mantenendo le loro caratteristiche di cellule staminali per un lungo periodo, per l'uso in terapia. Queste nano-superfici modellate, come suggerisce il gruppo di ricerca, possono fornire una base per i grandi "fabbriche" di cultura di cellule staminali che consentono terapie per varie malattie, tra cui Alzheimer e Parkinson.
Riassunto e direzioni future
La nanotecnologia offre la possibilità di progettare materiali innovativi su scala nanometrica e dispositivi con proprietà funzionali controllabili. Nel contesto del trattamento dell'Alzheimer, tali nanoconszioni potrebbero, da un lato, fornire i mezzi per trasportare e consegnare farmaci e altre molecole terapeutiche / neuroprotettive in modo efficiente al cervello, e dall'altra, potrebbero anche essere adattati ad affrontare più direttamente ed eliminare i fattori patogeni alla base della malattia (come l'aggregazione proteica anomala in oligomeri e fibrille). I nanomateriali stanno cominciando ad essere utilizzati come base per avvicinarsi alla sfida del rilevamento sensibile e precoce dell'AD.
La selezione di lavori di Ricerca&Sviluppo di cui sopra intende trasmettere un senso del ruolo crescente che la nanoscienza e la tecnologia sono destinate ad avere nello sforzo globale in corso per sviluppare test diagnostici e terapie per le malattie neurologiche (Fig. 1). Poichè molti dei promettenti risultati sopra descritti sono stati ottenuti in laboratorio in studi in vitro, è importante confermare l'efficacia di tali approcci permessi dalla nanotecnologia in modelli animali in vivo rappresentativi dell'AD.
Oltre a questo, c'è la questione degli effetti collaterali involontari da tenere in mente, proprio come deve essere quando si valuta una applicazione di nanotecnologia, medica o altro, con diretta rilevanza per l'uomo. Nell'ambiente biochimico molto complesso del sistema nervoso centrale, in particolare, non possono essere ignorate le possibilità di conseguenze indesiderate citotossiche (a parte la funzione prevista) dei sistemi gestiti su scala nanometrica, specialmente quelli non biodegradabili. Così, la biocompatibilità e la sicurezza globale devono essere attentamente valutate prima che qualsiasi applicazione inizi le sperimentazioni cliniche.
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Pubblicato in NanoWerk il 13 dicembre 2011 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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