"Abbiamo un qualche controllo sulla salute del nostro cervello quando invecchiamo?", ha chiesto il dottor Gary Small (foto) al pubblico della sala gremita di psichiatri che partecipano alla sua conferenza "Salute del cervello e prevenzione di Alzheimer" al Meeting Annuale 2013 della American Psychiatric Association (APA) a San Francisco in California.
Quasi tutti hanno alzato la mano. "Se la risposta è sì", ha proseguito, "allora cosa possiamo fare per prevenire i sintomi dell'Alzheimer (AD)?". Nell'ora successiva i partecipanti alla conferenza l'hanno scoperto o forse, dato il loro lavoro, hanno dato una ripassata.
Il Dr. Small è Professore di Psichiatria e Direttore del centro di longevità dell'UCLA all'Istituto Semel di Neuroscienze e Comportamento Umano. Come ha sottolineato nella sua introduzione il moderatore Dr. Brent Forester, la lista dei successi del Dr Small è umiliante: medico rinomato, ricercatore di punta, autore di oltre 400 pubblicazioni scientifiche e di 7 libri popolari, compreso l'ultimo The Alzheimer's Prevention Program. La sua ricerca ha contribuito a [mettere a punto] metodi di scansione cerebrale capaci di rilevare l'AD anni prima che i sintomi siano evidenti; il suo stile di vita sano e i programmi di formazione della memoria sono ampiamente utilizzati in tutti gli Stati Uniti. Nel 2002 Scientific American Magazine ha nominato Small uno dei principali innovatori del mondo della scienza e della tecnologia.
Si è vista l'immagine di Madame Jeanne Calment, una ultracentenaria francese vissuta fino a 122 anni. "A 94 anni, la Calment ha venduto il suo appartamento ad un uomo d'affari che ha accettato di pagarle l'affitto per il resto della sua vita. Lui è morto 10 anni dopo", ha detto al pubblico Small ridacchiando. Stava introducendo l'idea che certi stili di vita sono associati sia alla longevità che alla salute del cervello, un termine che comprende le nostre varie facoltà neurologiche come la memoria, il pensiero, il ragionamento, l'umore e le risposte allo stress.
Ci sono alcune regioni del mondo - le cosiddette "zone blu" - con molti agglomerati anomali di centenari, in particolare in Sardegna (Italia), a Loma Linda in California, e a Okinawa in Giappone. >Queste regioni condividono una serie di caratteristiche ritenute in grado di contribuire alla longevità collettiva e alla salute del cervello prolungata che Small successivamente ha approfondito: i loro abitanti tendono ad essere fisicamente attivi, socialmente impegnati, seguire una dieta sana ricca di grassi omega-3, proprio come i pranzi ricchi di pesce che probabilmente piacevano alla signora Calment nel sud della Francia.
Con tali sorprendenti esempi epidemiologici, ricercatori e clinici stanno ora prendendo sul serio numerosi fattori di stile di vita, come possibili strade per la prevenzione dell'AD, anche per l'attuale mancanza di trattamenti modificanti la malattia; in altre parole, la mancanza di una cura. Mettiamo insieme queste intuizioni con i progressi nelle neuroscansioni e di altri test di biomarcatori che permettono di individuare precocemente la malattia, e sembra che abbiamo almeno un po' di controllo sulla nostra salute del cervello. Ma è sufficiente modificare lo stile di vita per prevenire realmente o ritardare in modo significativo l'AD? Adottare abitudini sane può dare risultati? O altri fattori, come le influenze genetiche sono l'ostacolo sulla strada?
Contesto e Biomarcatori
L'AD è una epidemia, che colpisce più di 5 milioni di americani e quasi 40 milioni di persone in tutto il mondo. L'AD colpisce 1 persona su 8 di oltre 65 anni e quasi la metà di quelli oltre gli 85 anni di età. La ragione di questa prevalenza sconcertante è semplicemente che viviamo più a lungo. "Il principale fattore di rischio per l'AD è l'età avanzata", ha osservato Small. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, l'aspettativa di vita nel 1900 negli Stati Uniti era di circa 47 anni. Nel 2013 è di quasi 80 anni.
"Allora, cos'è l'Alzheimer?" si chiede Small retoricamente, prima di fare una breve lezione di storia. Nel 1906 Alois Alzheimer, psichiatra e neuropatologo tedesco, ha presentato il primo caso della condizione che avrebbe portato il suo nome. Il suo paziente iniziale è morto 4 anni dopo l'inizio dei sintomi, e nell'autopsia il suo cervello conteneva frammenti di proteine appiccicose e fibre contorte ora note come accumuli proteici di placca amiloide e grovigli tau. Presunta una rara forma di demenza, è solo decenni dopo che si sono fatti altri progressi. Uno studio del 1968 di Blessed, Tomlinson, e Roth ha correlato placche e grovigli alla "senilità", patologizzando una disfunzione cognitiva ritenuta in precedenza solo parte normale dell'invecchiamento e accendendo la consapevolezza dell'AD.
Diagnosticare e monitorare l'AD inizialmente si è rivelato difficile. Il cervello di AD presenta grave atrofia e ammassi importanti di placche e grovigli. Ma anche il cervello "normale" può averle, in concentrazioni più basse. Placche e grovigli si accumulano progressivamente con l'età. Inoltre, fino a tempi recenti, era difficile rilevare tali cambiamenti in pazienti viventi. Nel corso degli anni, numerosi biomarcatori potenziali di AD sono stati considerati con vari gradi di successo: si sono rivelate utili le analisi del siero, del sangue e del liquido cerebrospinale (CSF), in particolare in ambiti di ricerca, come pure la genomica, le valutazioni dei fattori di rischio vascolare e il neuroimaging.
L'American Academy of Neurology ora raccomanda una TAC o RM in caso di sospetto AD, per escludere altre cause di disturbi cognitivi, come ictus o tumore, poichè risultati associati all'AD come l'atrofia generalizzata possono essere aspecifici. Tuttavia, l'imaging strutturale può contribuire a identificare l'AD. L'ippocampo subisce una atrofia significativa con il progredire della demenza, e anche se la riduzione del volume ippocampale non può confermare l'AD in un individuo, può distinguere l'AD in un campione aggregato del paziente.
Meglio ancora, l'applicazione della tecnologia PET nella ricerca sull'AD ha avanzato la caratterizzazione funzionale del cervello colpito da AD. Il lavoro di Small, Mosconi, e altri sull'uso della PET con un analogo del glucosio radioattivo (fluorodeossiglucosio [FDG]-PET) ha contribuito a correlare i modelli specifici del metabolismo del glucosio a diverse cause di demenza. Questi risultati sono stati sufficienti nel 2004 a convincere i Centers for Medicare & Medicaid Services che la PET è utile per la diagnosi di demenza, rendendone possibile il rimborso. Da allora sono stati sviluppati altri radio-traccianti, che consentono la visualizzazione di specifici obiettivi di proteine nel cervello, e sono il composto Pittsburgh B (PIB) e il florbetapir recentemente approvato che si legano all'amiloide e il FDDNP, che si lega sia all'amiloide che alla tau. Gli studi sul FDDNP hanno correlato il declino cognitivo al grado e alla posizione dell'accumulo di amiloide e di tau; l'amiloide si accumula preferenzialmente nella regione temporale laterale, mentre la tau è più prominente nei lobi temporali mediali.
Combinare marcatori diagnostici potrebbe rivelarsi l'approccio più utile alla diagnosi di AD. Uno studio del 2013 di Prestia e colleghi ha valutato l'atrofia ippocampale, la diminuzione di amiloide nel CSF, e il ridotto metabolismo del glucosio cerebrale in 73 pazienti con decadimento cognitivo lieve. Tra coloro senza biomarcatori positivi, solo il 4% ha sviluppato AD; tutti i pazienti positivi su tutti i 3 biomarcatori alla fine sono progrediti all'AD. Eppure, mentre i profili dei biomarcatori di AD sono sempre più comuni negli ambienti accademici e di ricerca, la limitata efficacia delle attuali terapie li ha in gran parte esclusi dalla pratica clinica. Al momento, una diagnosi più accurata di AD offre benefici limitati al paziente.
"La gente entra chiedendo queste scansioni di moda, e possiamo farle", ha osservato Small. "Ma la domanda è: 'Quanto cambieranno il corso del trattamento?' Dobbiamo trovare i biomarcatori che predicono le risposte al trattamento, ma non ci siamo ancora".
Approfondimenti genetici
I progressi genetici aggiungono comprensione dell'AD. I primi studi genetici hanno esaminato le famiglie con modelli di ereditarietà autosomica dominante, cioè che coinvolgono mutazioni dei geni presenilina e APP che provocano la malattia ad esordio precoce. Anche se questi pazienti rappresentano meno dell'1% di coloro che sviluppano AD, quelli con una storia familiare di AD possono essere testati per le mutazioni e ricevere consulenza genetica. Il Dominantly Inherited Alzheimer Network è una iniziativa internazionale continua e multicentrica, che studia le famiglie con una variante genetica rara che causa AD ad insorgenza precoce. La speranza è svelare ciò che provoca l'AD e come si sviluppa preclinicamente la malattia.
Il gene di rischio APOE ε4 è molto più comune, presente in più di 1 persona su 5, e in genere si traduce in AD a tarda insorgenza. Ma, come ha sottolineato Small, "non è né necessario né sufficiente per ottenere la malattia". Uno studio dell'Università di Washington ha scoperto che le persone con APOE ε4 non hanno demenza e hanno meno amiloide nel cervello di coloro che fanno esercizio fisico. "Quindi quella genetica non è tutta la storia", ha commentato Small.
Gli studi di associazione sull'intero genoma hanno permesso di identificare una serie di altri geni associati all'AD a tarda insorgenza, compresi BIN1, CLU, PICALM e CR1. Tra loro c'è il TREM2, mutazione rara ma che, quando presente, triplica il rischio di AD. Da notare che la proteina TREM2 viene espressa sulla superficie della microglia, sostenendo una crescente scuola di pensiero che la patogenesi di AD coinvolge una iperattività infiammatoria. Come ha sottolineato Small, molti dei comportamenti connessi con la prevenzione di AD - esercizio fisico, dieta, abitudini di sonno sano - sono in realtà strategie anti-infiammatorie. L'infiammazione è un processo fisiologico normale che aiuta a riparare e a proteggerci da stimoli nocivi come traumi o infezioni. Ma con l'invecchiamento, i nostri sistemi infiammatori diventano eccessivamente attivi, rappresentando un potenziale bersaglio fisiopatologico nel trattamento del declino cognitivo.
Small ha quindi presentato i dati del suo gruppo, raccolti combinando test genetici e di imaging, parlando ancora dell'importanza di combinare marcatori diagnostici. Le scansioni FDG-PET hanno scoperto che nelle persone anziane con APOE ε4, il metabolismo del glucosio in alcune regioni del cervello può essere ridotto di quasi il 20%. Un'altro studio di risonanza magnetica funzionale ha scoperto che il cervello dei portatori di questo rischio genetico di AD in realtà lavorano di più sul test di memoria per completare lo stesso compito.
Quali interventi funzionano?
"L'obiettivo è proteggere il cervello sano, piuttosto che riparare un cervello danneggiato", ha continuato Small, passando alla prevenzione e alle strategie di trattamento, "e sviluppare farmaci che modificano la malattia", notando che, purtroppo, i farmaci attualmente disponibili sono principalmente sintomatici. Eppure, farmaci come il donepezil, la memantina e la rivastigmina danno benefici ai pazienti e possono rallentare la progressione clinica. "Se si tolgono i farmaci ai pazienti troppo presto, essi peggiorano rapidamente", ha detto Small. Si ritiene che i farmaci che eliminano l'amiloide dal cervello costituiscano un approccio potenziale modificante la malattia, quello che ha ricevuto la maggiore attenzione dalla ricerca. Tuttavia, questo effetto deve ancora uscire fuori. Sono in corso anche studi per esaminare varie altre strategie preventive per l'AD, tra cui i trattamenti anti-tau e anti-infiammatori, farmaci che abbassano il colesterolo, e uno spray nasale di insulina, sviluppato a seguito dell'associazione tra diabete e AD.
Le terapie anti-infiammatorie possono essere particolarmente promettenti nel rallentare la progressione dell'AD. Uno studio di Small e colleghi del 2008aveva scoperto che il trattamento anti-infiammatorio aumenta la cognizione e la funzione del cervello nel normale invecchiamento; tuttavia, per adesso egli non consiglia gli antinfiammatori per la salute del cervello a causa dei dati limitati e degli effetti collaterali.
I MacArthur Studies of Successful Aging suggeriscono che la genetica può spiegare solo un terzo del rischio di AD, il resto dipende da fattori non genetici, suggerendo un ruolo importante per la modifica dello stile di vita nella prevenzione di AD. Small ha usato il resto del suo discorso a rivedere i fattori di stile di vita ritenuti in grado di influenzare la salute del cervello e l'invecchiamento: (1) condizionamento fisico, (2) stimolazione mentale, (3) gestione dello stress, e (4) nutrizione.
Di tutti gli approcci di stile di vita che potrebbero contribuire alla prevenzione dell'AD, le prove più convincenti sono quelle sull'esercizio fisico. Gli animali attivi hanno un ippocampo più grande, mentre gli anziani che camminano regolarmente - anche solo 15 minuti al giorno - hanno un minor rischio di AD. Le persone che fanno esercizio abitualmente mostrano migliori capacità cognitive ed hanno realmente un cervello più grande. L'esercizio fisico regolare comporta anche PiB e FDDNP meno vincolanti nel cervello, tau ridotta nel CSF e più amiloide nel CSF, tutti i marcatori di un minore rischio di AD.
Stimolazione mentale
Leggere, scrivere, e fare cruciverba: le attività mentalmente stimolanti e alcuni programmi di allenamento del cervello sono associati nel lungo periodo a livelli di amiloide cerebrale più bassi e a un minore rischio di AD, come lo sono una laurea o l'impegno nell'apprendimento permanente. Tuttavia, come ha sottolineato Small, dati come questi sono inficiati dall'enigma uovo-gallina: "Sono le persone con buoni geni nel cervello che vanno più spesso all'università, o è l'arricchimento mentale ad essere [efficace]?" si chiede Small. "Penso che probabilmente è una combinazione dei due".
Molti temono che la nostra crescente dipendenza dalla tecnologia ostacola la stimolazione mentale; che la dipendenza digitale farà nei fatti accelerare il deterioramento neurologico. Small ha citato un recente servizio su Atlantic, "Google ci sta rendendo stupidi?". Il suo gruppo all'UCLA ha voluto chiarirlo. Il loro studio ("Il tuo cervello su Google") ha esaminato l'attività cerebrale di volontari di ricerca estranei ad Internet, persone che letteralmente non avevano mai usato internet. "Erano difficili da trovare, e ho subito capito che non potevo arruolarli online", ha scherzato Small.
Utilizzando la risonanza magnetica funzionale, il suo team di ricerca ha confrontato l'attività cerebrale degli internet-naive con persone di controllo esperte di Internet, chiedendo di fare ricerche on-line oppure di leggere informazioni su un libro. I soggetti Internet-naive avevano una attività minima in regioni del cervello previste durante la lettura di un libro e attività cerebrale simile durante la ricerca on-line per la prima volta. Quando gli esperti di Internet hanno fatto ricerca online, c'è stato un aumento di 2 volte nell'attività in tutto il cervello rispetto all'interpretazione del libro e in confronto ai volontari Internet-naive. E dopo appena una settimana di ricerca on-line, i soggetti Internet-naive hanno dimostrato un aumento significativo dell'attività cerebrale nelle aree responsabili della memoria di lavoro e di decisione, probabilmente dovuta al processo decisionale e all'impegno necessari per navigare in Internet. Almeno in questo caso, impegnarsi con la tecnologia in realtà aumenta la stimolazione mentale. Tuttavia, come molti compiti, una volta che si diventa più abili nella ricerca on-line, l'attività diminuisce poichè il cervello diventa più efficiente a farlo.
Small e colleghi utilizzano una serie di stimoli mentali e tecniche di compensazione al Longevity Center dell'UCLA. I loro programmi di fitness della memoria e i campi di addestramento del cervello possono essere dati in licenza d'uso e mostrano effetti significativi sulla memoria e sull'efficienza del cervello. Un approccio più semplice consigliato da Small si chiama "Guarda, Scatta, Collegati", che incoraggia i pazienti a prendere "istantanee mentali" e a creare associazioni significative. Può sembrare stupido, ma funziona. Quindi ha sparato 8 parole e ha chiesto al pubblico di creare una storia visiva in testa per aiutare a ricordarle: spiaggia, professore, cavallo, orso di peluche, sigaro, suora, palma, e pasta.
Mangiare correttamente e rilassarsi
Lo stress è un fattore noto di compromissione e declino cognitivo. Il lavoro con animali di Sapolsky e altri ha legato lo stato di stress al deficit di memoria e a una ridotta dimensione del cervello; in particolare, i glucocorticoidi rilasciati durante lo stress sembrano compromettere la plasticità neuronale e portare ad atrofia dendritica, specificamente nell'ippocampo. Uno studio del 2012 sui ratti ha trovato che gli ormoni dello stress alterano il funzionamento corticale prefrontale, che colpisce la flessibilità mentale e l'attenzione.
Studi nell'uomo hanno dimostrato che lo stress cronico porta ad un aumento del rischio di demenza, AD, e a depressione. In un'altro sessione del 2013 dell'APA - per caso presieduta dal dottor Small - Helen Lavretsky, MD, anch'essa del Semel Institute dell'UCLA, ha presentato i dati mostranti che, oltre a indurre solo rilassamento, la meditazione colpisce i biomarcatori dell'infiammazione e l'attività della telomerasi. Small consiglia di gestire lo stress con la psicoterapia e con approcci di rilassamento personalizzati.
Anche il controllo del peso e l'alimentazione hanno ruoli importanti nella salute del cervello. Diversi studi supportano un'associazione tra sovrappeso e aumento del rischio di demenza, compreso un recente studio sui gemelli controllato per sesso, educazione, diabete, ipertensione, ictus e malattie cardiache. Il lavoro contemporaneo ha trovato che la funzione cognitiva migliora significativamente nei pazienti obesi sottoposti a chirurgia bariatrica.
La dieta mediterranea ad alto contenuto di acidi grassi omega-3 migliora la memoria di lavoro e riduce il rischio di decadimento cognitivo lieve (per DSM-5, disturbi neurocognitivi lievi) ed AD. Frutta e verdura ricchi di antiossidanti migliorano la cognizione, mentre gli zuccheri raffinati e i grassi trans la compromettono. Anche un consumo moderato di alcol (definito in molti studi come max 1 bicchiere al giorno per le donne e max 2 bicchieri al giorno per gli uomini) è associato ad una migliore salute del cervello, probabilmente dovuta sia ad effetti di rilassamento che, nel caso dei vini rossi, all'alto contenuto del composto antiinvecchiamento resveratrolo. Sono ora disponibili integratori di resveratrolo, però non è certo che il composto in questa forma riesca ad attraversare la barriera emato-encefalica: "Quindi, se si prendono capsule di resveratrolo, assicurarsi di lavarle con del buon Bordeaux", ha scherzato Small.
Altri approcci e conclusioni
Il gruppo di Small sta eseguendo un esperimento per verificare se la curcumina, un composto anti-infiammatorio presente nella curcuma, rallenta l'accumulo di amiloide e tau nel cervello. Le aree con diete ricche di curcuma e curry, come l'India, hanno un tasso più basso di AD. Un altro studio all'UCLA sta verificando l'estratto di melograno, poichè un consumo giornaliero è associato a un miglioramento della memoria verbale.
Altri approcci di stile di vita che possono beneficiare la cognizione prevedono di evitare attività potenzialmente traumatiche alla testa, evitare di fumare, avere un atteggiamento positivo, e un trattamento adeguato delle malattie legate all'età come l'ipertensione e l'ipercolesterolemia. Il trauma cranico, in particolare, è un importante argomento di studio poichè la disfunzione cognitiva progressiva e psichiatrica tra gli atleti, a causa dell'encefalopatia traumatica cronica (CTE), è diventata sempre più evidente. In uno studio pubblicato quest'anno, il gruppo di Small ha esaminato gli schemi di legatura FDDNP nel cervello dei giocatori NFL in pensione. Gli accumuli di tau sono stati trovati con un modello simile a quello visto nella CTE sull'autopsia, suggerendo una analisi potenziale per la condizione.
In chiusura, Small ha riproposto la domanda: "Allora, possiamo controllare la nostra salute del cervello e prevenire l'Alzheimer? Se si pensa al termine 'prevenzione' nel senso di 'cura' la risposta è no. Ma se fissiamo l'obiettivo più modesto di anticipare i sintomi, penso che l'evidenza suggerisca che è possibile", ha concluso Small, citando i vari stili di vita sani e le strategie compensative elencati nell'ultima ora.
Ha poi chiesto al pubblico se riuscivano a ricordare le 8 parole che aveva presentato in precedenza in base alla loro storia. Uno psichiatra coraggioso si è avvicinato al microfono: "Ero in spiaggia la scorsa settimana a La Jolla, quando un professore di Alzheimer dell'UCLA è apparso a cavallo e tenendo il suo orsacchiotto. Egli ha rivelato che c'è un ulteriore risultato nello studio sulla suora, che comprende il fatto che se le persone si appendono agli alberi di palma mentre fumano un sigaro avvolto con spaghetti, hanno ottime possibilità di sopravvivere all'Alzheimer". [Applauso]
Pubblicato da Bret S. Stetka, MD in Medscape Today (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi citati nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.
Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non dipende da, nè impegna l'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X. I siti terzi raggiungibili da eventuali links contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari proposti da Google sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.
Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.
Sostieni l'Associazione; una donazione, anche minima, ci aiuterà ad assistere malati e famiglie e continuare ad informarti. Clicca qui a destra: |