I ricercatori della Australian Sports Brain Bank (ASBB) hanno riferito la prima diagnosi mondiale di encefalopatia traumatica cronica (CTE) in una atleta donna. Con il consenso della famiglia, è stata fatta la diagnosi sul cervello di Heather Anderson, una atleta dell'AFLW di 28 anni che è morta lo scorso novembre. La famiglia di Heather ha donato il suo cervello alla ASBB sperando di capire meglio perché è morta.
I risultati, di cui il professor Alan Pearce è stato co-autore con la ASBB, sollevano domande su come una vita di sport di contatto potrebbe aver contribuito alla sua morte. Arrivano mentre è in atto l'indagine del Senato australiano sul suo rapporto sulle commozioni cerebrali e trauma cranici ripetuti nello sport di contatto, che si concluderà in agosto.
Dato il modo in cui le donne hanno combattuto per partecipare agli sport di contatto negli ultimi anni, questa diagnosi ha importanti implicazioni per lo sport femminile in Australia. Sottolinea anche la significativa mancanza di ricerca sulle donne atlete nella scienza dello sport e nella medicina.
Cos'è l'encefalopatia traumatica cronica (CTE)?
La CTE è una forma devastante di demenza che provoca un declino del funzionamento del cervello e un aumento del rischio di malattia mentale. È sempre più associata agli atleti che praticano sport di contatto, come calcio/football, boxe e arti marziali. È incurabile e può essere diagnosticata solo post mortem.
Di recente, un certo numero di ex calciatori australiani di alto profilo soffrivano di CTE quando sono morti, tra cui le ex star dell'AFL Danny Frawley e Shane Tuck e l'ex giocatore e allenatore della NRL Paul Green. Le commozioni cerebrali negli sport di contatto sono da tempo associate alla neurodegenerazione a lungo termine in Australia e a livello internazionale.
Mentre il pubblico e i ricercatori sono giustamente preoccupati per le gravi commozioni cerebrali, uno studio pubblicato il mese scorso su Nature Communications ha confermato che traumi cerebrali ripetuti nel tempo - anche colpi di testa apparentemente miti - sono il predittore più forte di sviluppo di CTE per un atleta. Gli atleti con una lunga carriera nello sport di contatto hanno un rischio particolare, soprattutto se giocano fin dalla tenera età.
Una vita sportiva
Heather Anderson ha iniziato a giocare nella Rugby League all'età di 5 anni prima di passare al football australiano nella prima adolescenza. Ha giocato nel Territorio della Capitale Australiana e nel Territorio del Nord prima di essere arruolata nella stagione inaugurale dell'AFLW nel 2017. La Anderson ha giocato una sola stagione con le Adelaide Crows, con le quali ha vinto una premiership e ha subito un infortunio alla spalla che ne ha interrotto la carriera.
Quindi è tornata al suo ruolo di operatore medico con l'esercito australiano, una carriera fisica che comporta essa stessa un aumento del rischio di lesioni cerebrali. La famiglia di Anderson ha donato il suo cervello nella speranza di sapere se una vita di esposizione al trauma cranico ripetitivo ha contribuito alla sua morte.
Questa diagnosi era prevista?
La ricercatrice sulle commozioni cerebrali Anne McKee ha previsto all'inizio di quest'anno che era solo una questione di tempo prima che la CTE fosse trovata nel cervello di una donna atleta. La squadra dell'ASBB crede che la Anderson sia un 'caso sentinella' da cui possiamo imparare. È la prima atleta con diagnosi di CTE, ma non sarà l'ultima.
Sebbene le donne australiane siano state storicamente escluse dagli sport più associati a lesioni ripetute alla testa, questo sta cambiando. Nel 2022, c'era quasi un milione di donne e ragazze che giocavano una qualche forma di sport di contatto in Australia. Mentre la partecipazione delle donne allo sport di contatto continua a crescere, così è anche per il loro rischio di trauma cerebrale ripetitivo.
Le donne sono più inclini al CTE degli uomini?
Esistono prove emergenti che le donne hanno un rischio significativamente più elevato di lesioni cerebrali traumatiche lievi (commozione cerebrale) e possono soffrire di sintomi più gravi. La sola commozione cerebrale non causa CTE, ma il numero di commozioni cerebrali di un atleta è un indicatore affidabile della sua esposizione cumulata al trauma cerebrale, che è il più grande predittore di CTE.
Mentre si sta ancora sviluppando la conoscenza sull'argomento, i ricercatori propongono un mix di spiegazioni fisiologiche e sociali per l'aumento del rischio di commozione cerebrale delle donne. Queste includono "… differenze nella microstruttura del cervello, influenza degli ormoni, regimi di allenamento, livello di esperienza delle giocatrici e gestione degli infortuni".
Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere le lesioni cerebrali sportive specificamente in donne e ragazze. Data la crescita della loro partecipazione e i rischi potenziati che affrontano nello sport, è preoccupante che le donne e le ragazze siano sotto-rappresentate nella ricerca sulla commozione cerebrale.
Ciò rappresenta una tendenza più ampia nella ricerca delle scienze dello sport e dell'esercizio a escludere le donne dagli studi perché il loro corpo è percepito come più complesso di quello degli uomini e quindi più difficile da ospitare nei test.
Una malattia che non discrimina
Questo primo rapporto a livello mondiale di CTE in un'atleta donna è la prova che la malattia non discrimina e conferma l'urgenza di coinvolgere di più le donne negli studi sulle lesioni cerebrali. Gli sforzi per ridurre la commozione cerebrale nello sport femminile devono prima affrontare le disuguaglianze delle risorse tra sport maschile e femminile.
Ciò include il dare alle donne l'accesso a formazione di qualità e supporto tecnico, nonché una maggiore attenzione da parte della scienza dello sport e della ricerca medica. La salute delle donne atlete e dello sport femminile migliorerà solo se ricercatori, politici e organismi di governo dello sport assicureranno che l'attenzione e le risorse necessarie per affrontare la commozione cerebrale e le malattie cerebrali non si concentrino esclusivamente sugli uomini.
Fonte: Stephen Townsend (docente Università del Queensland), Alan Pearce (professore La Trobe University) e Rebecca Olive (ricercatrice senior RMIT University)
Pubblicato su The Conversation (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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