Pianificare in anticipo per alleviare le sfide morali ed etiche dell'Alzheimer

3 Mag 2024 | Esperienze & Opinioni

Quali sono alcune delle sfide morali o etiche dell'Alzheimer?

 

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Donne che si prendono cura
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Ven, 10 Mag '24  20:30 > 22:00   Auto Mutuo Aiuto
Gruppo Auto-Mutuo-Aiuto Altivole
Riscoprirsi risorsa tra persone unite dallo stesso problema, partecipando ai Gruppi ...
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Donne che si prendono cura
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Gruppo Auto-Mutuo-Aiuto Valdobbiadene
Riscoprirsi risorsa tra persone unite dallo stesso problema, partecipando ai Gruppi ...
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Sostegno Psicologico Ottobre 2023

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Bilinguismo potrebbe compensare i cambiamenti cerebrali dell'AlzheimerDopo oltre un decennio di ricerche, questo sappiamo: è un bene che il tuo cervello conosca un'altra lingua.


Un nuovo studio eseguito alla Concordia University va oltre, concentrandosi in particolare sugli effetti della conoscenza di una seconda lingua per i pazienti con morbo di Alzheimer (MA) e lieve deterioramento cognitivo (MCI) che è uno stato di rischio del MA.


"La maggior parte delle ricerche precedenti sulla struttura del cervello è stata condotta su adulti sani, giovani o anziani", afferma Natalie Phillips, professore nel Dipartimento di Psicologia. "Il nostro nuovo studio contribuisce a confermare l'ipotesi che parlare due lingue può esercitare delle aree specifiche del cervello e aumentare lo spessore corticale e la densità della materia grigia. Ed estende questi risultati, dimostrando che queste differenze strutturali sono presenti nel cervello di pazienti multilingue con MA e MCI".


Lo studio di Phillips, condotto dalla neolaureata in psicologia Hilary D. Duncan, è pubblicato su Neuropsychologia di gennaio 2018.

 

Nuovi metodi: ecco la risonanza magnetica

Phillips e il suo team sono i primi a usare i dati ad alta risoluzione di risonanza magnetica dell'intero cervello e sofisticate tecniche di analisi per misurare lo spessore corticale e la densità dei tessuti all'interno di specifiche aree del cervello.


In particolare, hanno studiato le aree di controllo del linguaggio e della cognizione nelle regioni frontali del cervello e nelle strutture del lobo temporale mediale che sono importanti per la memoria e sono aree cerebrali note per atrofizzarsi nei pazienti con MCI e MA. "Gli studi precedenti hanno usato le scansioni CT, che sono una misura molto meno sensibile", afferma Phillips, direttore e fondatore del Laboratorio di Cognizione, Invecchiamento e Psicofisiologia della Concordia.


Lo studio ha esaminato la risonanza magnetica di pazienti del Jewish Memory Hospital Hospital di Montreal. Il campione comprendeva 34 pazienti con MCI monolingui, 34 pazienti con MCI multilingue, 13 pazienti monolingui con MA e 13 pazienti con MA multilingue.


Phillips ritiene che il loro studio sia il primo a valutare la struttura delle regioni di controllo del linguaggio e del controllo cognitivo dei pazienti con MCI e MA. È anche il primo a dimostrare un'associazione tra quelle aree del cervello e la funzione della memoria in questi gruppi, e il primo a controllare il loro stato dell'immigrazione.

"I nostri risultati contribuiscono alla ricerca che indica che parlare più di una lingua è uno dei numerosi fattori di stile di vita che contribuiscono alla riserva cognitiva"
, dice Phillips. "E supportano l'idea che il multilinguismo e i relativi benefici cognitivi e socioculturali siano associati alla plasticità cerebrale".


Phillips e il suo team stanno già sviluppando le loro scoperte.

Il nostro studio sembra suggerire che i multilingua sono in grado di compensare la perdita di tessuto correlato al MA accedendo a reti alternative o ad altre regioni del cervello per elaborare la memoria. Stiamo studiando attivamente questa ipotesi ora.

 

 

 


Fonte: Concordia University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Hilary D. Duncan, Jim Nikelski, Randi Pilon, Jason Steffener, Howard Chertkow, Natalie A. Phillips. Structural brain differences between monolingual and multilingual patients with mild cognitive impairment and Alzheimer disease: Evidence for cognitive reserve. Neuropsychologia, 2018; 109: 270 DOI: 10.1016/j.neuropsychologia.2017.12.036

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