Rischi più alti subito dopo l'inizio della somministrazione suggeriscono maggiore cautela nelle prime fasi del trattamento, affermano gli esperti
L'uso di antipsicotici nelle persone con demenza è associato a rischi più elevati di una vasta gamma di esiti gravi sulla salute rispetto al non uso, secondo un nuovo studio frutto della collaborazione tra le università di Manchester, Nottingham, Edimburgo e Dundee. Tassi più elevati di ictus, coaguli di sangue, infarto, insufficienza cardiaca, fratture, polmonite e lesioni renali acute sono stati osservati nello studio finanziato dal National Institute for Health and Care Research (NIHR) e pubblicati su BMJ il 17 aprile 2024.
I risultati mostrano una serie considerevolmente più ampia di danni associati all'uso di antipsicotici nelle persone con demenza, rispetto a quanto riconosciuto in precedenza sugli avvisi regolatori, con i rischi più alti presenti poco dopo aver avviato i farmaci. Ciò sottolinea la necessità di una maggiore cautela nelle prime fasi del trattamento.
Nonostante i problemi di sicurezza, gli antipsicotici continuano ad essere ampiamente prescritti per i sintomi comportamentali e psicologici della demenza come apatia, depressione, aggressività, ansia, irritabilità, delirio e psicosi. Gli avvertimenti normativi precedenti per la prescrizione di antipsicotici per questi sintomi si basavano sull'evidenza di maggiori rischi di ictus e morte, ma l'evidenza di altri esiti avversi era meno conclusiva nelle persone con demenza.
Per affrontare questa incertezza, i ricercatori dell'Università di Manchester hanno deciso di studiare i rischi di diversi esiti avversi potenzialmente associati all'uso di antipsicotici nelle persone con demenza: ictus, coaguli rilevanti di sangue (tromboembolia venosa), attacco di cuore (infarto del miocardio), insufficienza cardiaca, ritmo cardiaco irregolare (aritmia ventricolare), fratture, polmonite e lesioni renali acute.
Usando i dati delle cure primarie, ospedaliere e della mortalità in Inghilterra, hanno identificato 173.910 persone (63% donne) con diagnosi di demenza a un'età media di 82 anni tra gennaio 1998 e maggio 2018 a cui non era stato prescritto un antipsicotico nell'anno prima della diagnosi.
Ognuno dei 35.339 pazienti che ha avuto la prescrizione di un antipsicotico al momento o dopo la diagnosi di demenza è stato quindi abbinato con un massimo di 15 pazienti selezionati casualmente che non avevano usato antipsicotici. Gli antipsicotici più prescritti erano risperidone, quetiapina, aloperidolo e olanzapina, che insieme rappresentano quasi l'80% di tutte le prescrizioni. Sono stati inoltre presi in considerazione fattori potenzialmente influenti, come caratteristiche personali del paziente, stile di vita, condizioni mediche preesistenti e farmaci prescritti.
Rispetto al non-uso, gli antipsicotici erano associati ad un aumento dei rischi per tutti gli esiti, ad eccezione dell'aritmia ventricolare. Ad esempio, nei primi tre mesi di trattamento, il tasso di polmonite tra gli utenti di antipsicotici era del 4,48% contro l'1,49% dei non utenti. A un anno, questo è salito al 10,41% per gli utenti di antipsicotici contro il 5,63% dei non utenti. Tra gli utenti di antipsicotici erano elevati anche i rischi di lesioni renali acute (aumento del rischio di 1,7 volte), nonché di ictus e di tromboembolismo venoso (aumento del rischio di 1,6 volte) rispetto ai non utenti.
Per quasi tutti gli esiti, i rischi sono stati più alti durante la prima settimana di trattamento antipsicotico, in particolare per la polmonite. I ricercatori stimano che nei primi 6 mesi di trattamento, l'uso di antipsicotici potrebbe essere associato a un caso ulteriore di polmonite per ogni 9 pazienti trattati e un infarto ulteriore per ogni 167 pazienti trattati. A due anni, potrebbe esserci un caso ulteriore di polmonite ogni 15 pazienti trattati e un infarto ulteriore per ogni 254 pazienti trattati.
Questa è stata una grande analisi basata su dati sanitari affidabili e tuttavia, poiché si trattava di uno studio osservazionale, non si possono trarre conclusioni ferme tra causa ed effetto. E sebbene sia stata adattata una serie di fattori, non si può escludere la possibilità che altre variabili non misurate possano aver influenzato i risultati.
L'autore senior prof. Darren M Ashcroft, dell'Università di Manchester, direttore della NIHR Greater Manchester Patient Safety Research Collaboration (PSRC) e ricercatore senior del NIHR ha dichiarato:
“Negli ultimi anni, è diventato chiaro che si prescrivono farmaci antipsicotici a sempre più persone con demenza, nonostante le avvertenze di sicurezza normativa esistenti. È importante che tutti i potenziali benefici del trattamento con antipsicotici siano ponderati con attenzione rispetto al rischio di gravi danni e che i piani di trattamento siano regolarmente rivisti in tutte le strutture sanitarie e di assistenza".
Il coautore prof. Tony Avery OBE, della University of Nottingham e ricercatore senior del NIHR, ha dichiarato:
“Da molti anni ci sono preoccupazioni per la sicurezza sull'uso degli antipsicotici per gestire i sintomi comportamentali e psicologici della demenza, con segnalazioni di un aumento del rischio di ictus e morte. Il nostro studio mostra che l'uso di antipsicotici in questo gruppo di pazienti è associato anche ad altri danni tra cui polmonite, tromboembolia venosa, infarto miocardico, insufficienza cardiaca, fratture e lesioni renali acute. Ciò significa che è ancora più importante tenere conto del rischio di danni nel prescrivere questi medicinali, e usare approcci alternativi ove possibile".
Il primo autore dott. Pearl Mok, ricercatore dell'Università di Manchester, ha dichiarato:
“Con la previsione di un numero notevolmente superiore di persone con demenza nei prossimi anni, sono necessarie ulteriori ricerche su farmaci più sicuri e trattamenti non farmacologici più efficaci per i sintomi comportamentali e psicologici della demenza".
Fonte: University of Manchester (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: PLH Mok, [+8], DM Ashcroft. Multiple adverse outcomes associated with antipsychotic use in people with dementia: population based matched cohort study BMJ, 2024, DOI
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