Due anni fa, ricercatori della University of California Los Angeles (UCLA) hanno scoperto che specifiche regioni del cervello dei meditatori da lungo tempo sono più grandi e hanno più materia grigia rispetto ai cervelli di individui di un gruppo di controllo. Questo ha suggerito che la meditazione può effettivamente essere un bene per tutti noi in quanto, ahimè, i nostri cervelli si riducono naturalmente con l'età.
Ora, un seguito dello studio suggerisce che le persone che meditano hanno anche forti connessioni tra regioni del cervello e mostrano minore atrofia cerebrale legata all'età.
Avere forti connessioni influenza le capacità di connettere rapidamente segnali elettrici nel cervello. E significativamente, questi effetti sono evidenti in tutto il cervello, non solo in aree specifiche.
Eileen Luders, assistente professoressa al Laboratory of Neuro Imaging dell'UCLA, e colleghi, hanno usato un tipo di scansione cerebrale nota come "imaging del tensore di diffusione" (DTI), una modalità di visualizzazione relativamente nuova che fornisce immagini della connettività strutturale del cervello.
Hanno trovato che le differenze tra i meditatori e i controlli non sono limitate a una regione particolare del cervello, ma coinvolgono reti su larga scala che includono i lobi frontali, temporali, parietali e occipitali e il corpo calloso anteriore, così come le strutture limbiche e il tronco cerebrale. Lo studio compare nell'edizione corrente online della rivista NeuroImage.
"I nostri risultati suggeriscono che i meditatori a lungo termine hanno fibre di sostanza bianca, che sono o più numerosi / più densi o più isolati in tutto il cervello", ha detto la Luders. "Abbiamo anche scoperto che il normale declino relativo all'età del tessuto di sostanza bianca è notevolmente ridotto nei praticanti attivi della meditazione".
Lo studio consisteva di 27 praticanti attivi della meditazione (età media 52 anni) e 27 soggetti di controllo, che sono stati appaiati per età e sesso. I gruppi di meditatori e quello di controllo erano composti ciascuno da 11 uomini e 16 donne. Il numero di anni di pratica meditativa variava da 5 a 46; gli stili di meditazione auto-riferiti comprendevano Shamatha, Vipassana e Zazen, stili praticati da circa il 55 per cento dei meditatori, esclusivamente o in combinazione con altri stili.
I risultati hanno mostrato una connettività strutturale pronunciata nei meditatori in tutti i percorsi dell'intero cervello. Le maggiori differenze tra i due gruppi sono state viste all'interno del tratto corticospinale (una raccolta di assoni che viaggiano tra la corteccia cerebrale del cervello e il midollo spinale); nel Fasciculus longitudinale superiore (lunghi fasci di neuroni bi-direzionali che collegano la parte frontale e posteriore del cervello); e il Fasciculus uncinato (materia bianca che collega le parti del sistema limbico, come l'ippocampo e l'amigdala, con la corteccia frontale).
"E' possibile che meditare attivamente, specialmente per un lungo periodo di tempo, possa indurre modifiche su un micro-livello anatomico", ha detto la Luders, lei stessa meditatrice.
"Di conseguenza", ha detto, "la robustezza delle connessioni in fibra dei meditatori può aumentare e portare a effetti macroscopici visti dal DTI. La meditazione, tuttavia, potrebbe non solo causare cambiamenti nell'anatomia cerebrale inducendone la crescita, ma anche impedendo la riduzione. Cioè, se praticata con regolarità e nel corso degli anni, la meditazione può rallentare l'atrofia cerebrale leata all'invecchiamento, magari influenzando positivamente il sistema immunitario".
Ma c'è un "ma". Mentre si è tentati di supporre che le differenze tra i due gruppi costituiscono veri effetti indotti dalla meditazione, c'è ancora da chiarire la natura ed come educare. "Per cominciare e' possibile che i meditatori possano avere cervelli che sono fondamentalmente diversi" dice la Luders. "Per esempio, una particolare anatomia del cervello può predisporre un individuo alla meditazione o contribuire a mantenere una pratica continua - il che significa che la connettività in fibra migliorata nei meditatori costituisce una predisposizione verso la meditazione, piuttosto che essere la conseguenza della pratica".
Eppure, ha detto, "la meditazione sembra essere un esercizio mentale potente con la possibilità di cambiare la struttura fisica del cervello nel suo insieme. Raccogliere dati che le pratiche di meditazione attiva, frequente e regolare causano alterazioni profondi e sostenibile di tratti di fibre della sostanza bianca, può diventare rilevante per le popolazioni di pazienti affetti da demielinizzazione assonale e atrofia della sostanza bianca. Ma sono necessarie ulteriori ricerche prima di portare la meditazione negli studi di sperimentazione clinica".
Co-autori dello studio sono Kristi Clark, Katherine L. Narr e Arthur W. Toga. Lo studio è stato finanziato dal Brain Mapping Center dell'UCLA, dal Brain Mapping Medical Research Organization, dal Robson Family and Northstar Fund, e dalle seguneti fondazioni: Bain Mapping Support, Pierson-Lovelace, Ahmanson, Tamkin, William M. & Linda R. Dietel Philanthropic Fund della Northern Pieemont Community, Jennifer Jones-Simon, Capital Group Companies, Human Brain Project e dai National Institutes of Health. Gli autori non riportano alcun conflitto di interesse.
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Fonte: Materiale della University of California - Los Angeles. L'articolo originale è stato scritto da Mark Wheeler.
Riferimento: Eileen Luders, Kristi Clark, Katherine L. Narr, Arthur W. Toga. Enhanced brain connectivity in long-term meditation practitioners. NeuroImage, 2011; DOI: 10.1016/j.neuroimage.2011.05.075.
Pubblicato in ScienceDaily il 13 luglio 2011 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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