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Prendersi cura del caregiver nel pronto soccorso

La signora G è nel pronto soccorso da ore. Un lavoro esaustivo non ha trovato alcuna causa seria della sua debolezza, il motivo per cui la figlia Rosa (non è il suo vero nome) l'ha portata qui. Dico loro che la signora G sembra essere un po' disidratata e, dopo che le abbiamo dato un po' di fluidi via endovena, può tornare a casa.


Gli occhi della signora G si illuminano. Quelli di sua figlia diventano vuoti. Rosa si asciuga una lacrima che le scorre lungo la guancia. Sento che lei si aspettava, forse addirittura sperava, che sua madre dovesse rimanere in ospedale, anche solo per la notte.


Il pacco di scartoffie che Rosa mi ha dato quando sono arrivate racconta il calvario della vita della signora G: insufficienza cardiaca congestizia, diabete, pressione alta, lieve insufficienza renale, osteoporosi, depressione e demenza precoce. Descrive anche il suo ultimo ricovero in ospedale per polmonite, una lunga permanenza che le ha lasciato un'ulcera aperta sulla pelle sopra l'osso sacro che, dopo mesi, non è ancora guarita. Rosa era preoccupata che stesse covando un'altra polmonite.


"Mi piacerebbe vedere tua madre bere qualcosa", dico a Rosa. Poi mi sono ripreso; stavo mancando di rispetto alla signora G, parlando di lei, ma con sua figlia. Dopo decenni di professione di medico, dovrei saperlo bene. Che un paziente anziano sieda in silenzio non significa che non abbia da dire qualcosa sulle sue cure; che lei abbia una diagnosi di demenza non implica necessariamente che non possa comprendere quello che sto dicendo.


"Puoi provare a bere qualcosa?" chiedo alla signora G, indicando una tazza piena di ghiaccio e acqua. Rosa piega un lenzuolo e lo fa scivolare dietro la schiena della madre come un cuscino. "Bevi", dice lei. "Hai sentito cosa ha detto il dottore? Devi bere di più". La madre alza gli occhi al cielo. "È testarda" dice Rosa, sorridendo. "Provo di tutto per farla bere. Acqua. Tè. Succo".


I suoi fratelli e sorelle non capiscono quanto sia difficile, dice Rosa, e non sono presenti abbastanza da saperlo. Questa volta il suo sorriso non può nascondere la tensione. Mi rendo conto che la persona più afflitta nella sala d'esame non è la signora G, ma sua figlia, la sua caregiver.


Nel pronto soccorso, il paziente riceve la maggior parte dell'attenzione. I medici impiegano molta meno energia a sondare l'esperienza del caregiver. Come cortesia comune, cerco di presentarmi a tutti quando entro nella stanza dell'esame. Tuttavia riconoscere la presenza del caregiver non è necessariamente un riconoscimento delle sfide che affronta, e spesso non porta a una discussione dei carichi di tale lavoro.


I caregiver sono individui, in genere familiari, che si prendono cura di una o più persone ammalate, fragili o disabili. Le attività di caregiving possono essere divoranti. Includono dar da mangiare, vestire, assistere in toilette, nell'igiene, a fare il bagno, negli acquisti, in cucina, nei lavori di casa e fare il bucato. Il lavoro può estendersi ai trasporti, a gestire le questioni finanziarie, organizzare visite mediche e talvolta prendere la decisione di venire al pronto soccorso (PS).


Anche quando intrapreso da una sorgente perenne di generosità e amore, il caregiving può essere una fonte di esaurimento: fisico, emotivo e psicologico. Il burnout [esaurimento] del caregiver insorge quando gli individui non ricevono l'aiuto di cui hanno bisogno, cercano di gestire troppo o di assumersi compiti che non sono in grado di fare.


Quando i caregiver si ritagliano il tempo per loro stessi, possono sentirsi in colpa per questo, provocando un paradossale peggioramento del loro esaurimento. L'angustia psicologica e le esigenze fisiche del caregiving si riflettono in una vasta gamma di risposte biologiche che includono una guarigione più lenta delle ferite, una pressione elevata e una risposta immunitaria compromessa.


Queste risposte possono richiedere un pedaggio, portando ad un aumento generale della mortalità del caregiver. I caregiver fanno spesso il loro nobile lavoro nell'ombra. È imbarazzante ammetterlo, ma è stato solo quando ho chiesto a Rosa perché fosse così ansiosa che ho capito quanto sembrasse logora, con i capelli spettinati, la mancanza di trucco, la felpa trascurata, i pantaloni larghi e i sandali.


Nonostante i risultati negativi dei test, Rosa si preoccupa ancora del fatto che la leggera febbre apparsa a sua madre all'inizio della giornata potesse indicare qualcosa di serio, come la polmonite. "Non sarebbe più sicuro tenerla in ospedale?" chiede. Spostare sua madre da e verso l'auto è un lavoro ingrato. Non vuole tornare a casa solo per riportarla all'ospedale.


Mi sento di dare uno sguardo diverso alla figlia della signora G. Forse spera di sfruttare i sintomi di sua madre per una pausa, una versione morbida di ciò che è stato chiamato 'scaricamento della nonna'? Ho capito questo concetto durante la prima festa del Ringraziamento nel mio lavoro al PS.


Le famiglie abbandonano i parenti anziani nel pronto soccorso con una valigia piena, lamentele nebulose e poi partono, aspettandosi che l'ospedale si prenda cura di loro. Altri eufemismi pieni di giudizio includono 'segnale positivo della luce di coda' e 'sindrome della valigia imballata'. Non succede solo negli Stati Uniti.


Nel corso della mia formazione, mi sono arrabbiato con queste famiglie, specialmente quando non si fermavano a parlare con i medici. Alla fine, però, l'esperienza mi ha insegnato che questo problema è in genere il risultato di sistemi che non forniscono risorse sufficienti ai caregiver, che spesso affrontano compiti scoraggianti. Questi obblighi equivalgono a posti di lavoro a tempo pieno non retribuiti. Qualcuno potrebbe biasimarli perché cercano una pausa?


Anche prendersi cura dei caregiver può essere difficile. Non è facile per loro pensare ai propri problemi quando sono così concentrati sui bisogni di qualcun altro. Una volta mi sono preso cura di una donna di mezza età con segni di infarto, che comprendevano un elettrocardiogramma preoccupante. Ha rifiutato di rimanere in ospedale per ulteriori valutazioni perché si prendeva cura di sua madre con demenza.


Mi rivolgo quindi a entrambe le signore, G e Rosa: "Mi piacerebbe consultare un assistente sociale", dico. In situazioni come queste, un assistente sociale può essere un membro essenziale del team di trattamento. Può esplorare se il paziente è idoneo per i servizi e, in tal caso, aiutarli a organizzarli. Penso che potrebbe alleggerire il carico di Rosa. Ma lei rifiuta subito. Ha tutto sotto controllo, dice, aggiungendo che non può permettersi servizi extra.


In realtà, potrebbe essere nell'interesse della signora G che Rosa acconsenta a ricevere qualche aiuto nel prendersi cura. Uno studio suggerisce che i pazienti di Medicare assistiti da caregiver con un punteggio elevato della fatica, e basso per lo stato di salute e depressione, incorrono in costi sanitari più elevati, incluse più visite al pronto soccorso.


Si stima che 14,7 milioni di anziani [in USA] ricevano assistenza per le attività quotidiane da parte del coniuge e dei familiari. Solo un quarto dei caregiver si avvale di servizi di supporto, probabilmente perché molti di loro non si percepiscono come caregiver, un termine con connotazioni professionali.


Nel PS, i caregiver sono di più delle altre persone presenti nella stanza. La loro assistenza può essere un tesoro di informazioni e intuizioni quando il paziente ha difficoltà a comunicare con il personale medico. Ma quando emerge la tensione del caregiving, i medici come me hanno la responsabilità di perseguire quelle crepe preoccupanti.


La valutazione dei ruoli, delle capacità, delle vulnerabilità e dei punti di forza del caregiver, quando è fatta bene, è un processo non giudicante condotto da membri esperti dello staff che hanno il tempo e la formazione per capire queste situazioni, spesso complesse, e una profonda comprensione pratica delle possibili soluzioni. Questi esperti sono in genere assistenti sociali o infermieri, ma ci sono validi strumenti di valutazione che servono come guide utili per gli professionisti sanitari impegnati nei PS e altrove.


L'implementazione di questi strumenti nella pratica dell'assistenza sanitaria è una strategia di intervento che un esperto ritiene possa essere fatta oggi.


Prendersi cura dei pazienti a volte richiede che raggiungiamo le ombre e facciamo luce sui loro caregiver. Anche se i medici di PS non hanno il tempo e le risorse per implementare pienamente queste strategie di valutazione, per lo meno possiamo riconoscere che il caregiving è difficile e che cercare aiuto o una pausa non è un segno di debolezza o fallimento. Dobbiamo anche ricordare che i caregiver sopraffatti sono spesso riluttanti ad accettare assistenza.


Rosa non vuole discutere delle sfide del caregiving che sta vivendo con me o con un assistente sociale. Mi chiedo della sua risolutezza, se la mia offerta di assistenza comporti anche il giudizio che i suoi fratelli potrebbero considerare il bisogno di aiuto esterno come un fallimento da parte sua.


Quindi faccio quello che posso. Devo dire che sta facendo un ottimo lavoro con sua madre. Mi concentro sulla piaga dolorante nella parte bassa della schiena di sua madre. È pulita e sta guarendo, almeno per come guariscono quelle cose. "È una ferita difficile da curare", dico. "Davvero difficile".


Per un attimo sembra che Rosa sprofondi dentro la sedia. "Lo è", dice. "Grazie per averlo detto".

 

 

Nota: Alcuni dettagli di questo caso sono stati modificati.

 


Fonte: Jay Baruch MD, professore associato di medicina d'urgenza e direttore della Medical Scholarly Concentration Medical Humanities and Bioethics alla Brown University di Providence nel Rhode Island.

Pubblicato in Stat (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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