La malattia colpisce le cellule che sono coinvolte nell'alimentazione dei neuroni, nella rimozione dei rifiuti cellulari e nel controllo della perfusione cerebrale.
L'Alzheimer danneggia il sistema nervoso in molti modi diversi.
Questo perché la malattia non intacca solo i neuroni ma anche altre cellule cerebrali, come gli astrociti, che supportano le funzioni normali dei neuroni e sono coinvolti nella regolazione del flusso ematico cerebrale.
Attraverso studi sperimentali, gli scienziati del Centro Tedesco Malattie Neurodegenerative (DZNE) di Bonn e Berlino, hanno ormai acquisito nuove informazioni sul modo in cui l'Alzheimer interferisce con il metabolismo degli astrociti.
Il team di ricerca ha anche dimostrato che le alterazioni patologiche degli astrociti possono essere attenuate da un trattamento farmacologico. Le molecole di attivazione risultano essere vettori energetici della cellula come l'adenosina trifosfato (ATP): queste molecole possono indurre gli astrociti a passare ad uno stato iperattivo, caratterizzato da improvvise variazioni nella concentrazione di calcio.
Come scrivono i ricercatori sulla rivista scientifica Nature Communications, il loro studio suggerisce un potenziale approccio innovativo per il trattamento dell'Alzheimer.
In un certo senso, il cervello sembra una grande orchestra sinfonica in cui ognuno dei vari strumenti, anche se suona insieme, ha una parte speciale. Di conseguenza, il cervello è costituito da cellule nervose, chiamate anche «neuroni», che si intrecciano in una rete dove si passano i segnali tra di loro.
Dall'altra parte, le cosiddette cellule gliali sono altrettanto importanti per le funzioni cerebrali. Queste cellule una volta erano considerate mero tessuto connettivo del cervello. Tuttavia ora sappiamo che esse hanno compiti molto più complessi di quanto si pensasse. Un membro di spicco di questa famiglia versatile di cellule gliali e costituito dagli astrociti.
"Gli astrociti hanno diverse funzioni nel cervello. Ad esempio, forniscono sostanze nutritive ai neuroni, ma smaltiscono anche i prodotti di scarto del metabolismo", spiega il professor Gabor Petzold, che guida un gruppo di ricerca del sito di Bonn del DZNE e supervisiona l'Unità Neurovascolare dell'University Hospital di Bonn. "Inoltre, influenzano la comunicazione dei neuroni tra loro, e sono coinvolti nel controllo del flusso sanguigno cerebrale".
L'Alzheimer altera gli astrociti
È noto da tempo che gli astrociti cambiano forma in conseguenza dell'Alzheimer. Le cellule che si trovano vicino alle «placche», come sono chiamati i depositi di proteine tipici di questa malattia, crescono di dimensione e formano diramazioni addizionali. Tuttavia finora non si sapeva proprio come questi cambiamenti influenzino le funzioni degli astrociti.
Così, Petzold ed i suoi colleghi hanno studiato i topi con i tipici depositi di proteine di Alzheimer nel cervello. Essi hanno scoperto che il metabolismo del calcio degli astrociti, in prossimità delle placche, era disturbato. Il calcio ha un ruolo importante come regolatore delle funzioni e del metabolismo cellulare. "Gli astrociti sono iperattivi. Ciò significa che i livelli di calcio in queste cellule potrebbero improvvisamente salire. Abbiamo anche notato che questo effetto spesso passa agli astrociti vicini, causando le cosiddette onde di calcio. L'effetto è molto simile a quello di un sasso gettato nell'acqua", osserva Petzold. "Gli astrociti normali, al contrario, solo raramente mostrano queste variazioni nella concentrazione di calcio".
Vettori energetici con effetto-segnale
Queste fluttuazioni sono causate dall'azione di una molecola cellulare chiamata ATP. Quando i ricercatori ne hanno bloccato il rilascio con l'aiuto di farmaci, l'attività degli astrociti si è normalizzata. Lo stesso effetto è stato raggiunto quando gli scienziati hanno attivato un recettore specifico per queste molecole. Come ha determinato il gruppo di Petzold, questo recettore è presente in quantità insolitamente elevate sulla superficie degli astrociti in prossimità delle placche. Questa circostanza rende le cellule particolarmente suscettibili.
"L'ATP, e le molecole simili, di norma forniscono energia alle cellule. Tuttavia, è già noto che possono anche agire come molecole messaggere che possono innescare reazioni specifiche", spiega Petzold. "Sebbene queste molecole siano presenti nella gran parte dei tessuti cellulari, si presume che il loro rilascio aumenti in prossimità delle placche. Abbiamo dimostrato che questo fa sì che gli astrociti passino ad uno stato di iperattività. Il percorso di segnalazione è mediato da un recettore specifico sulla superficie cellulare degli astrociti".
L'influenza sul flusso sanguigno
E' ancora incerto se l'iperattività degli astrociti costituisca una reazione protettiva di difesa o se sia associato a effetti negativi. Tuttavia, lo studio mostra che le onde di calcio in alcuni casi possono essere associate a cambiamenti locali nella perfusione cerebrale. "Questo è interessante, perché da tempo ci sono indicazioni che l'Alzheimer ha una componente vascolare. Le alterazioni dei vasi sanguigni e del flusso di sangue sembrano avere un ruolo importante", dice Petzold.
Secondo lo scienziato di Bonn lo studio potrebbe aprire nuove strade per la terapia: "Le nostre indagini dimostrano che è possibile ridurre l'iperattività di queste cellule. Questo potrebbe delineare un nuovo approccio per il trattamento. Potrebbe forse anche essere possibile modificare il decorso della malattia con l'aiuto di farmaci adatti".
Fino ad ora, chiarisce lo scienziato, le vie di segnalazione sono state studiate a livello della rete cellulare nel cervello. In studi futuri, Petzold e colleghi intendono indagare quale effetto ha l'inibizione dell'iperattività sui sintomi della malattia.
Fonte: DZNE - German Center for Neurodegenerative Diseases (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Andrea Delekate, Martina Füchtemeier, Toni Schumacher, Cordula Ulbrich, Marco Foddis, Gabor C. Petzold. Metabotropic P2Y1 receptor signalling mediates astrocytic hyperactivity in vivo in an Alzheimer’s disease mouse model. Nature Communications, 2014; 5: 5422 DOI: 10.1038/ncomms6422
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