Un ampio studio condotto da ricercatori con dell'Alzheimer Disease Center della University of California di Davis e dell'Università di Victoria in Canada, ha scoperto che le prime esperienze di vita (come lo status socio-economico e l'alfabetizzazione nell'infanzia) possono avere maggiore influenza sul rischio di deterioramento cognitivo in età avanzata rispetto alle caratteristiche demografiche come la razza e l'origine etnica.
"Il declino della funzione cognitiva degli anziani è un importante problema sanitario personale e pubblico", ha detto Bruce Reed, professore di neurologia e direttore associato dell'Alzheimer’s Disease Center della UC Davis. "Ma non tutte le persone perdono la funzione cognitiva, e comprendere la notevole variabilità delle traiettorie cognitive quando le persone invecchiano è di fondamentale importanza per la prevenzione, il trattamento e la pianificazione, per promuovere un invecchiamento cognitivo ben riuscito e minimizzare i problemi associati al declino cognitivo".
Lo studio è stato pubblicato online in Neuropsychology, una rivista della American Psychological Association. Si tratta di uno dei primi esami completi delle molteplici influenze dei vari fattori demografici all'inizio della vita e il loro rapporto con l'invecchiamento cognitivo.
La ricerca è stata condotta in un gruppo di oltre 300 uomini e donne diverse che parlavano inglese o spagnolo, reclutati dai centri sociali, ricreativi e residenziali per anziani, nonché nelle chiese e nelle strutture sanitarie. Al momento del reclutamento, tutti i partecipanti allo studio avevano 60 anni o di più, e non avevano avuto grandi malattie psichiatriche o malattie da pericolo di vita. I partecipanti erano caucasici, afro-americani o ispanici. I test approfonditi includevano valutazioni diagnostiche multidisciplinari all'Alzheimer's Disease Center della UC Davis in inglese o spagnolo, fatto che ha permesso il confronto su un gruppo eterogeneo di partecipanti.
Coerentemente con ricerche precedenti, lo studio ha trovato che i caucasici non-Latini hanno ottenuto risultati dal 20 al 25 per cento più alti nei test di memoria semantica (le conoscenze generali) e dal 13 al 15 per cento più alti nei test delle funzioni esecutive, rispetto agli altri gruppi etnici. Tuttavia, le differenze etniche nel funzionamento esecutivo sono scomparse e le differenze della memoria semantica si sono ridotte dal 20 al 30 per cento quando sono state considerate le differenze di gruppo nello status socio-economico infantile, nell'alfabetizzazione degli adulti e l'ammontare di attività fisica durante l'età adulta.
"Questo studio è insolito in quanto esamina l'influenza delle diverse esperienze di vita sul declino cognitivo in età avanzata", ha dichiarato Dan Mungas, professore di neurologia e direttore associato dell'Alzheimer's Disease Research Center della UC Davis. "Ciò dimostra che variabili come l'etnia e gli anni di istruzione, che influenzano i punteggi dei test cognitivi in una singola valutazione, non sono associati al tasso di declino cognitivo, ma che specifiche esperienze di vita come il livello conseguito di lettura e le attività intellettualmente stimolanti sono predittive del tasso di declino cognitivo in vecchiaia. Ciò suggerisce che la stimolazione intellettuale per tutta la durata della vita può ridurre il declino cognitivo in età avanzata".
A parte le distinzioni di etnia, l'età avanzata e l'apolipoproteina-E (genotipo APOE) sono state associate ad un aumento del declino cognitivo sulla media di quattro anni che i partecipanti sono stati seguiti. L' APOE è il più grande fattore noto di rischio genetico per l'insorgenza tardiva dell'Alzheimer. E' stato sperimentato un minor declino dalle persone che hanno segnalato di avere più impegno in attività ricreative in tarda età e che hanno mantenuto il loro livello di coinvolgimento nell'attività dalla mezza età alla vecchiaia.
Anche la lettura di singole parole (la capacità di decodificare una parola a vista, che spesso è considerato un'indicazione della qualità dell'esperienza educativa) è stata associata ad un minore declino cognitivo, una scoperta valida sia per i lettori la lingua inglese e per quelli spagnoli, a prescindere dalla loro razza o etnia. Gli autori hanno detto che questi risultati suggeriscono che le prime esperienze di vita influenzano indirettamente la cognizione in vecchiaia, attraverso l'alfabetizzazione e le attività ricreative in vecchiaia.
"Questi risultati sono importanti", ha spiegato Paul Brewster, autore principale dello studio, studente di dottorato dell'Università di Victoria in Canada, e stagista di psicologia pre-dottorato nel Dipartimento di Psichiatria della UC San Diego, "perché sfida le precedenti ricerche che avevano suggerito associazioni tra razza e origine etnica, in particolare per i Latinos, e un maggiore rischio di deterioramento cognitivo e demenza in vecchiaia. I nostri risultati suggeriscono che le influenze dei fattori demografici sulla cognizione nella tarda età possono riflettere fattori socioeconomici più ampi, come le opportunità educative e le differenze correlate di attività fisica e mentale di tutta la durata della vita".
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Gli altri autori dello studio sono Rebecca J. Melrose dell'UCLA; Maria Marquine della UC San Diego; Julene K. Johnson e Anna Napoles della UC San Francisco; Anna McKay-Brandt del Nathan Kline Institute for Psychiatric Research, New York; e Sarah Farias, Bruce Reed e Dan Mungas della UC Davis. Lo studio è stato finanziato dal National Institute on Aging e dai Canadian Institutes for Health. È stato sviluppato nell'ambito di una conferenza sponsorizzata dal National Institute on Aging e organizzata dalla UC Davis per promuovere la scienza collaborativa nella ricerca sull'invecchiamento cognitivo.
Fonte: University of California - Davis Health System (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari
Riferimenti: Paul W. H. Brewster, Rebecca J. Melrose, María J. Marquine, Julene K. Johnson, Anna Napoles, Anna MacKay-Brandt, Sarah Farias, Bruce Reed, Dan Mungas. Life Experience and Demographic Influences on Cognitive Function in Older Adults.. Neuropsychology, 2014; DOI: 10.1037/neu0000098
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