L'Alzheimer ha dimostrato di essere un nemico difficile da sconfiggere. Dopo tutto, l'invecchiamento è il fattore di rischio n° 1 della malattia, e, per adesso, non c'è niente che lo possa fermare.
La maggior parte dei ricercatori ritengono che la malattia sia causata da due proteine, una chiamata tau, l'altra amiloide-beta. Con l'avanzare dell'età, secondo la maggior parte degli scienziati, queste proteine interrompono la segnalazione tra i neuroni o semplicemente li uccidono.
Ora, un nuovo studio dell'UCLA, apparso nel numero di Agosto del Journal of Alzheimer, suggerisce una terza possibile causa: l'accumulo di ferro. Il Dr. George Bartzokis, professore di psichiatria dell'Istituto Semel di Neuroscienze e Comportamento Umano all'UCLA e autore senior dello studio, ed i suoi colleghi, hanno esaminato due aree del cervello in pazienti con Alzheimer.
Hanno confrontato l'ippocampo, conosciuto per essere danneggiato presto dalla malattia, e il talamo, una zona che non è generalmente influenzata fino alle ultime fasi. Usando sofisticate tecniche di scansione cerebrale, hanno scoperto che il ferro è di più nell'ippocampo ed è associato al danno tissutale in quella zona. Ma non è stato trovato un aumento di ferro nel talamo.
Mentre la maggior parte dei ricercatori di Alzheimer si concentra sull'accumulo di tau o amiloide-beta che causa le placche-firma associate alla malattia, Bartzokis sta da tempo sostenendo che il deterioramento inizia molto prima "a monte". E' la distruzione della mielina, il tessuto adiposo che ricopre le fibre nervose nel cervello, dice, che interrompe la comunicazione tra neuroni e promuove l'accumulo delle placche. Queste placche amiloidi, a loro volta distruggono sempre più mielina, interrompendo la segnalazione cerebrale e portando alla morte cellulare e ai classici segni clinici dell'Alzheimer.
La mielina è prodotta dalle cellule chiamate oligodendrociti. Queste cellule, insieme con la mielina, hanno i più alti livelli di ferro di tutte le cellule del cervello, secondo Bartzokis, e prove indiziarie da tempo supportano la possibilità che il livello di ferro nel cervello potrebbe essere un fattore di rischio per le malattie legate all'età come l'Alzheimer. Anche se il ferro è essenziale per la funzione delle cellule, una quantità eccessiva può promuovere il danno ossidativo, alla quale il cervello è particolarmente vulnerabile.
Nell'attuale studio, Bartzokis ed i suoi colleghi hanno testato la loro ipotesi, che molto ferro nei tessuti causa la rottura dei tessuti, associata all'Alzheimer. Hanno preso di mira il vulnerabile ippocampo, un'area chiave del cervello coinvolta nella formazione dei ricordi, e lo hanno confrontato al talamo, che è relativamente risparmiato dall'Alzheimer fino agli ultimi stadi della malattia. I ricercatori hanno usato una tecnica di risonanza magnetica in grado di misurare la quantità di ferro cerebrale nella ferritina, una proteina che immagazzina il ferro, in 31 pazienti affetti da Alzheimer e 68 soggetti sani di controllo.
In presenza di malattie come l'Alzheimer, poichè la struttura delle cellule si corrompe, nel cervello aumenta la quantità di acqua, e questo può mascherare il rilevamento del ferro, secondo Bartzokis. "E' difficile misurare il ferro nei tessuti quando gli stessi sono già danneggiati", ha detto. "Ma la tecnologia MRI che abbiamo usato in questo studio ha permesso di determinare che l'aumento di ferro avviene insieme al danno tissutale. Abbiamo scoperto che la quantità di ferro aumenta nell'ippocampo ed è associata al danno tissutale nei pazienti con Alzheimer, ma non negli individui anziani sani, o nel talamo. Quindi i risultati suggeriscono che l'accumulo di ferro può effettivamente contribuire all'insorgenza dell'Alzheimer".
Ma da questo studio non arrivano solo cattive notizie, osserva Bartzokis. "L'accumulo di ferro nel cervello può essere influenzato modificando i fattori ambientali, come la quantità di carne rossa e gli integratori alimentari di ferro che assumiamo e, nelle donne, effettuando una isterectomia prima della menopausa", ha detto. Inoltre, osserva, sono stati sviluppati farmaci che chelano e rimuovono il ferro dai tessuti da diverse società farmaceutiche come trattamento per il disturbo. Questa tecnologia MRI può consentire ai medici di determinare chi ha più bisogno di tali trattamenti.
Altri autori dello studio comprendono Erika Raven, Po Lu, Todd Tishler e Panthea Heydari. Il finanziamento è arrivato dal National Institutes of Health e dalla RCS Alzheimer's Foundation.
Fonte: University of California - Los Angeles. Articolo originale scritto da Mark Wheeler.
Riferimento: Erika P. Raven, Po H. Lu, Todd A. Tishler, Panthea Heydari, George Bartzokis. Increased Iron Levels and Decreased Tissue Integrity in Hippocampus of Alzheimer’s Disease Detected in vivo with Magnetic Resonance Imaging. Journal of Alzheimer's Disease, 2013
Pubblicato in Science Daily (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi citati nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.
Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non dipende da, nè impegna l'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X. I siti terzi raggiungibili da eventuali links contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari proposti da Google sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.
Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.
Sostieni l'Associazione; una donazione, anche minima, ci aiuterà ad assistere malati e famiglie e continuare ad informarti. Clicca qui a destra: |