BARI – Diagnosticare precocemente l'Alzheimer attraverso il monitoraggio della Glicoproteina-P, cioè di quello 'spartiacquè che regola il passaggio, dall’interno all’esterno del nostro cervello, della beta-amiloide, ovvero delle placche che causano la degenerazione neurologica dei pazienti affetti dalla patologia.
E' questo l’esito dello 'Studio cristallografico di radiotraccianti Pet in valutazione clinica per la diagnosi precoce dell’Alzheimer', presentato questa mattina a Bari, e sul quale il ministero della Sanità ha già manifestato il proprio interesse. Realizzato in collaborazione dall’istituto di Cristallografia del Cnr del capoluogo pugliese e 'Biofordrug' ('spin off' dell’Università di Bari), lo studio apre nuovi spiragli "non sulla guarigione dell’Alzheimer", ma sulla possibilità di contrastarlo, ritardandone e limitandone gli effetti. E il prossimo 21 giugno, al Policlinico di Bari, verrà presentato il 'kit diagnosticò della patologia, che permette, attraverso semplici passaggi, di scoprire l’Alzheimer in una fase iniziale.
Al paziente, infatti, viene prelevato del sangue e se al suo interno ci sono elevati livelli di rame, si sottopone il soggetto a una Pet che serve a monitorare l’attività e la quantità della Glicoproteina-P. Se questa sta degenerando, vuol dire che è in corso il processo dell’Alzheimer. Da questo particolare si evince infatti l’importanza dello studio che permette di agire prima che le quantità di Glicoproteina-P siano molto basse. "Se io ho 80 unità di Glicoproteina-P – ha spiegato il professore Nicola Colabufo, direttore di 'Biofordrug' – potrò stimolarle attraverso un induttore, e spingerle a fare il lavoro di 100 unità. Ma se ne ho già 30, non posso stimolarle a lavorare di più: sarebbe addirittura dannoso".
Lo studio, condotto su duemila pazienti monitorati per cinque anni, è riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale. "I nostri radiotraccianti Pet – ha sottolineato Colabufo – sono state definite le molecole del mese, ovvero le molecole di riferimento per progredire nella conoscenza. Noi abbiamo realizzato dei prototipi, che sono già stati migliorati, in collaborazione con l’istituto di medicina nucleare di Amsterdam e Groningen. E poter monitorare lo stato di salute di questa proteina in soggetti non affetti da Alzheimer ma che presentano fattori di rischio, ha portato a capire che effettivamente quella proteina va monitorata poichè è responsabile della progressione neurodegenerativa del soggetto, che normalmente avviene nell’arco dei dieci anni dopo che la Glicoproteina-P, responsabile dell’efflusso della placca beta-amiloide dall’interno all’esterno del cervello, comincia a perdere in termini sia di espressione sia di attività".
I fattori di rischio dell’Alzheimer, è stato sottolineato, si dividono in non modificabili: familiarità, età (dai 65 anni in poi), sesso (le donne sono più a rischio) e sindrome di down. E fattori modificabili: bassa scolarità, depressione, alcol, fumo e diabete. I numeri dei casi di Alzheimer, è stato detto, "sono destinati a raddoppiare ogni cinque anni".
Nel corso della presentazione, inoltre, è stato evidenziato il "costo sociale" dell’Alzheimer, una patologia che colpisce "molto i parenti" del paziente che ha – è stato detto - "allucinazioni e deliri". Inoltre, si calcola che un paziente costi "all’anno alla collettività in media 61mila euro". E che al momento nel mondo ci sono 35 milioni di persone affette, un milione solo in Italia (80mila in Puglia di cui 7mila a Bari), per un costo complessivo di 604 miliardi di euro l’anno.
Pubblicato in Gazzetta del Mezzogiorno.
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